Matteo Renzi al Senato: “La magistratura pretende di decidere cosa è un partito e cosa no“

 185 total views

“La magistratura pretende di decidere cosa è un partito e cosa no“

“hanno fatto un’invasione di campo” (…) “trecento finanzieri all’alba in casa di persone non indagate sono una retata”

“Se al pm affidiamo non già la titolarità dell’azione penale ma dell’azione politica, questa Aula fa un passo indietro per pavidità e lascia alla magistratura la scelta di cosa è politica e cosa non lo è”

“ (…) violazione sistematica del segreto d’ufficio su vicende personali del sottoscritto”

“Per distruggere la reputazione di un uomo può bastare la copertina di qualche settimanale”

“Stiamo discutendo della separazione dei poteri”. (…) “Chi tra di noi ha avuto l’altissimo onore di guidare anche il potere esecutivo, ha una responsabilità in più. Non è la prima in cui un ex presidente del Consiglio, nell’Aula del Parlamento, affronta questo tema”.

“La vicenda Lockheed ha segnato per la conseguenza più alta, le dimissioni di Giovanni Leone dal Quirinale non perché coinvolto ma per uno scandalo montato ad arte dai media e parte della politica. (…)  Peraltro, i tempi cambiano ma il settimanale rimane… Per recuperare non ci si riesce facilmente”.

“Io rivendico il fatto (…) che sia stato abolito il finanziamento pubblico, ma se si sanziona il privato che offre dei contributi il cittadino non darà mai più un centesimo. E’ un ipocrita chi dice che non servono i soldi alla politica; servono quelli leciti e puliti”

“Non si parla di dazioni di denaro nascoste o illecite, ma di contributi regolarmente bonificati e tracciabili, trasparenti ed evidenti da un bilancio che viene reso totalmente pubblico dalla Fondazione Open. Questi contributi regolari sono stati improvvisamente trasformati in contributi irregolari perché si è cambiata la definizione della fondazione: qualcuno ha deciso non era più fondazione ma partito”.

“Se questo non è chiaro, il punto è che può accadere a ciascuno di voi”

“La magistratura decide cosa è partito e cosa no e manda all’alba i finanzieri da cittadini dalla fedina penale intonsa con strumenti più da retata che da inchiesta, e mi dite che è a tutela degli indagati? Questo è finalizzato a descrivere come criminale non il comportamento dei singoli ma qualsiasi finanziamento privato che venga fatto in maniera legale e regolare”

“Chi dice che la privacy vale sono per qualcuno e non per altri viene meno allo stato di diritto e siamo alla barbarie”.

“Avere rispetto per la magistratura è riconoscere che magistrati hanno perso la vita per il loro impegno. A loro va il massimo rispetto. Ci inchiniamo davanti a queste storie. Ma a chi oggi volesse immaginare che questo inchino diventi una debolezza del potere legislativo si abbia la forza di dire: contestateci per le nostre idee o per il Jobs act ma chi volesse contestarci per via giudiziaria sappia che dalla nostra parte abbiamo il coraggio di dire che diritto e giustizia sono diversi dal giustizialismo“.

 

 

La morte di Laura Arconti

 283 total views

«Sono nata nel 1925, un anno speciale: l’anno in cui Gaetano Salvemini aveva abbandonato definitivamente l’Italia e la sua cattedra fiorentina, per riparare negli Stati Uniti; l’anno in cui cominciava l’odissea dei fratelli Rosselli, tra esilio, processi, prigionia, evasioni rocambolesche, e il loro “Non mollare” stampato alla macchia, e distribuito clandestinamente, e al quale collaborava anche Ernesto Rossi; una collaborazione che pagò cara, fu processato una prima volta, e costretto a rifugiarsi in Francia.

Per tutti questi motivi mi piace pensare che il Partito Radicale fosse scritto nel mio destino fin dalla mia nascita.

Alle elezioni politiche del 1958 votai radicale, segnando un simbolo che allora veniva scherzosamente chiamato “la bicicletta”, perché era costituito dai due del PRI e del Partito Radicale. Nessun radicale arrivò in Parlamento, furono eletti sei deputati repubblicani. Andavo ai convegni degli “Amici del Mondo” all’Eliseo; il mercoledì correvo all’edicola, a comprare “Il Mondo”. Non so come dire la gioia che era legata alla lettura di quel settimanale, quel caro “lenzuolo” del mercoledì: un’esperienza indimenticabile: la prosa stringata e limpida, la bella lingua italiana, i titoli che sintetizzavano nitidamente i contenuti, le splendide fotografie… Si diceva che Mario Pannunzio scegliesse personalmente titoli e fotografie, ed era vero probabilmente, perché si sentiva la mano di un Maestro. Nel 1966, quando Pannunzio chiuse “Il Mondo”, per me fu un lutto; rinnovato l’anno dopo, quando morì Ernesto Rossi, alla vigilia della prima grande manifestazione della “religiosità anticlericale” dei radicali, che egli doveva presiedere al Teatro Adriano a Roma.

Io lavoravo da vent’anni, stavo preparando una svolta della mia attività, destinata a cambiare totalmente la mia vita, e questo mi impegnava a fondo. Ora mi vergogno di ammetterlo, ma non pensavo minimamente di militare nel Partito, tantomeno ad iscrivermi. Poi arrivò il referendum sul divorzio, il lunghissimo digiuno di Marco Pannella che chiedeva l’accesso all’informazione televisiva per la LID e gli altri soggetti non presenti in Parlamento. Marco viveva questo digiuno all’hotel Minerva; spinta dall’ammirazione per lui, e dall’ansia per la sua salute, decisi di telefonare al Minerva, chiedendo di parlare con “qualcuno dell’entourage di Marco Pannella”. Mi rispose lui stesso, gli chiesi che cosa potessi fare per dare una mano. “Vai al partito”, mi disse, “porta un po’ di soldi, lavora con i compagni”.

Gli lasciai all’albergo una rosa rossa e una lettera, contenente il più importante contributo finanziario che riuscii a mettere insieme; il giorno dopo ero al Partito in via di Torre Argentina 18, a smanettare sul ciclostile. Due giorni dopo ero in giro per la città, con una scatola da scarpe sigillata ed aperta da una fessura come un salvadanaio, a chieder soldi alla gente per il Partito Radicale.

Così è cominciata la mia lunga militanza radicale, e i digiuni di dialogo, le manifestazioni, le marce ed i sit-in, le nottate di “filo diretto” anticoncordatario a “Radio Radicale”, la raccolta delle firme referendarie, l’Associazione “Vita e Disarmo”, la posta di Marco, il lavoro di segreteria della Presidenza nei Congressi; e la fedeltà della puntuale iscrizione, anno dopo anno, a tutte le organizzazioni radicali.

Mi è stato chiesto di raccontare come e perché mi sono iscritta al Partito Radicale. Ebbene, io sto ancora chiedendomi perché non mi sono iscritta assai prima, fin dal 1955, come avrei dovuto: poiché le ragioni della libertà, che ho nel cuore, le ho ritrovate soltanto in casa radicale.»*

*Il testo è tratto da “Il radicale ignoto” a cura di Valter Vecellio, edito nel 2010, pp. 24,25,26

La sentenza della Consulta sul caso Cappato: da oggi siamo davvero tutti più liberi

 245 total views

La notizia a quest’ora non è più una notizia. Le implicazioni della sentenza della Consulta sul processo a carico di Marco Cappato sì. Finalmente la Corte Costituzionale ha stabilito che, con determinati paletti, aiutare qualcuno a realizzare il suo proposito suicida, quando sia affetto da una patologia irreversibile che renda indegne le sue condizioni di vita, non solo è possibile, ma addirittura non costituisce reato ai sensi del famigerato articolo 580 del Codice Penale, pensato e redatto negli anni ’30 e mai scalfito da una qualche disposizione di legge successiva. C’è voluta la Corte Costituzionale, dunque, per riempire una parte della voragine che costituiva il vulnus lasciato incolmato da un Parlamento inerte e da interessi di partito e di parte trasversali a tutto l’arco parlamentare. I cattolici e i benpensanti dicano quello che vogliono: da oggi siamo tutti, ma veramente tutti (anche coloro che di questa sentenza non faranno mai uso, che sono la maggioranza) più liberi di autodeterminare il nostro “fine vita”. E’ la sconfitta della politica nel senso più bieco del termine, che non ha saputo o voluto, nell’arco di un anno, redigere una legge che esimesse la Consulta dal dare il suo parere su una materia così sensibile e delicata, è la sconfitta di tutti coloro che nelle ultime ore hanno tirato per la giacchetta la Corte Costituzionale pregandola di dare un tempo più lungo al Parlamento per decidere in materia. E’, invece, il trionfo dello Stato di diritto e della disobbedienza civile, dello sforzo di tante persone umili e determinate (penso a Beppino Englaro e Mina Welby, alla compagna di DJFabo, senza voler omettere nessuno), della libertà del singolo di autodeterminarsi, del trionfo della Costituzione italiana sui particolarismi e sulle divisioni della società. Restano le parole del comunicato stampa della Consulta che recitava:“La Corte  ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Tutto il resto, come le mie, sono opinioni. Legittime, liberamente esprimibili, ma pur sempre opinioni. Ma lasciateci respirare questo sorso d’aria pura finché c’è.

Proviamo anche con Dio, non si sa mai

 339 total views,  2 views today

C’è una cosa che non sopporto (una sola?) ed è quando la gente dice che un governo (come è accaduto con Monti, con Renzi e con Gentiloni) non è espressione del voto popolare e quindi sarebbe, per certi versi, illegale o quanto meno illegittimo. E’ una posizione da ignoranti, da persone incolte, da gente che non sa che le regole sono altre, che i governi non sono eletti dal popolo che, casomai, elegge il Parlamento, che il capo del governo è nominato dal Presidente della Repubblica, il quale nomina anche i ministri su sua proposta, che in Parlamento si formano delle maggioranze anche diverse da quelle che hanno sostenuto un governo eventualmente dimissionario, e che se in Parlamento c’è una maggioranza diversa da quella che è uscita fuori dalle urne ed è disposta a sostenere un esecutivo, quell’esecutivo è legittimato ad operare finché la sua maggioranza lo mantiene in piedi. A votare ci si va, normalmente, una volta ogni cinque anni. E che il Parlamento si sbrighi da solo le beghe e le grane di maggioranze, opposizioni e balle varie. Questo tanto per dire che l’inciucio giallorosso tra PD e M5S, se mai si farà, con questa fecondazione in vitro che dovrebbe dare vita a un embrione governativo la cui gravidanza appare sempre più incerta, è legittimo, anche se oggettivamente schifoso, come schifoso era il patto scellerato tra pentastellati e leghisti. Hanno litigato e se ne sono dette di santa ragione per anni, adesso basta, che si mettano in una stanza, o in una pizzeria, o davanti a un aperitivo, o dove loro credono maledettamente meglio, stilino un accordo, se ci arrivano, e salvino la legislatura dallo scioglimento anticipato delle camere e dal salvinismo spicciolo, da tutto questo ciucciamento di crocifissi, di cuori immacolati di Maria a cui affidare il popolo italiano, di vangeli ostentati, di citazioni di San Giovanni Paolo II, di disgraziati lasciati a marcire al largo delle coste di Lampedusa. Non è che la logica del “Proviamo anche con Dio, non si sa mai” funziona a tutti i costi. Anzi, in genere non funziona mai. Lasciando l’Italia nella soluzione perenne del male minore (il futuro governicchio giallorosso sarebbe comunque meglio di un ritorno della Lega al governo o delle elezioni anticipate che Salvini stravincerebbe a mani basse), che non si sa perché bisogna sempre scegliere il male minore, il bene non si può mai scegliere, il bene, quello del paese, è solo nelle mani di Dio e della Madonnina. Proviamoci anche con loro. Hai visto mai?

