Diffamazione nei confronti di Mauro Voerzio: Giulietto Chiesa patteggia. Ma si è dichiarato colpevole o innocente?

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Sono andato a cercare su Google il link a qualche fonte che approfondisse la sentenza che sanziona Giulietto Chiesa a 1500 euro di multa per diffamazione nei confronti del giornalista Mauro Voerzio. Ho trovato questo riferimento

che riferisce che

“Accusato di aver diffamato un reporter italiano nel Donbass, Chiesa non si è dichiarato colpevole…”

mentre andando a controllare la fonte in questione (un articolo di David Puente su Open) si apprende che

“…Chiesa non si è dichiarato innocente preferendo patteggiare”

Insomma, Chiesa si è dichiarato colpevole o innocente? Di certo c’è che patteggiando ha scelto un rito alternativo che costituisce un vero e proprio mostro giuridico. La sentenza per patteggiamento, infatti, pur essendo equiparata a sentenza di condanna, non è ontologicamente una sentenza di condanna, perché per poter arrivare a stabilire la responsabilità penale del reo occorre un procedimento dibattimentale che arrivi alla prova provata mediante il contraddittorio tra le parti (contraddittorio che nell’applicazione della pena su richiesta dell’imputato e del pubblico ministero evidentemente non c’è). Insomma, Chiesa innocente non è, e colpevole nemmeno.

Condiscono l’articolo di Open le scansioni della prima pagina della sentenza di applicazione della pena su richiesta (quella in cui si comminano i 1500 euro di multa, appunto) e il Decreto di Citazione diretta a giudizio in cui si evince il capo di imputazione. Tutto normale, per carità, si tratta di atti pubblici, anche se dalla lettura del dispositivo di sentenza si evince che la stessa è stata emessa “in camera di consiglio”. Mi chiedo, dunque, se fosse stato veramente necessario pubblicare quei documenti che non dànno nessun apporto ulteriore alle informazioni già contenute nell’articolo (entità della pena applicata, scelta del rito alternativo da parte dell’imputato, frasi suppostamente diffamatorie contestate). Me lo chiedo. Ma non trovo nessuna risposta

Lega: restituiranno 49 milioni a rate in 80 anni

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Immagine tratta da it.wikipedia.org -scusate la fonte-
Immagine tratta da it.wikipedia.org -scusate la fonte-

La Lega Nord è arrivata a un accordo coi pubblici ministeri del Tribunale di Genova che avevano stabilito il sequestro di 49 milioni di euro sottratti alle casse dello Stato, cioè ai cittadini italiani.

Coi pubblici ministeri i compromessi si fanno tutti i giorni. Come i patteggiamenti, per esempio. Ma mentre nel patteggiamento non c’è la prova provata della responsabilità dell’imputato (si tratta solo dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, non c’è dibattimento, quindi non c’è formazione degli elementi probatori), non c’è ammissione di responsabilità, nel caso della Lega Nord c’è un ordine di sequestro dopo la sentenza sulla truffa dei rimborsi elettorali dal 2008 al 2010. E ripeto: soldi dello stato pagati dai cittadini italiani.

La Lega se la caverà con 80 comodissime rate annuali (una dilazione estrema che ricorda le televendite dei materassi di Mastrota) da 600.000 euro l’anno. Senza interessi. Che, voglio dire, in 80 anni quanti interessi (composti) rendono 49 milioni? E anche quelli sono soldi dei cittadini.

Ma, soprattutto, la richiesta di questa rateizzazione nasconde qualcosa di molto più grave e inquietante: una ammissione di completa responsabilità riguardo ai fatti contestati, prima ancora di un pronunciamento di merito definitivo da parte della Cassazione sulle ipotesi civili e penali della vicenda. E’ come se avessero detto “è vero, noi quei soldi li abbiamo presi, adesso li restituiamo ma a babbo morto, con calma, senza fretta, tanto fra 80 anni chissà se saremo ancora tutti vivi e il tempo è galantuomo.”

Nel frattempo restano al governo per respingere le navi che trasportano i disperati.