Un uomo solo al comando

 244 total views

Salvini vuole:

  • provocare la crisi di governo (e ci riesce benissimo, visto che è compito suo) e determinare le dimissioni del Presidente del Consiglio (che non è lui);
  • fissare la discussione della Conferenza dei Capigruppo al Senato (prerogativa del Presidente del Senato) e la data della discussione della mozione di sfiducia al Presidente del Consiglio (che non spetta a lui);
  • la sfiducia all’attuale esecutivo (che spetta al Parlamento o a uno solo dei suoi due rami);
  • lo scioglimento immediato delle Camere (compito del Presidente della Repubblica);
  • l’indizione di nuove elezioni gestite dal Viminale di cui lui, fino a prova contraria, è Ministro;
  • la nomina plebiscitaria a Capo del nuovo Governo (prerogativa anch’essa del Presidente della Repubblica).

Un uomo solo al comando. L’ultimo di cui ho notizia era Fausto Coppi. Il primo tentò di scappare su un camion vestito da tedesco.

Marco Cappato: la giustizia in sospeso

 205 total views

Il Palazzo della Consulta - foto tratta da Wikipedia -
Il Palazzo della Consulta – foto tratta da Wikipedia –

Tutti sono soddisfatti della decisione salomonica della Corte Costituzionale di rimandare al 24 settembre 2019 la decisione sulla costituzionalità dell’articolo 580 del Codice Penale in materia di aiuto al suicidio, decisione che sbloccherebbe, in un modo o nell’altro, il processo a carico di Marco Cappato per la morte di DJ Fabo e di rinviare al Parlamento il compito di riempire il vuoto legislativo esistente. Tutti soddisfatti, dicevo, perfino lo stesso Cappato. Tutti contenti, tutti felici. Tranne me.

Per l’amor di Dio, non è che la mia opinione sia determinante e fondante nella questione, ma trovo che si stia prolungando oltre ogni ragionevole attesa questo stillicidio e questa cottura sulla graticola di Cappato e dei diritti fondamentali alla vita e alla vita del diritto. Dai giudici di merito di primo grado del processo la palla è stata passata alla Consulta che ora la rilancia (“verticalizzando l’area di rigore”, direbbe un altro Poeta) al Parlamento che dovrebbe produrre un assist formidabile e insaccarla in porta di testa, producendo un testo di legge che colmi tutti i vuoti legislativi esistenti, cosa che questa maggioranza disgraziata giallo-verde non farà mai.

Rimaniamo ancora un anno col vuoto. La Consulta è stata cronometrica nel fissare la data della sentenza di merito che poteva dare già ieri e colmare quel vulnus che tanti additano e liberare Marco Cappato dalla spada di Damocle del dubbio. Tra una sentenza favorevole della Consulta e il suo processo, infatti, ci sono 15 anni di galera. E sono dati su cui non si scherza, o si scherza pochissimo.

La montagna ha partorito il topolino dell’attesa. E chissà il Parlamento quale non-pasticcio combinerà.

Screenshot_20181024-233704

Maurizio Santangelo sottosegretario del cambiamento

 219 total views,  1 views today

santangelo

Maurizio Santangelo, senatore del Movimento 5 Stelle, nel dicembre 2015 ebbe a scrivere (e poi a rimuovere) su Twitter, che con “un po” (testuale, senza apostrofo) di impegno in più, l’Etna risolverebbe tanti problemi dell’Italia.

Oggi il senatore Santangelo è stato indicato tra i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio con delega ai rapporti con il Parlamento (alcune fonti su Internet riferiscono che la delega sia all’editoria, io mi baso su quanto dichiarato dall’interessato).

E’ il cambiamento che avanza, bellezze…

La brutta cosa con un bel nome

 269 total views

cuore

Alla fine la brutta norma con un bel nome è passata anche alla Camera dei Deputati e si accinge (speriamo con un po’ di disgusto) a diventare legge dello Stato.

Hanno aspettato l’estate, quando in piazza poteva esserci tutt’al più un manipolo di insegnanti agguerriti e col dente avvelenato, ma poca, pochissima roba rispetto allo sciopero unitario del maggio scorso.

Al Senato, se possibile, era andata perfino peggio: avevano messo la fiducia, strumento di prevaricazione sul Parlamento, di  per far passare la figura del preside plenipotenziario e onnipotente e per cancellare dalla faccia della terra le graduatorie, che erano l’unico mezzo di garanzia di trasparenza che potesse esistere. Certo, perfettibile ma efficiente.

PAsseranno ancora molti, moltissimi anni, prima che un governo onesto si renda conto della dannosità che i suoi predecessori hanno reso legge e corra ai ripari.

Per ora, mutande di bandone e faccia di ghisa, perché non farà mai troppo male.

Il potere e la gloria

 238 total views

ilpotereelagloria

L’atteggiamento sminuente di Renzi si concretizza soprattutto quando il Nostro si trova faccia a faccia con il dissenso.

Se qualcuno lo contesta alla Festa dell’Unità a Bologna, si tratta di pochi “fischi”. Se qualcuno lo contesta sul suo amatissimo Twitter sono dei “rosiconi”. Se i black bloc mettono a ferro e fuoco Milano si tratta comunque di “teppistelli” (e sappiamo molto bene che i milanesi riescono a sopportare tutto, appalti comprati, lauree truccate, cliniche degli orrori, politici ladri, infiltrazioni della malavita organizzatama non spaccare loro le porte e le vetrine delle banche perché si incazzano!) mentre di fronte agli scioperi degli insegnanti e degli studenti in sette città italiane ha detto che “Sì, va bene, su alcuni punti si può trattare!” Ma non ha detto che il testo della sua disgraziata riforma scolastica passerà alla Camera il 19 maggio prossimo, quindi la disponibilità al miglioramento durerà al massimo 13 giorni (immagino che dialogo!) e non riguarderà uno dei punti più controversi: il potere dato ai presidi di scegliere discrezionalmente i docenti da apposite liste.

Perché ciò che fa dei provvedimenti di Renzi dei provvedimenti vincenti nelle aule non è la bontà del provvedimento, ma la prepotenza. Un testo di legge come quello dell’Italicum è stato sottoposto a tre voti di fiducia. E sarebbe il caso che ci spiegassero lorsignori come è possibile che una legge elettorale con porti il contributo fattivo del maggior numero possibile delle parti politiche (come dovrebbe essere).

Potere, quindi, nient’altro che potere. Che è lo stesso che Renzi e i suoi stanno dando ai dirigenti scolastici. E poi, quando accanto al termine “potere” viene associato l’aggettivo “discrezionale” il potere ha un sapore ancora migliore, roba che il Chupa-Chups al latte e fragola diventa un sacchetto di bucce di baccelli (nòmansi “baccelli” a Livorno le pregevoli fave). Per questo non esiste e non può esistere ascolto dell’altro che la pensa in modo diverso, perché il potere è nelle mani di uno solo. Ci hanno fatto anche credere, ad esempio, che le leggi le faccia il Governo e non  il Parlamento. Perché se le facesse veramente il Parlamento non ci sarebbe questa tempistica così stretta e, probabilmente, qualcuno le leggi oltre che a scriverle le discuterebbe pure.

Daranno il contentino di una manciata di assunzioni in più in cambio della chiusura di un occhio sui finanziamenti alla scuola privata, e chi verrà assunto in ruolo sarà solo molto meno libero ma non lo saprà.

2-1 = 40,8%

 170 total views

Particolare da una foto di repubblica.it

Che, voglio dire, se avessimo tanti attenzione e amore per la Nazione quanti ne abbiamo per la Nazionale ci renderemmo conto tutti perfettamente di un paio di errorini tattici che quell’omino che ci governa ha commesso nel vano tentativo di farci credere di essere in vantaggio sugli avversari.

Il primo è il pensare o, peggio, il crederci sul serio, che la sua adorabile persona è legittimata a governare dal 40,8% dei voti. Il che è vero, ma solo per quello che riguarda i voti espressi, cioè ammesso che si faccia miracolosamente sparire la percentuale di persone che, per motivi i più disparati, non è andata a votare (tra cui io). Perché bisogna/bisognerebbe fare in modo di non far credere che il 40,8% dei voti validi corrispondano al 40,8% del paese. Perché questa è una plateale menzogna. Così come è una menzogna pensare che siccome abbiamo battuto l’Inghilterra 2-1 arriveremo in finale con il Brasile, sarà dura ma ce la possiamo fare e allora la notte magica del Maracanà sarà nostra e potremo andarcene in giro a strombazzare i clacson delle auto per rompere i coglioni a chi vuol dormire.

Ma torniamo al 40,8% dei voti. E’ vero, il PD li ha presi (il partito, dunque, non il suo capo personalmente di persona), ma li ha presi alle elezioni europee. E, fino a prova contraria, per quanto riguarda gli affari interni all’Italia (cioè quelli di cui il governo da Egli presieduto si occupa) si continua a fare riferimento sulla maggioranza presente nel Parlamento Italiano. Che NON vede il PD al 40,8 e partita chiusa.

Ci salverà Super Mario. Che era un giochino elettronico per il Commodore 64 che andava di moda tanti anni fa, e chi ha il registratore a cassetta invece del drive aspetterà un po’ di più per essere della partita e smanettare col joystick. Poi qualcuno spegnerà pietosamente la luce.

PS: Il titolo del post è tratto da un’idea di Rosa Polacco via Twitter.

Trame rosa. E le deputate vanno in bianco.

 186 total views

Li volevano a tutti i costi: le quote rosa, il nome della rosa, una rosa è una rosa è una rosa, grazie delle belle rose, la rosa purpurea del Cairo, la pantera rosa, rosa que al prado encarnada, la vie en rose.

Qualcuna di loro è anche andata vestita di bianco (che fa “pendant“) per foraggiare l’inserimento di soglie di rappresentatività e incitare quanto di più anticostituzionale ci sia, ovvero ostacolare la fiducia elettorale, le capacità, i curricula e il merito con un “ope legis“.

Il tutto mentre si sta compiendo lo scempio della democrazia attraverso l’eliminazione del bicameralismo perfetto perché così si elimina il Senato e si risparmia il pagamento dello stipendio ai membri di quel ramo del Parlamento, ma nessuno ha ancora capito che sulla democrazia non si risparmia.

Con la mia cassa ancora con il nastro rosa.

La bella addormentata nei Boschi

 304 total views

E allora il Ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi ha stabilito, in Parlamento, che per il momento “Il governo non chiede dimissioni di ministri o sottosegretari sulla base di un avviso di garanzia”.

Ecco qua, voilà, c’est l’unique question, come scriveva Albert Camus ne “Lo straniero”.

“Abbiamo giurato sulla Costituzione, che contempla il principio fondamentale della presunzione di innocenza; l’avviso di garanzia è un atto dovuto a tutela dell’indagato e non una anticipazione della condanna.

Lo sapete qual è il grande difetto di questo tipo di ragionamento? Che non fa una grinza. Perché è vero che la Costituzione prevede la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva passata in giudicato (e, quindi, non è il solo avviso di garanzia a non costituire prova di colpevolezza, ma, a questo punto, neanche il rinvio a giudizio, neanche la sentenza di primo grado, neanche la sentenza di secondo grado). E’ sacrosanto che l’informazione di garanzia non costituisce alcuna anticipazione di condanna (e ci mancherebbe solo che fosse così!). Sì, sì, è proprio così.

Però una grinza la fa: un insegnante può ricevere un avviso di garanzia in cui gli si contestano reati sessuali nei confronti di minori. Per la Costituzione non è colpevole, ma non per questo la gente continua a mandare i propri figli da quell’insegnante (“Vài, vài pure cara, c’è la presunzione di innocenza, non potrà farti niente!“), e quell’insegnante, se non proprio dopo l’avviso di garanzia, viene sospeso dal servizio in attesa che una sentenza chiarisca la sua colpevolezza o meno. Un insegnante.

“Rispettiamo la scelta del Pd”, dice Alfano. Quando “rispettare” vuol dire “non criticare”.

Il senso di Pippo Civati per la Privacy

 213 total views

Screenshot da www.civati.it

Io Pippo Civati non lo capisco. E non capirò mai neanche il perché abbia un seguito femminile così acceso e caloroso. Ma parliamo d’altro.

Ha inserito un sondaggio nel suo sito personale. Scopo del sondaggio dovrebbe essere quello di raccogliere il maggior numero possibile di opinioni sull’opportunità di votare la fiducia o meno in Parlamento al neogoverno Renzi e a tutte le renzine e ai renzini che ne fanno parte con malcelato orgoglio. In breve, fiducia o abbandono delle fila del PD. Che, voglio dire, dovrebbe anche saperlo un gocciolino da se solo, invece di chiederlo agli altri.

Per fare una cosa di questo genere basterebbe un formulario a due risposte, visto che tertium non datur e che ubi maior minor cessat.

Macché, sono ben UNDICI domande quando ne sarebbe bastata una, la prima.

Già la seconda è particolarmente fastidiosa: “Indipendentemente dalla tua risposta alla domanda 1, quali ragioni reputi valide per votare la fiducia?” Ma come sarebbe a dire “Indipendentemente dalla mia risposta alla domanda 1”?? Se io dovessi dire che la fiducia a Renzi non va votata come faccio a reputare valide alcune ragioni per farlo? In effetti tra le risposte possibili (max. 3) ce n’è una che dice “Non ci sono ragioni valide che giustifichino il Si alla fiducia” e “Sì”, ovviamente, è scritto anche senza accento.

La terza domanda è in par condicio: “Indipendentemente dalla tua risposta alla domanda 1, quali ragioni reputi valide per non votare la fiducia?”, quindi rovesciate il ragionamento di cui sopra e avrete le risposta.

Dalla quinta scelta in poi si va sul personale. Ben 7 domande su 11, non c’è male.

Si inizia con il classico uomo-donna, per proseguire con l’indicazione delle fasce d’età (sono compreso nella penultima, “tra i 46 e i 60 anni“, appena scendo negli inferi dell’ultima fascia, “sopra i 60 anni” vado direttamente a Lourdes su un wagon-lit della Croce Rossa). “In quale provincia vive?” “Qual è il suo titolo di studio?” Chissà che cosa cambia nella legittimità dell’espressione di un’opinione tra un laureato di Trento e un contadino con la licenza media di Ragusa (come se a Trento non ci fossero persone con la licenza media e come se a Ragusa non ci fossero laureati!).

Splendido il parco-risposte alla domanda n. 9 “Qual è la sua attuale occupazione?” in cui è contemplata l’opzione “Non sa”. Ma chi è che NON SA quale sia la sua occupazione?? Voglio dire, chi è che esce la mattina di casa e va a esercitare una non-attività in un non-luogo? Giusto il protagonista di “Un giorno di ordinaria follia“!
E alla fine di tutto “Per favore, inserisca la sua mail.”

Ah, ecco cosa volevi, Civati, non volevi la mia opinione, volevi la mia mail. Non ti bastava il mio anonimato o registrare un semplice indirizzo IP di provenienza. Cos’è, vuoi scrivere a tutti quelli che non sanno quale occupazione hanno? Quelli che sono disoccupati a loro insaputa??

Meno male che c’è un pistolottino sulla Privacy da leggere. Dice così: “I dati personali, anche di natura sensibile, conferiti dall’Utente, saranno trattati esclusivamente per finalità di registrazione dell’Utente e per comunicare con l’Utente registrato.”

Ma è proprio quello che mi preoccupa. Che qualcuno “registri” me quando invece dovrebbe esclusivamente registrare le mie risposte. E anche che qualcuno desideri “comunicare” con me. Perché mai dovrebbe farlo? Vuole sapere se per caso non so che numero porto di scarpe? O se non so chi ho votato alle ultime elezioni?

Va bene, facciamo così: io rispondo e do il mio indirizzo di posta elettronica. Poi gliene chiedo la cancellazione. Se non rispondono o non ottemperano vado dal Garante della Privacy. Seguite il blog, è solo l’inizio.

 

Renzi (o, come dicevan tutti, Renzi)

 258 total views

Insomma, hanno sfiduciato loro stessi, con 136 voti della direzione su 496 parlamentari nominati.

Si sono sottratti al passaggio parlamentare, attraverso cui qualsiasi crisi di governo si deve risolvere in una democrazia degna di questo nome (quindi non nel nostro caso) con registrazione di nomi e cognomi dei contrari e dei favorevoli.

Non è neanche l’alba di quanto di peggio il nostro Paese possa aspettarsi: è l’inizio del quarto governo Berlusconi.

Risposta ad Alessandra Moretti (PD) che ha scritto al Corriere

 212 total views,  1 views today

Siamo alle solite.

L’argomento è “violenza, insulti, machismo e web”.

La protagonista e portavoce della nuova proposta riverberata tramite il Corriere on line è la deputata Alessandra Moretti. Del Partito Democratico. No, è bene precisarlo, beninteso.

Le proposte della Moretti fanno semplicemente indignare e mostrano -nel caso avessimo ancora qualche dubbio residuo in proposito- quanto divario esista tra il Parlamento e la Rete. Ben più arcaico, rozzo, incapace e nolente di approcciarsi al mezzo telematico il primo, ça va sans dire.

Per rendersi conto della gravità della proposta della Moretti, è necessario andare a commentare parte della sua lettera, che, per intero, è stata pubblicata su questa pagina.

(…) il parlamento più femminile che mai e il web più maschilista di sempre.

Un parlamento “femminile” non è un parlamento “femminista” (che sarebbe da contrapporre al “maschilista” di cui sopra). Non dimentichiamoci che è stata una donna, la Presidente Laura Boldrini, a tagliolare per la prima volta nella storia repubblicana l’opposizione che stava facendo ostruzionismo. Il web è “maschilista” perché la sua sta diventando la modalità dell’insulto e l’insulto è, nell’immaginario collettivo, “maschile” per eccellenza. Non so quanto “maschilista” perché a fronte di un numero sempre più elevato di invidui di sesso maschile che insultano nel web, troviamo anche qualche perfetto esempio femminile che vaffanculeggia il prossimo in Parlamento: vi ricordate il “Vaffanculo” dell’onorevole Picierno, guarda caso del Partito Democratico (eh, lo so, a volte si dice la coincidenza) profferito a fine settembre? No, eh?? Io invece sì. Premessa che non tiene quella della Moretti. Ma andiamo avanti.

Claudio Magris ha aperto sulle pagine del Corriere la riflessione sulla diffidenza, sulla distanza da prendere da Facebook e Twitter. Io dico un’altra cosa: riprendiamoci la libertà di dire la nostra sul web.

Con tutto il rispetto per Claudio Magris ritengo che la diffidenza sia il peggiore degli atteggiamenti. Se io diffido di qualcuno o di qualcosa è perché penso che mi possa fare del male. O perché lo temo. Facebook e Twitter non fanno male. Sono lì per chi desidera iscriversi. Chi non lo vuol fare può starsene benissimo a navigare il restante 99,99% della rete. Blog, testate giornalistiche, newsgroup, mailing-list e sotto a chi tocca. Si può commentare (e insultare) anche da lì, tant’è che molta gente lo sta facendo da anni.
Ma cosa vuol dire “riprendiamoci la libertà di dire la nostra sul web.”? Qualcuno l’aveva forse limitata? C’è qualcun altro che toglie i polpastrelli delle dita dalla tastiera di chi vuole esprimersi in rete? Hanno approvato una legge che vieta alla gente di scaricarsi una meraviglia assoluta come WordPress e farcisi un blog come vogliono loro? Non mi pare proprio.
Qual è, dunque, l’agente limitante della nostra libertà di parola e di comunicazione sancite e sacrosantate dalla Costituzione? L’insulto? Non si può parlare perché la gente in rete ci insulta? Ma questo accade sempre. Può accadere in un contesto non “virtuale” (Dio stramaledica chi ha coniato l’aggettivo “virtuale”) senza dimenticare che chi scrive in rete è il barista che ci serve il caffè, il meccanico che ci ripara l’auto, perfino il professore della scuola dei nostri figli, un poliziotto, un carabiniere o un giudice o un pubblico ministero (avranno delle opinioni anche loro da esprimere fuori dal loro ambito di servizio, no??)