Cancellierato

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Sull’ineffabile “Huffington Post” è apparso ieri un articolo di Luigi Manconi dal titolo “Difendo la Cancellieri dalla cultura del sospetto”.

Nobile intento. Peccato, però, che il sospetto sia una sensazione personale non suffragata da dati di fatti certi. Se un genitore ha il sospetto che suo figlio fumi deve quanto meno sgamargli sigarette e accendino. O sentirgli l’alito che sa di Monopòli di Stato. Non basta una sensazione.

E infatti quella che sta permeando l’aura del Ministro Cancellieri in queste ultime ore, rispetto al suo interessamento diretto per la salute di Giulia Ligresti, non è la cultura del sospetto. Esiste la registrazione di una telefonata la cui trascrizione è stata messa agli atti di un procedimento perché la destinataria era intercettata. Quindi non si sospetta proprio niente. Quello che è stato detto in quella occasione, dal “ti voglio bene” al “povero figlio” è certificato.

Lo scritto di Manconi, quindi, fa acqua fin dal titolo.

E tanto più quando afferma che “Di fronte a una detenuta che rifiuta di nutrirsi è buona prassi e indice di una elevata sensibilità istituzionale (e umana, il che non guasta) attivarsi per capirne le ragioni e verificare che non stia maturando una incompatibilità con lo stato di detenzione.” Ma senz’altro. Ma dovrebbe dirci Manconi quante volte, in tutti i casi (e non sono pochi) in cui un detenuto rifiuta di nutrirsi questa “buona prassi” e questa “sensibilità” vengono messe in atto dal Ministro della Giustizia in persona che chiama i familiari perché li conosce. La Cancellieri desidera esprimere la sua vicinanza alla famiglia Ligresti in un momento così difficile? Benissimo, prende il SUO telefono, in un momento in cui NON svolge il suo ruolo istituzionale e DA PRIVATO CITTADINO, se non commette reato, e non lo commette, chiama chi le pare. Ammetterà Manconi che l’interessamento del Guardasigilli in persona esula alquanto da quel concetto di “buona prassi” ch’egli invoca. Di un detenuto in stato di denutrizione si occuperanno i direttori delle carceri, i volontari, le guardie carcerarie, i magistrati di sorveglianza. Questa è la “prassi”, almeno quella ordinaria. Se poi quella del Ministro è anche “buona” non lo so.

“(…) la decisione di scarcerare Giulia Ligresti non è stata certo presa dal Ministro o dai suoi uffici, ma – come è giusto che sia, in nome della separazione dei poteri e della indipendenza della magistratura – da un giudice che ha ritenuto di poter attenuare le misure cautelari a suo carico.” Ma certamente. E mi viene anche da osservare che ci mancherebbe altro. Giulia Ligresti è stata scarcerata (anche se mi risulta si trovi ancora in stato di detenzione domiciliare, perché le è stata applicata una pena di 2 anni e 8 mesi, superiore dunque alla soglia per beneficiare della sospensione condizionale della pena) a seguito dell’applicazione della sua richiesta di patteggiamento e da un giudice terzo. Ma questo non è il punto. Il punto è se un Ministro possa permettersi DA MINISTRO di telefonare al congiunto di un detenuto e dire “qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me, non lo so cosa possa fare, però guarda son veramente dispiaciuta”“proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda. Non è giusto, guarda, non è giusto”. Sono dichiarazioni che fanno tremare i polsi. E che in un altro Paese porterebbero alle immediate e dirette dimissioni del Ministro senza neanche passare dal via. Perché allora sì che sorgerebbe quella cultura del sospetto per cui se un Ministro della Giustizia telefona personalmente ai familiari di un detenuto mettendosi a disposizione per tutto quello che possa fare, allora magari non sta svolgendo il suo compito con le necessarie serenità ed imparzialità.

Non è un giustizialismo populista e forcaiolo quello che vuole le dimissioni della Cancellieri, è un pensiero che si basa su dati oggettivi e incontrovertibili, che esulano da ogni eventuale (e per fortuna non intervenuta) pressione sui magistrati.

In fondo, se non è la cultura del sospetto a trionfare, resta pur sempre in piedi l’italianissimo e granitico “A Fra’, che ‘tte serve?”