Più avanti:

Mi sono presa l’onere di ripetere in tv l’insulto che mi era stato rivolto in commissione alla Camera e ciò sia per un dovere di cronaca, ma anche per dire che non abbiamo più paura degli stereotipi, nemmeno quelli che ci vogliono «signore» che non usano certi linguaggi.

Ma bene, siccome esistono dei luoghi comuni e degli stereotipi che vedono la donna (soprattutto la donna parlamentare) come una campionessa del bon-ton e per nulla incline al dirty-talking, occorre ribaltare questa credenza e far vedere che, no, le parolacce, gli insulti, la diffamazione sono anche coniugabili al femminile (cosa di cui, comunque, non nutrivo alcun dubbio anche da prima, ma meno male che è venuta la Moretti a togliermi questi dubbi perché confesso che non ci stavo dormendo la notte).
Dunque, premesso che adesso basta con il luogo comune che vuole le donne bene educate, ripetiamole in TV quelle frasi di cui siamo state vittime, così, magari, se qualche minore ascolta, le sente anche lui. Per “diritto di cronaca”.

“Esiste la necessità, l’urgenza di reagire. Tanto per cominciare smettendo di fare le vittime! Mostriamo le facce e i volti di chi pensa di intimidirci con offese sessiste.”

La prima che fa la “vittima” è proprio la Moretti quando non si accontenta degli strumenti che la legge mette a disposizione del cittadino (e, dunque, anche del parlamentare) e pretende di pubblicare i volti delle persone che offendono. A parte il fatto che su Facebook e su Twitter spesso la faccia di una persona viene associata al commento o all’intervento (a parte quando la gente ci mette la foto del figlio neonato, quella sì, vera criminalità informatica), ma se qualcuno insulta dai commenti su un quotidiano on line cosa si fa? Beata la Moretti che ha potuto querelare un egregio signor Nome e Cognome. Tutto quello che può fare un cittadino in altri casi è andare dal magistrato con una querela contro ignoti o contro tale “Peperita Patty” o “Cacciavite 64”.
E, comunque, se il web non può, giustamente, diventare il regno dell’insulto impunito, non può diventare nemmeno una pubblica gogna.
Personalmente ho sporto ben 12 querele per diffamazione. Una sola è arrivata a processo. Anzi, neanche lì. Le altre ronfano nei cassetti del Pubblico Ministero in attesa che squilli la tromba della prescrizione. Due sono state archiviate.
Non auguro alla Moretti che la sua querela segua questo oblio tanto diffuso e, comunque, io non mi sognerei mai di mettere sul mio blog il volto di chi mi ha diffamato senza un regolare processo e una sentenza di condanna passata in giudicato. Se no questa è caccia alle streghe. Siccome IO ritengo di essere stato infamato da Tizio, Tizio diventa a sua volta un infame da sbattere sui giornali o sui siti web? No, non ci sto e non ci starò mai.
E poi quale pena rischia normalmente un diffamatore? Una multa, a meno che non si chiami Sallusti. Il tentativo di riforma del reato di diffamazione va proprio verso l’esclusione del carcere, cosa gliene frega alla gente di vedere la faccia di chi ha diffamato? Casomai bastano il nome e il cognome, visto che la sentenza dovrebbe essere pubblica. Appunto, la sentenza, non la foto segnaletica.

“Denunciamo pubblicamente quelle persone che passano il tempo a inquinare uno spazio che dovrebbe essere di tutti, ma che purtroppo al momento è solo di chi ha la voce più grossa (e di timbro maschile). Denunciamo alla polizia postale e replichiamo agli insulti. Non restiamo immobili, non arretriamo perché l’offesa brucia tanto quanto uno schiaffo e a questo tipo di linguaggio dobbiamo rispondere per le rime, proprio oggi quando possiamo cambiare la cultura del Paese costruendo una vera leadership femminile non ricalcata su quella del maschio.

Sì, denunciamoli. Ma prima di tutto alla Procura della Repubblica. La giustizia-fai-da-te non è che non sia migliore di quella ufficiale, è che non funziona nello stesso modo, tutto lì. Lo so benissimo che arrivare a sette anni per avere una sentenza di primo grado e vedersela poi sfumare sei mesi dopo è frustrante. Ma ci può essere chi riconosce il danno civile e vuole arrivare a un risarcimento. La gente non è tutta così carogna, e allora si può anche evitare (a volte e in certi casi) tutto questo tintinnar di Facebook al primo accenno di chiusura delle indagini o di citazione diretta a giudizio (per una diffamazione non ti dànno nemmeno il beneficio di una udienza-filtro, normalmente tocca farla al giudice monocratico che se ne scoccia pure).
E sia chiaro che lo “spazio di tutti” non esiste. E’ un mito, una concezione che fa più comodo a noi che alla verità. Facebook e Twitter sono spazi di proprietari individuati con Nome e Cognome. I signori Nome e Cognome, appunto, ne sono proprietari. Loro sono i server, loro sono i software, loro sono le infrastrutture, loro è il regno, loro la potenza e la gloria nei secoli. Se decidono di spegnere l’interruttore, addio “Mi piace” retweet e via cincischiando.ù
Quando diciamo “Il MIO profilo Facebook” diciamo una cosa che non è neanche inesatta, ma che non esiste proprio. Non siamo proprietari di un bel nulla. Questo blog esiste solo perché Aruba mi dà la possibilità di tenerlo in linea pagando una cifra più che ragionevole, ma se volessero dire domani “Signori, abbiamo scherzato, adesso vi rimborsiamo tutti e tra un mese non diamo più questo servizio” o mi trovo un altro hosting o col cavolo che continuo a parlare de “il mio blog“!
E non si replica agli insulti con altri insulti. “Occhio per occhio rende tutto il mondo cieco”, diceva il Mahatma!

È dunque maturo il tempo per dotarsi di strumenti che ridistribuiscano il diritto a esistere e a fare opinione sul web: sono la promotrice di una proposta di legge sull’hate speech (incitazione all’odio) in rete, firmata dal capogruppo del Pd e da un sostanzioso numero di giovani deputati under 35.

Il diritto a esistere e a fare opinione c’è già. Gli strumenti idem. Sono, forse, i parlamentari che non se ne sono accorti. Da quando Beppe Grillo ha un blog tutti corrono alla ricerca del consenso info-telematico. Va benissimo che si pongano sullo stesso livello dal punto di vista dei mezzi. Voglio dire, esiste beppegrillo.it, esiste valeriodistefano.com esisterà un onorevolepincopallino.org e via discorrendo. Poi se valeriodistefano.com ha un infinitesima diluzione omeopatica di accessi rispetto a beppegrillo.it questo fa parte del gioco.
Perché non basta esserci. Bisogna anche essere seguiti. E per essere seguiti occorrono molte cose, prima fra tutte (ma non definitivamente risolutrice) l’essere credibili.
E allora, in che cosa consiste questa proposta di legge che si basa sull’anglofonia a tutti i costi, tanto da preferire “hate speech” e mettere tra parentesi i corrispondente italiano?
Non mi interessa sapere da chi viene proposto questo strumento, voglio sapere che cosa prevede.
Il crimine d’odio in Italia non esiste di per sé in forma generica, e non sarebbe male, in astratto, inserirlo. Ma occhio a non confondere la diffamazione con l’odio. Se do del “cretino” a qualcuno non è detto che io inciti al razzismo e alla xenofobia. E se dico “brutta troia schifosa” a una donna? E’ molto difficile che davanti a un giudice terzo possa resistere l’accusa di incitazione all’odio. Anche perché con un’offesa alla persona non si incita proprio nessun altro a odiare.
E poi perché il crimine d’odio dovrebbe riguardare soltanto la rete? Forse che una incitazione all’odio ha più effetto se commessa su Facebook, mentre se uno la commette in piazza durante un comizio politico, magari esaltando il Duce, è meno grave?

“Occorre che i provider inizino un processo di responsabilizzazione dei contenuti, affinché la rete resti luogo di dibattito libero e democratico e non spazio per dare sfogo anche alle peggiori frustrazioni e agli istinti più bassi.”

I provider? Non mi risulta che ai provider spetti un dovere educativo. Generalmente si limitano a fare affari. Ci puoi aprire una casella di posta elettronica, ma se la usi per spammare o per offendere la gente sono affari tuoi, non del provider. Puoi prendere un dominio, in Italia o all’Estero, diffonderci l’opera di San Tommaso d’Aquino o le fotografie di Hitler, sei sempre tu che agisci, non il provider. La responsabilità penale è personale, non è che WhatsApp o Google devono per forza aderire al metodo Montessori. Per il semplice fatto che non spetta a loro metterlo in atto.

“Ma il principio è anche quello di diffondere una cultura personale della responsabilità dell’insulto: perché il problema non è la rete ma chi la usa.”

Molto bene. Se il “principio” è quello della cultura personale della reponsabilità della persona nell’insulto (o nell’ingiuria) c’è l’art. 27 della Costituzione che la stabilisce. E dal 1948. Dov’è la novità della decantata proposta legislativa? Non c’è a parte il presunto diritto di mettere on line i volti dei diffamatori.

(…) è una legge pensata per le ragazze: è importante che capiscano che reagire è facile, che come si è fatta una battaglia contro la violenza fisica, il cui primo grande risultato è la legge sul femminicidio, ora se ne sta iniziando una nuova.

Ah, è una legge pensata per le ragazze? Ma i cittadini non sono tutti uguali davanti alla legge? Un uomo non può essere insultato? Di quelle dodici querele che ho sporto in Procura una è rivolta a una donna. E vi posso assicurare che le sue offese non contenevano esattamente preghiere. E allora cosa avrei dovuto fare? Non querelarla SOLO perché è una donna?

Si può fare molto anche a livello di comunicazione: pubblicare i volti di chi pensa di insultare impunemente sul web è un modo per rafforzare e condividere la reazione. «In alto gli Ipad», dunque: facciamo vedere le facce di chi cerca di intimidirci, limitando la nostra libertà personale.

Siamo in uno stato di diritto. L’unica pena è quella comminata dalla magistratura, ed è profondamente ingiusto aggiungerne una a nostro piacimento. Non sono previste pene accessore (come, ad esempio, la pubblicazione per estratto della sentenza su uno o più quotidiani come, ahimé, è previsto per i vucumprà che vendono i CD tarocchi o le cinture con il marchio contraffatto -almeno in questo ci distinguiamo, i vucumprà li schiaffiamo sul giornale ma possiamo ingiuriare chi ci pare che sul giornale non ci finiamo-). E quanto della sensibilità personale va a influire sulla percezione dell’ingiuria? Non è solo perché io mi sento ingiuriato che l’altro mi ha ingiuriato davvero. Generalmente viene avvertita come ingiuria qualunque espressione di un’opinione contraria. Dai tempi di Milan, Juve, Inter, Napoli se non tifi la mia squadra non sei mio amico.
E, infine, “In alto gli I-Pad”. Non si è proprio capita. E’ l’orgoglio dello Steve Jobs-compatibile?? Che differenza fa se uno accede a Internet con un I-Pad piuttosto che col PC di casa o con il tablet. E’ come dire “In alto il Mac!!” (e chi ha Linux? Chi ha Windows??) o “In alto gli MP3!” (io uso anche i file .ogg, qualcosa in contrario?).
In alto (nel senso di “¡Arriba!” o “Haut levé(e)”) siano, piuttosto, la dignità e la conoscenza a cui tutti abbiamo diritto fin dalla notte dei tempi. Quelle che nessun Facebook, nessun Twitter e nessuna Wikipedia ci potranno mai negare.

Beppe Grillo indagato. Ora ognuno si schieri col proprio pregiudicato preferito

 222 total views

Nei confronti di Beppe Grillo il pubblico ministero della Procura della Repubblica di Torino ha chiesto 9 mesi di reclusione per violazione dei sigilli della Baita Clarea in Val Susa.

A Genova è stato aperto un fascicolo su di lui per il reato di istigazione a disobbedire alle leggi.
Il 10 dicembre scorso aveva scritto “Vi chiedo di non proteggere più questa classe politica che ha portato l’Italia allo sfacelo, di non scortarli con le loro macchine blu o al supermercato, di non schierarsi davanti ai palazzi del potere infangati dalla corruzione e dal malaffare. Le forze dell’ordine non meritano un ruolo così degradante. Gli italiani sono dalla vostra parte, unitevi a loro. Nelle prossime manifestazioni ordinate ai vostri ragazzi di togliersi il casco e di fraternizzare con i cittadini. Sarà un segnale rivoluzionario, pacifico, estremo e l’Italia cambierà. In alto i cuori”.

Capite bene anche voi che sono reati di una gravità estrema. E capite anche che dopo la sua condanna, Grillo diventerà il vomitiere di una classe politica ormai lavorata ai fianchi dalla magistratura.

Ma è un privato cittadino e può permettersi anche di essere condannato. Chi siede in Parlamento un po’ meno.

E a quel punto, ognuno si schieri dalla parte del proprio pregiudicato preferito.

I nomi dei 150 parlamentari nominati con la norma del premio di maggioranza dichiarata incostituzionale

 215 total views

Ecco, li pubblico anch’io. Sono i nomi dei 150 eletti con la norma del premio di maggioranza dichiarata incostituzionale dalla Suprema Corte Costituzionale.
Moltissimi sono del PD, qualcuno di SEL, ne spicca uno della SVP, uno è Bruno Tabacci (che si mimetizza grazie all’ordine alfabetico) e un altro è segretario per la giunta delle elezioni.

Ora li conoscete anche voi.

Luciano Agostini, pd, SEGRETARIO della XIII COMMISSIONE (AGRICOLTURA)
Luisella Albanella, pd
Maria Amato, pd
Maria Teresa Amici, pd, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
Sofia Amoddio, pd
Maria Antezza, pd, SEGRETARIO della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
Michele Anzaldi, pd, SEGRETARIO della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L’INDIRIZZO GENERALE E LA VIGILANZA DEI SERVIZI RADIOTELEVISIVI
Tiziano Arlotti, pd
Anna Ascani, pd
Cristina Bargero, pd
Davide Baruffi, pd
Gianluca Benamati, pd
Paolo Beni, pd
Marina Berlinghieri, pd
Franca Biondelli, pd
Tamara Blazina, pd
Antonio Boccuzzi, pd
Paolo Bolognesi, pd
Lorenza Bonaccorsi, pd
Francesco Bonifazi, pd, PRESIDENTE della COMMISSIONE GIURISDIZIONALE PER IL PERSONALE
Franco Bordo, sel
Maria Elena Boschi, pd, SEGRETARIO della I COMMISSIONE (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)
Francesco Bruno, centro democratico
Giovanni Burtone, pd
Roberto Capelli, centro democratico
Salvatore Capone, pd
Sabrina Capozzolo, pd
Ernesto Carbone, pd
Daniela Cardinale, pd
Renzo Carella, pd
Mara Carocci, pd
Piergiorgio Carrescia, pd
Ezio Casati, pd
Floriana Casellato, pd
Bruno Censore, pd
Khalid Chaouki, pd
Eleonora Cimbro, pd
Paolo Coppola, pd
Maria Coscia, pd
Celeste Costantino, sel
Paolo Cova, pd
Stefania Covello, pd
Filippo Crimì, pd
Diego Crivellari, pd
Gian Pietro Dal Moro, pd
Luigi Dallai, pd
Vincenzo D’Arienzo, pd
Roger De Menech, pd
Marco Di Stefano, pd
Vittoria D’Incecco, pd
Umberto D’Ottavio, pd
Donatella Duranti, sel
David Ermini, pd
Luigi Famiglietti, pd
Edoardo Fanucci, pd
Daniele Farina, sel
Andrea Ferro, pd
Aniello Formisano, centro democratico
Filippo Fossati, pd
Gian Mario Fragomeli, pd
Silvia Fregolent, pd
Maria Chiara Gadda, pd
Guido Galperti, pd
Paolo Gandolfi, pd
Francesco Garofani, pd
Daniela Gasparini, pd
Federico Gelli, pd
Manuela Ghizzoni, pd, VICEPRESIDENTE della VII COMMISSIONE
Roberto Giachetti, pd, VICEPRESIDENTE della CAMERA DEI DEPUTATI, PRESIDENTE del COMITATO PER LA COMUNICAZIONE E L’INFORMAZIONE ESTERNA
Dario Ginefra, pd
Giancarlo Giordano, sel
Andrea Giorgis, pd
Fabrizia Giuliani, pd
Marialuisa Gnecchi, pd
Sandro Gozi, pd, PRESIDENTE della DELEGAZIONE PRESSO L’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA
Gero Grassi, pd
Monica Gregori, pd
Chiara Gribaudo, pd
Giuseppe Guerini, pd
Mauro Guerra, pd, PRESIDENTE del COLLEGIO D’APPELLO
Maria Tindara Gullo, pd
Itzhak Gutgeld, pd
Maria Iacono, pd
Tino Iannuzzi, pd, VICEPRESIDENTE della VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI)
Leonardo Impegno, pd
Vanna Iori, pd
Florian Kronbichler, sel
Luigi Lacquaniti, sel
Carmelo Lo Monte, centro democratico
Pia Locatelli, pd
Alberto Losacco, pd
Ernesto Magorno, pd
Simona Malpezzi, pd
Massimiliano Manfredi, pd
Irene Manzi, pd
Maino Marchi, pd
Giulio Marcon, sel
Raffaella Mariani, pd
Elisa Mariano, pd
Siro Marrocu, pd
Giovanna Martelli, pd
Pierdomenico Martino, pd
Davide Mattiello, pd
Gianni Melilla, sel
Fabio Melilli, pd
Marco Meloni, pd
Marco Miccoli, pd
Anna Margherita Miotto, pd, SEGRETARIO dell’UFFICIO DI PRESIDENZA
Colomba Mongiello, pd
Alessia Morani, pd
Sara Moretto, pd
Antonino Moscatt, pd, SEGRETARIO della GIUNTA DELLE ELEZIONI
Nicodemo Oliverio, pd
Mauro Ottobre, svp
Giovanni Paglia, sel
Giovanna Palma, pd
Massimo Paolucci, pd
Oreste Pastorelli, pd
Luca Pastorino, pd
Serena Pellegrino, sel
Paolo Petrini, pd
Teresa Piccione, pd
Giorgio Piccolo, pd
Giuseppina Picierno, pd
Nazzareno Pilozzi, sel
Giuditta Pini, pd
Antonio Placido, sel
Roberto Rampi, pd
Ermete Realacci, pd, PRESIDENTE della VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI)
Francesco Ribaudo, pd
Alessia Rotta, pd
Francesco Sanna, pd
Arcangelo Sannicandro, sel
Daniela Sbrollini, pd
Ivan Scalfarotto, pd
Gian Piero Scanu, pd
Manfred Schullian, svp, SEGRETARIO dell’UFFICIO DI PRESIDENZA
Arturo Scotto, sel
Chiara Scuvera, pd
Angelo Senaldi, pd
Bruno Tabacci, centro democratico, PRESIDENTE della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER LA SEMPLIFICAZIONE
Alessandra Terrosi, pd
Guglielmo Vaccaro, pd
Franco Vazio, pd
Silvia Velo, pd
Laura Venittelli, pd, VICEPRESIDENTE della COMMISSIONE GIURISDIZIONALE PER IL PERSONALE
Walter Verini, pd
Rosa Maria Villeco Calipari, pd, VICEPRESIDENTE della IV COMMISSIONE (DIFESA)
Sandra Zampa, pd, VICEPRESIDENTE della COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
Filiberto Zaratti, sel

La Corte Costituzionale boccia la Porchetta

 776 total views

Se ne devono andare tutti, subito.
Sì, compresi quelli del Movimento 5 Stelle.

Il Porcellum è incostituzionale. Quindi i parlamentari che siedono in Parlamento sono delegittimati perché il premio di maggioranza e l’impossibilità di esprimere la preferenza li sfiducia incontrovertibilmente.

La nuova legge elettorale non può essere stesa, discussa e approvata da una manica di nominati incostituzionali.

Per il resto lasciatemi sognare.

Laura Boldrini: Guten Hashtag!

 617 total views

Non ci sono più parole per raccontare le reazioni verbali e non di Laura Boldrini di fronte alle presunte offese che le giungono.

Infatti, se da una parte le espressioni rivoltele possono far legittimamente pensare a un’intenzione diffamatoria, dall’altra i suoi pasticci telematici prestano il fianco a una interpretazione quanto meno pretestuosa dell’indignazione dimostrata davanti a quelle espressioni suppostamente denigratorie.

Beppe Grillo ebbe, giorni fa, a definire la Boldrini “un oggetto di arredamento del potere, non è stata eletta ma nominata da Vendola”.
Ora, indubbiamente sentirsi definire “oggetto di arredamento” sa molto di soprammobile e può ferire e urtare la sensibilità personale. La Boldrini avrebbe avuto tutto il diritto di rivolgersi alla magistratura per vedere se quelle parole sono o non sono un’offesa o se sono frutto (come io sono convinto) del diritto di critica di Beppe Grillo.

Ma la Boldrini ha contrattaccato, e l’ha fatto sul web, attraverso il suo account Twitter: “Grazie alle parlamentari di diversi partiti per la solidarietà contro un’offesa a tutte le donne. Grazie a chi sta twittando #siamoconlaura”.

Facile la contromossa: “Le critiche sono rivolte a lei, non alle donne italiane. Si vergogni di usarle come scudo per la sua incosistenza.”

Al che, inspiegabilmente, la Boldrini cancella il suo intervento su Twitter. Che viene comunque ripreso da svariate testate giornalistiche, il TG1 in testa. Viene anche ripreso dallo stesso blog di Grillo, ma col passare delle ore viene a mancare sempre di più la fonte diretta. Nessuno, in breve, che si sia preso la briga di “fotografare” il post prima della sua cancellazione. E le notizie riportate di seconda mano sono sempre un po’ antipatiche.

Sono riuscito a ritrovarne tracce sicure, perché il post originale è, purtroppo, stato cancellato anche dalla cache di Google.

Ma andando a cercare proprio su Google la stringa “solidarietà contro un’offesa a tutte le donne” (l’ultima parte dello scritto della Boldrini) si trova che l’intervento, ancorché cancellato, è stato regolarmente indicizzato:

(clicca sull'immagine per ingrandirla)

Qui potete vederlo in versione più ingrandita:

I riferimenti sono chiari, c’è l’indirizzo web dell’account della Boldrini e c’è anche il numero di riferimento del post. Il testo è proprio quello, così com’è stato riportato.

Su Twitter i toni si sono un po’ smorzati (Grazie ai gruppi della #Camera per il sostegno in aula non tanto alla mia persona, ma all’Istituzione che rappresento – Grazie a chi ha firmato una nota di solidarietà nei miei confronti e ai tanti che stanno retwittando)

ma su Facebook la Boldrini rilancia: “Così tanti attestati di vicinanza e solidarietà oltre a farmi piacere sono la prova che chi voleva offendere me ha in realtà offeso tutte le donne. Fuori e dentro la Camera.” In breve, si arroga il diritto di rappresentare tutte le donne (“fuori e dentro la Camera”, ci tiene a precisare, come se ci fosse differenza), anche quelle che possono essere d’accordo con Grillo e, quindi, non sentirsi minimamente offese.

Non esiste la diffamazione di genere e la Boldrini non ne è l’emblema. Abbia almeno la compiacenza di non parlare anche in nome di chi non si sente rappresentata da lei.

Lettera al Senatore Francesco Russo (PD)

 260 total views

Senatore Russo,

ho letto la Sua lettera a Beppe Grillo, che riporto qui sotto per comodità dei lettori del mio blog e, nello spirito della libertà di opinione e di critica, ho deciso di risponderLe.

Cominciamo dal fondo (in cauda venenum).

Beppe Grillo non è un parlamentare, è vero. Non è necessario esserlo per esercitare i propri diritti politici, in particolare quello di formare un movimento. Così come non è necessario essere incensurati. Se il vostro alleato Silvio Berlusconi prendesse anche solo minimamente atto di questo, non assisteremmo al gioco al rimando e al perdere tempo della Giunta per le Elezioni che dovrebbe sindacarne l’incompatibilità con la carica che riveste.

Grillo è stato condannato per un delitto colposo e non doloso. Mettere sullo stesso piano i 14 mesi per omicidio colposo plurimo cui è stato condannato Grillo, con le pene cui vengono condannati i parlamentari (si pensi, appunto, ai 4 anni di reclusione per il vostro alleato Berlusconi) è semplicemente inaccettabile.
Il titolo della Legge Severino reca chiaramente “disposizioni in materia di incandidabilita’ e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”. Quindi è evidente che con quella condanna Grillo potrebbe benissimo candidarsi, e che, se non lo fa, è solo per il suo senso civico, fermo restando che, comunque, sarebbe una condanna di entità inferiore ai due anni.

Il PD, invece, ha deciso di candidare nel 2008 alla Camera dei Deputati, nel collegio Sicilia 1 Enzo Carra, che era stato condannato in via definitiva a un anno e quattro mesi il 5 aprile 1995 per false dichiarazioni al pubblico ministero.
Nell’ottobre del 2009 è eletto all’assemblea nazionale del PD nella lista “Democratici per Franceschini”.
O ve lo siete dimenticato??
Lei mi dirà che Carra ha abbandonato il PD per aderire ad altra formazione politica, ma intanto lo avete candidato voi.

Lei elenca tutta una serie di azioni decisamente lodevoli e degne di un buon rappresentante delle Istituzioni. Accompagnare i figli in autobus, servirsi dei mezzi pubblici, essere assiduo al proprio lavoro parlamentare, non rubare (ci mancherebbe anche altro!), ma questi sono comportamenti che un senatore dovrebbe mantenere normalmente. Lei non sta facendo gesti eccezionali, sta semplicemente facendo il Suo dovere. In un paese in cui la normalità è diventata eccezione e, quindi, evento, mantenere la parola data probabilmente costituisce una notizia. Ma non lo è. Io, cittadino, posso solo aspettarmi che chi mi rappresenta e mi deve rendere conto (e Lei, come tutti gli altri Suoi colleghi senatori, deve rispondere a me anche se non l’ho votata e non ho votato il Suo partito) sia migliore di me. Più che aspettarmelo, lo esigo.

Sono contento per l’esito fondamentale della Sua battaglia per l’abolizione dei fax dalla pubblica amministrazione. Ma mi chiedo com’è che ne vedo ancora tanti in giro per gli uffici pubblici. Personalmente sono il fortunato possessore di una casella di Posta Elettronica Certificata, che uso con molta soddisfazione in tutte le mie relazioni con la Pubblica Amministrazione, fatto salvo il caso che ricevo sempre risposte cartacee, a volte per raccomandata. Per cui i cittadini pagano per quello che potrebbe essere loro risparmiato.
C’è una voragine di divario di conoscenze tecnologiche e opportunità operative nella Pubblica Amministrazione, abolire i fax è come togliere una ragnatela nel laboratorio del Dr. Frankenstein.

Ma mi dica, Senatore, Lei che si dichiara così “fiero di essere del PD”, come si fa a tornare a casa la sera e avere sulla coscienza l’aver votato assieme al PDL per ordine di partito? Come si fa a coniugare le istanze degli elettori cosiddetti “di sinistra” con quelle della destra cui fino alla scorsa legislatura il PD avrebbe dovuto fare da opposizione? Come si fa a dire, legittimamente, “non ho conflitti di interesse” e stare nella stessa formazione politica che non ha mai mosso un dito per fare la legge sul conflitto di interesse e limitare Berlusconi? Ma non si dorme un po’ male? No, eh??

Valerio Di Stefano
Cittadino italiano


Caro Beppe,
io mi sono tagliato lo stipendio,
vengo in Aula in metropolitana,
porto i miei figli a scuola in autobus,
ho il 96% di presenze in Parlamento,
non rubo,
non ho conflitti d’interesse,
non sono in Parlamento da 20 anni,
mantengo la parola data,
ho vinto la battaglia per abolire i fax dalla pubblica amministrazione,
non voglio tornare a votare con il Porcellum.
Eppure sono un senatore del PD e non del M5S. E ne vado fiero, sono orgoglioso di appartenere a un Partito in cui:
il pluralismo è un valore e non un virus da debellare
i processi decisionali sono chiari e trasparenti
il candidato premier viene eletto da 3 milioni di persone
il mio leader non è né pregiudicato né condannato in via definitiva.
Perciò se credi davvero che l’onestà debba tornare di moda e il Parlamento riconquistare la centralità decisionale perduta allora comincia a dare il buon esempio: smettila di parlare sempre tu a nome del Movimento e passa il testimone. Perché tu in Parlamento non ci sei. E perché, fino a prova contraria, quello condannato in via definitiva sei tu, non i parlamentari del PD.

Cordialmente

Un senatore (fiero di essere) del PD

La Boldrini, le molestie, la diffamazione e la rete

 407 total views,  1 views today

da: www.lastampa.it

Dunque la Boldrini, da quando è stata eletta Presidente della Camera, avrebbe ricevuto un numero significativo di messaggi telematici di minaccia e/o a sfondo sessuale.

Ha buttato lì una considerazione sull’opportunità di nuove regole, ma non si è capito bene se queste nuove regole devono essere studiate espressamente per la rete o per il reato di stalking.
In ogni caso è un flop, perché parte dal concetto (tragicamente sbagliato) che la rete non sia regolamentata. Per la rete valgono le stesse regole già presenti nei codici della società civile. I reati di minacce e diffamazione, nonché quello di molestie (anche sessuali) si possono commettere (anche) tramite la rete.
Quindi si va dal magistrato e si presenta una querela (viceversa questi reati non possono essere perseguiti).
Se poi si ritiene che le leggi attualmente in vigore non siano adeguate per tutelarci c’è il Parlamento in cui si può discutere in maniera democratica se inasprire le pene o meno o se inserire nuove fattispecie di reato. E la Boldrini è, si veda il caso, la Presidente di uno dei due rami del Parlamento.

E chissà in quale àlveo dorato hanno vissuto i nostri parlamentari, che hanno così tanta paura della rete da voler intervenire sui reati commessi suo tramite. L’odore di censura comunque c’è. E si sa che ciò che non si conosce ci sfugge e allora bisogna pure ingabbiarlo in qualche modo, perché ciò che non si conosce ci fa paura.
E allora si può concepire tranquillamente una critica come un’ingiuria perché il solo fatto che venga diffusa con un mezzo a noi sconosciuto ce la fa ingigantire e vivere in modo abnorne.

Oggi, tra l’altro, è la giornata mondiale della libertà di stampa. Ma ce ne siamo tranquillamente dimenticati (già, come sarà???).

Laura Boldrini: “Non immaginavo questa povertà in Italia”

 337 total views

Questa Signora dall’aria mite e dai modi edulcorati, per volere del neo-eletto Parlamento, e in particolare del PD, Presidente della Camera dei Deputati, durante una conferenza stampa a Civitanova Marche, in occasione dei funerali delle tre vittime della strage di stato, suicide non per la crisi economica che ha strangolato i loro conti in banca, ma per la politica che ha strangolato le loro esistenze più intime, ha detto:

“Non immaginavo questa povertà in Italia”.

No? Decine di viaggi in tutto il mondo per occuparsi degli ultimi, dei più poveri e degli emarginati ed è stato necessario che tre persone si togliessero la vita a pochi chilometri dalle sue radici (l’attuale Presidente della Camera è nata a Macerata) per rendersi conto che la gente è alla canna del gas.

Questa legislatura non durerà. E’ troppo lontata dalla gente e dai bisogni del Paese. Invitare Papa Francesco o auspicarne la visita alla Camera mentre la gente muore di paralisi dello Stato più che un sintomo è un segno del dove stiamo andando: verso nuove elezioni, in cui il M5S avrà un calo dei voti considerevole, e in cui il partito di maggioranza relativa sarà quello di Berlusconi.

Maria Grazia Laganà (PD) condannata in primo grado a due anni

 324 total views,  1 views today

Presidenza della Repubblica - Tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Lagan%C3%A0_Napolitano.jpg

L’onorevole Maria Grazia Laganà, del Partito Democratico, vedova di Franco Fortugno, è stata condannata in primo grado alla pena (sospesa) di due anni per truffa, falso ed abuso.

La Laganà, che si autoproclama innocente e che proseguirà in appello la battaglia per il riconoscimento delle sue ragioni ha dichiarato: “Reputo doveroso autosospendermi da ogni incarico di partito, dal gruppo parlamentare e anche da iscritta del Partito Democratico”.

Gesto nobile e dignitoso. Ma perché nessuno pensa mai ad autosospendersi o addirittura dimettersi dalla carica di deputato almeno dopo una condanna in primo grado, non perché questa condanna costituisca un’onta (non è una condanna passata in giudicato, quindi la Laganà, come chiunque altro non può e non deve essere considerata colpevole), ma per difendersi con le stesse prerogative e con le stesse caratteristiche di partenza di un normale e comune cittadino.

Secondo la legge in discussione in Parlamento sull’incandidabilità alla carica di Parlamentare, non dovrebbero essere candidabili le persone con una condanna superiore a due anni di reclusione (difficilmente ci si arriva, nel qual caso sarebbe sufficiente ricorrere al patteggiamento). Quindi la Laganà, come molti altri, potrebbe essere di nuovo candidabile.

Italia dei Valori e Partito Democratico: oscurare www.umoremaligno.it!

 236 total views

Screenshot da www.umoremaligno.it

Sembra impossibile ma i lettori mi svegliano segnalandomi notizie che, diversamente, con il caldo che fa e che soffro in modo estremo, sarebbero sfuggite alla mia pur scarsamente vigile attenzione.

Così, apprendo dell’iniziativa dell’onorevole Ileana Argentin, appoggiata da un nutrito gruppo di parlamentari del Partito Democratico da una parte, e della Senatrice Bugnano dell’Italia dei Valori dall’altra, per l’oscuramento del blog “Umore Maligno”.

Leggiamo quello che dice la stessa Senatrice Bugnano a questo proposito:

“Le pagine del sito www.umoremaligno.it gravemente offensive nei confronti dei diversamente abili non meritano alcun commento. Gli autori di questi insulti deliranti vanno perseguiti nei modi e nelle forme previste dalla legge, a cominciare dall’eventuale chiusura della pagina web” (…)  “Dal Governo pero’ ci aspettiamo subito una ferma condanna e un deciso cambio di rotta nell’azione politica e sociale. E’ necessario contrastare ogni forma di discriminazione partendo dalla promozione di campagne informative per arrivare alla piena applicazione alle Direttive europee e ad un riordino della normativa riguardante i disabili. Il ministro alle Pari opportunita’, Elsa Fornero, si occupi al piu’ presto della materia, perche’ casi del genere non si ripetano mai piu'”

Dunque, il punto sarebbero le presunte offese arrecate sul web nei confronti dei disabili (evito di usare la stessa espressione “diversamente abili”, perché la trovo ingiustamente fuorviante) da parte di un sito che dice di sé:

“Umore Maligno è una libera repubblica satirica, costituita da autori liberi, indipendenti e legati dal solo vincolo del rifiuto di qualsiasi tabù, dogma, censura. La satira è innanzi tutto una manifestazione del libero pensiero e come tale non riconosce e non accetta limitazioni. Umore Maligno rigetta qualsiasi legge, norma, regolamento che ponga limiti alla libertà di espressione violando i diritti fondamentali dell’essere umano. La satira è un genere letterario che vuole evidenziare le contraddizioni della società e mettere in discussione l’ordine costituito attraverso qualsiasi artificio dialettico l’autore ritenga necessario, ivi compresi la blasfemia, il turpiloquio, l’insulto gratuito e discriminatorio. Non sta scritto da nessuna cazzo di parte che debba far ridere.”

Si può essere d’accordo o non d’accordo sulla visione di satira propugnata dal sito. Personalmente non lo sono. Il che non significa che io consideri fondate le obiezioni che hanno fatto sì che la cosiddetta “sinistra” si ritenesse legittimata di scagliarsi contro il sito chiedendone addirittura l’oscuramento.

Mi soffermo solo su una frase della Bugnano quando riferisce che “Gli autori di questi insulti deliranti vanno perseguiti nei modi e nelle forme previste dalla legge, a cominciare dall’eventuale chiusura della pagina web”

Allora:

a) gli autori degli insulti vanno perseguiti se si tratta di insulti e non se si tratta di libera espressione del pensiero attraverso la satira. Il discrimine lo stabilisce il giudice di merito, NON certo il parlamento, cui compete la funzione legislativa e non quella giudiziaria;

b) l'”eventuale chiusura della pagina web” andrebbe spiegata. Perché un conto è oscurare UNA pagina web in cui sono contenuti insulti o presunti tali, altro conto è oscurare l’accesso all’INTERO sito (quindi, anche a quelle pagine che ingiuriose non sono o non sono state riconosciute o dichiarate come tali);

c) La “chiusura della pagina web” non è “una forma prevista dalla legge”, è, casomai, una decisione accessoria del magistrato. E può essere (anzi, DEVE esserlo) conseguente a una condanna definitiva e passata in giudicato. Vale per tutti, non solo per i blogger cattivacci che fanno indignare il parlamento nelle calde giornate estive.

L’unico limite al diritto di critica e di satira è la legge penale. Se Lorsignori ritengono che la legge penale sia stata infranta, sporgano regolare querela alla magistratura. L’interrogazione parlamentare è una strada inefficace e che rivela la paura del palazzo nei confronti della rete. Quella stessa paura che spinge avanti il decreto intercettazioni che contiene il famoso articolo “ammazzablog”.

Tutto torna.

Franco Barbato si autosospende dalla carica di Parlamentare per un’inchiesta preannunciata dalla stampa

 236 total views

L’onorevole Francesco Barbato (Italia dei Valori) ha annunciato quest’oggi la sua autosospensione dalla carica di parlamentare dopo aver appreso dai giornali di essere coinvolto in un’inchiesta del PM Woodcock della Procura della Repubblica di Napoli.

“Da domani in quest’Aula sarete 629: io mi autosospendo da deputato”. Ha detto.

E prima di entrare nell’aula di Montecitorio ha spiegato: “Non sono indagato, e in ogni caso la mia posizione è limpida. Ma la questione è un’altra. Se un politico finisce sui giornali perché coinvolto in un’inchiesta, è bene che non partecipi all’attività politica”.

C’è qualcosa che non torna. Barbato dice di non essere indagato. E se non è indagato perché si autosospende? Perché l’hanno scritto i giornali? Ma i giornali non dovrebbero emettere avvisi di garanzia, o avvisi di conclusione delle indagini, per quelli deve pensarci la magistratura inquirente. Non ci si autosospende in presenza di un sospetto. Lo si fa, casomai, se e quando questo atto è stato formalizzato e notificato alle parti. Non perché sia di per sé obbligatorio autosospendersi o dimettersi, ma perché non lo si fa solo per sentito dire.

E poi cosa vuol dire che uno si “autospende” (ovvero quando non si partecipa alle discussioni in aula o ai lavori delle commissioni di cui si fa parte)? Ce lo spiega lo stesso Barbato: “Ovviamente mi ridurranno lo stipendio, come accade quando non si partecipa all’attività parlamentare”. E’ una sorta di cassa integrazione volontaria, ma non certo un autolicenziamento dalla carica di deputato. Voglio dire, uno straccio di stipendio minimo dovrà pur prenderlo (anche chi è stato sospeso dallo stipendio e dalla funzione pubblica percepisce un assegno alimentare) e a occhio e croce lo “straccio” di stipendio minimo di un parlamentare deve essere assai più alto del minimo dei minimi che percepisce il dipendente pubblico sospeso d’ufficio per qualche inadempienza.

O si dimette (e lascia il posto al primo disponibile dei non eletti, possibilmente non indagato), o continua a fare il deputato facendosi nemmeno troppo scudo del principio costituzionale che stabilisce la colpevolezza dopo una sentenza definitiva passata in giudicato.

I deputati sono per legge 630. Si decida, o sta fuori o sta dentro. Al Parlamento, s’intende.

Le frasi rivoluzionarie del Professor Monti

 253 total views,  1 views today

Comunque la si pensi sulla sua politica, questo omino qui, nella conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri per le misure economiche cui saremo costretti a sottostare (cioè, noi stiamo con la testa sotto i loro piedi senza nemmeno chiedere loro di stare fermi, possono muoversi!) ha detto una cosa rivoluzionaria, che ha spiazzato la politica e ha fatto sì che la sua esperienza di governo, se possibile, abbia prospettive temporali assai più esigue di quelle già risicate che nell’entusiasmo del momento poteva prospettare.

Ha detto che lui rinuncia allo stipendio di Presidente del Consiglio e a quello di Ministro ad interim dell’Economia.

Eh, no, càspita, non si può mica! E’ perfino troppo imbarazzante. Beatoi lui che fa il professore e se lo può permettere, perché i parlamentari, poveracci, che professori non sono, devono accontentarsi di uno stipendiuccio, di qualche indennità integrativa speciale, di un fondo cassa per i porttaborse, cinema, teatro, trasporti gratuiti, auto blu, sangue blu, cieli blu, amore blu, rock and blues e invece il Presidente del Consiglio rinuncia ad essere pagato.

Uno così, faccia quello che faccia, lo fanno fuori in quattro e quattr’otto.

Perché è proprio vero che dire "io non chiedo una lira" è una frase ad alto potenziale esplosivo e deflagrante.

E trasportare esplosivo e fuoriusciti mica a tutti conviene. O, forse, conviene solo ai politici di professione che mandano avanti i tecnici per poi impallinarli e riprendersi la palla degli interventi e del potere legislativo, tanto per dire che qualcun altro ha sbagliato e che loro avrebbero fatto meglio certamente, già, ma allora perché non l’hanno fatto?

Signori, ancora del tè. Il nostro porto di attracco non dà segno di sé.

Obbligo di rettifica: i contenuti dell’emendamento Cassinelli

 217 total views,  1 views today

"E’ giusto mantenere il dovere di rettifica  ma non si possono equiparare i blog professionali e quelli del privato cittadino ed e’ un’illusione quella di applicare alla Rete le stesse regole" che valgono per altri mezzi. La proposta prevede l’obbligo di rettifica entro 48 dalla richiesta solo per le testate professionali e sposta a dieci giorni il termine per i blog amatoriali. E questo, a decorrere dal momento in cui il blogger ha la conoscibilita’ della richiesta. In ogni caso, non possono essere oggetto di richiesta di rettifica i contenuti destinati ad un gruppo chiuso ne’ i commenti ad altri contenuti principali, in modo da rendere impermeabili all’obbligo di rettifica i profili privati sui social network. La sanzione(da 7500 a 12500 euro) e’ ridotta per i siti amatoriali da 250 a 2.500 euro. Una ulteriore riduzione (da 100 a 500 euro) e’ applicata a chi indica un valido indirizzo di posta elettronica al quale fare pervenire le richieste di rettifica."

(Roberto Cassinelli)

Le norme sul processo lungo

 250 total views

Una delle cose di cui i giornali non parlano, nel rendersi indignati per l’approvazione-lampo al Senato delle norme sul cosiddetto "processo lungo" (ma una volta era "breve", sembrano gli aggettivi dei nomi dei personaggi storici, Pipino il Breve, Carlo Magno…) è che il tutto fa parte di un pacchetto che, in origine, riguardava l’inapplicabilità del rito abbreviato per i reati puntiti o punibili con l’ergastolo.
Cioè su una cosa che non ci combinava una verza, e che, di per sé, prevede che non tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge (ma questo avevo il sentore di averlo già capito).
Allora, il rito abbreviato è un processo alternativo che si celebra su richiesta dell’imputato. Vuol dire: "si salta il dibattimento, ci si basa solo su quello che dicono le carte e se vengo condannato ho diritto allo sconto di un terzo della pena perché oltretutto non vi ho fatto perdere tempo."
Quindi il rito abbreviato non è sinonimo di ammissione di colpevolezza, si può essere assolti. E’ il caso del fidanzato di Chiara Poggi che non mi ricordo più come si chiama che in primo grado è stato prosciolto per insufficienza di prove (proprio perché le carte non stavano in piedi).
Ora, se uno ammazza una persona che non è nemmeno sua parente  l’imputazione è di omicidio semplice. Sono 30 anni. Ridotti di un terzo fanno una condanna finale a 20 anni in caso di colpevolezza. Se poi il giudice è clemente e concede le attenuanti generiche si può arrivare anche a meno.
Se ammazza la moglie per futili motivi, l’omicidio diventa aggravato e si rischia l’ergastolo. Con la riduzione di un terzo della pena si arriva a trent’anni. (Dice uno, ma come si fa a ridurre l’ergastolo? Eh, se non fosse possibile sarebbe un problema serio…).
Quindi mi devono ancora spiegare perché uno che rischia l’ergastolo non possa avere le stesse possibilità di difendersi di uno che rischia 30 anni, anche se tutti e due hanno ammazzato una persona.
La risposta è semplice: perché si deve stabilire che la legge non è uguale per tutti, istituendo quell’aberrazione che è la lista infinita dei testimoni da parte della difesa, che avrebbe senso se solo l’accusa potesse fare altrettanto.
E’ lo squilibrio delle parti davanti al giudice terzo che fa inorridire. Questa maggioranza aveva già tentato di fare approvare l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione da parte delle Procure in primo grado.
Avremo dei processi long-drink, e si arriverà alle inevitabili prescrizioni un po’ brilli come dopo un Cuba-libre con troppo rhum e con la Coca Cola alla spina…

Spider Truman e i segreti della casta di Montecitorio

 234 total views,  2 views today

Allora, dunque, vediamo un po’, c’è uno che ha aperto un account su Facebook (luogo noto per il fatto che i suoi frequentatori, notoriamente, non vogliono affatto mettersi in mostra) e l’ha chiamato “I segreti della casta di Montecitorio”, dicendo di essere un ex precario della Camera dei Deputati e promettendo di denunciare privilegi e agevolazioni degli inquilini per i quali aveva lavorato per 15 anni.

117000 fan in una giornata. Del resto, si sa, in estate la gente ha ben poche cose da fare e può permettersi il lusso di cliccare su “Mi piace!”
Quanto al resto, ci sono anche un blog e un account Twitter.

La cosa che sembra interessare di più, tuttavia, è il fatto che il titolare del blog e dell’account sia anonimo o, meglio, che non sia ancora stato identificato.
Non quello che scrive, naturalmente, perché così la moda dell’estate e la caccia al precario può andare avanti ancora per un po’.
Perché dev’essere difficile andare a vedere l’elenco delle persone che hanno lavorato per la Camera dei Depuatti e che sono state licenziate.
Perché certamente Facebook non ha uno straccio di indirizzo di posta elettronica su cui il canale si è aperto.
Perché certamentente non ce l’ha nemmeno Twitter.
Perché il blog, notoriamente, si apre su “Blogspot”, una piattaforma di Google non proprio dotata del dono della garanzia dell’anonimato.
L’ignoto autore della bravata poteva anche dire “Guardatemi, sono qui!”
O firmare tutto con nome e cognome.

Del resto, che questa sia una bravata destinata al pubblico di Facebook è evidente dalle dichiarazioni dello stesso autore: “Per sicurezza ho aperto un blog. Finchè non mi chiudono questa pagina, non credo di aggiornarlo, ma nel caso in cui la pagina scompaia da un momento all

Zazzera alla Camera: “Maroni assassino”

 194 total views

Abbiamo una politica che, quando si tratta di esprimere dei contenuti e di entrare nel merito delle questioni fa del suo meglio per abdicare a se stessa.

E’ una tentazione irresistibile, un bisogno primordiale e ineludibile, una necessità intrinseca nel corpo dei nostri politici, come il bisogno di orinare o andare alla buvette a mangiare il supplì.

L’opposizione, o quella che si autodefinisce tale, potrebbe vincere a mani basse le elezioni stasera: basterebbe che la smettesse di parlare di Berlusconi e, soprattutto, che parlasse un linguaggio nuovo, avulso da quello che siamo abituati ad ascoltare. Che so, a un’espressione come “Bunga Bunga” opporne un’altra come “energie rinnovabili”, a “processo breve” opporre, per esempio, “stato etico”, a “giudici comunisti” rispondere con “mandato politico a termine”, a “rientri forzati in Tunisia” non rispondere nemmeno ma parlare di “software open source nelle pubbliche amministrazioni”.

E invece no. E invece a “Roma ladrona” gli eroi dell’Italia dei Valori (sì, perché mettono la parola “valori” nel loro nome) contrappongono un bel “Maroni assassino”. Et voilà, pari e patta, uno a uno e palla al centro.
La Padania non è nemmeno un’espressione geografica e il deputato Zazzera se ne esce che Maroni sarebbe un assassino. Maroni, tutt’al più, ha dato un morso a una caviglia a un poliziotto (perché prima li morde e poi diventa il loro superiore diretto), suvvia, “assassino” addirittura mi sembra un’espressione sprecata.

Mentre la componente leghista afferma con molto autocompiacimento che loro “con il tricolore ci si puliscono il culo”, mentre gridano “Foera da i ball!”

Federalismo: schiaffo al Parlamento

 303 total views,  1 views today

– Avete problemi di allergia alle Commissioni Bicamerali?
– Le vostre proposte di legge finiscono sempre in pareggio?
– I Comuni vi stanno alle calcagna?
– Avete bisogno di attuare il FEDERALISMO®ma non vi sentite compresi da nessuno?

Dàte anche voi un bello

SCHIAFFO AL

PARLAMENTO©

e comincerete a sentirvi subito meglio e a mostrare a chiunque che siete anche voi dei bèi PREPOTENTONI™, altro che discorsi!

Ma ricordate: SCHIAFFO AL PARLAMENTO© è un presidio sanitario d’urto e di emergenza adatto ad affrontare problemi non risolovibili altrimenti, per gli effetti collaterali e le modalità d’uso consultate il medico o rivolgetevi all’On. Prof. Umberto Bossi, con rispetto parlando.

Gianfranco Fini era indagato. Chiesta l’archiviazione da parte della Procura di Roma

 271 total views

Bene, adesso sappiamo che non ci sarebbero estremi di reato nella storia dell’appartamento di Montecarlo che ha coinvolto il Presidente della Camera Gianfranco Fini e per la quale la Procura della Repubblica ha chiesto l’archiviazione.

Ora, in senso puramente tecnico, la richiesta di archiviazione da parte della Procura non implica necessariamente e automaticamente che il Giudice per le Indagini Preliminari la conceda, ma diamo pure per scontato (perché è scontato) che sarà così, senza entrare nel merito delle accuse.

Quello che, invece, preme sottolineare è un particolare della notizia che mi lascia profondamente perplesso: il Presidente della Camera Gianfranco Fini è stato iscritto nel registro degli indagati e dovrebbe aver ricevuto ricevuto, come è d’obbligo, un avviso di garanzia.
Nessun indagato può, infatti, esercitare il sacrosanto ed irrinunciabile diritto alla difesa senza quello che i magistrati chiamano “atto dovuto” (sia pure con un linguaggio neutro e tipico di chi non è direttamente coinvolto).
Tanto meno, considerato che la legge dovrebbe essere uguale per tutti, il Presidente della Camera.

Tra un avviso di garanzia e una richiesta di archiviazione

Il testo (PDF) del Disegno di Legge del Governo sul “processo breve” in discussione al Senato

 182 total views

Il disegno di legge in discussione al Senato per salvare Berlusconi sui processi brevi ha un aspetto quasi rassicurante.

Reca sul frontespizio la dicitura "Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo".

In breve, il cittadino verrebbe "tutelato" in ossequio alla Costituzione, che viene stravolta nei suoi principii fondamentali, primo fra tutti quello dell’uguaglianda di tutti i cittadini di fronte alla legge (e, quindi, non solo degli incensurati) e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la stessa tanto vituperata quando si è trattato di esprimere una sentenza sull’esposizione dei crocifissi nelle aule italiane.

E’ un linguaggio rassicurante, praticamente soporifero. Stravolgo la Costituzione, del Diritti dell’Uomo (dei diritti di UN uomo, solo, al telecomando) me ne infischio ma ce lo metto lo stesso perché fa scena. Deve aver pensato questo il Legislatore quando ha deciso di presentare al Senato questo testo raffazzonato che è stato definito una porcata perfino da Casini, che ha detto di preferirgli un Lodo Alfano presentato come Legge Costituzionale (eh, vuoi mettere?…)


Intanto scaricate il testo in versione PDF e sopravvivete, se potete.