Liber Liber e “Il giornale per i bambini” su Audible.it

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Anche un’antologia de “Il giornale dei bambini” è disponibile sia gratuitamente su Liber Liber che a pagamento (dietro abbonamento) su Audible.it. La lettura a più voci è costituita dai contributi di più “volontari”, e i nomi dei declamatori a voce alta riportati nella scheda di Audible corrispondono con quella dei contributori riportati da Liber Liber.

Quindi possiamo affermare con ragionevole certezza che l’audiolibro presente su Audible è lo STESSO distribuito gratuitamente su Liber Liber.

Dura 12 ore e rotti. Praticamente un massacro.

Già, ma qual è il range dell’audiolibro? Che cosa dicono gli ascoltatori, popolo di palati fini che pagano fior di quattrini per avere almeno un servizio di qualità? Ecco qua:

Tre recensioni dal settembre scorso e tutte negative. Media globale, una stella. Il minimo che Audible prevede. E non è certo un “minimo” di cui andare tanto lusingati, se è vero, come è vero, che il pubblico reagisce con queste recensioni:

– Niente da dire: libro brutto, lettura mediocre ma una trama orribile. Una delusione su tutta la linea.
– È impossibile da terminare perché la lettura è davvero imbarazzante nella sua pochezza e mediocrità.
– Questo non è un audiolibro. È una accozzaglia di letture mediocri e deludenti di dilettanti allo sbaraglio che pensano, oltretutto, di aver fatto un servizio alla comunità.

La vendita su Audible.it da parte di Lindhardt og Ringhof degli audiolibri di Liber Liber si rivela come una cartina di tornasole implacabile sulla qualità delle letture e sul gradimento del pubblico. Liber Liber non ha più trippa per gatti e il volontariato crolla davanti alle inesorabili leggi del mercato e della libera iniziativa personale. E chest’è!

 

Ragazzini corrono sui muri neri di città / sanno tutto dell’amore che si prende e non si dà.

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L’altro giorno, una cara lettrice di questo blog, che per convenienza chiameremo Panciàtici Elvira vedova Cioli, mi chiedeva che cosa io pensassi del caso di quella infermiera di Prato di 35 anni rimasta incinta di un bambino di 13 anni a cui impartiva ripetizioni di inglese.

A parte il fatto che non mi piace troppo parlare di questi argomenti di “pruderie” nazional-popolare, ma cosa volete che ne pensi? Tutto il male possibile. Perché non è un caso che la normativa italiana preveda che gli atti sessuali, anche consensuali, con i minori di 14 anni, siano da considerarsi violenza sessuale a tutti gli effetti. Nell’opinione pubblica e nella morale (ma guarda che combinazione, proprio io che vi parlo di morale, siamo arrivati alla frutta) un individuo di 13 anni è un bambino, anche se ha sviluppato, come un uomo, l’apparato urogenitale e riproduttivo. E se un bambino viene affidato alla tua custodia da genitori che si fidano di te, è per prestazioni di natura decisamente diversa da quelle sessuali, e comunque il tuo compito è quello di insegnargli l’inglese, perché la mentalità di un bimbo di quell’età (chè a quell’età si è bimbi, non lo si dimentichi…) arriva sì a concepire l’idea di un rapporto sessuale completo (e concepisce anche qualcos’altro, magari), ma non ha sviluppata la concezione delle conseguenze. In breve, sa (o può sapere) che cosa è una trombatina, ma non sa che cosa sia (o cosa possa essere) la paternità. Infatti quando la signora, con una delicatezza degna di un elefante in un negozio di cristallerie, gli ha rivelato che il bambino che aveva partorito era suo, cioè del bambino che aveva repetizionato, il bambino (quello repetizionato) ha avuto paura ed è scappato dai genitori che l’hanno subito denunciata. Perché i bambini hanno paura, è nella loro indole, la paura fa parte proprio delle caratteristiche principali dell’essere infanti. Poi c’è il risultato del DNA. Poi ci sono le varie dinamiche della famiglia dell’infermiera/professoressa che non voglio nemmeno prendere in esame. Poi ci sono i mass media, i giornali, i social, c’è la gente che crocefigge ora questo ora quello, ma nessuno che dica che un atto del genere è violenza sessuale (non voglio usare parole come “stupro” o “pedofilia”, anche se mi prudono letteralmente le mani), è violenza psicologica, è un atto deplorevole, che nessuna difesa possa stare in piedi davanti ad atti del genere, ed è evidente che il ragazzino allora tredicenne non è nemmeno la vittima più da tutelare, visto che c’è, comunque, un bambino nato da sette mesi che deve essere, se possibile, maggiormente tutelato. Ma poi, dico, hai 35 anni (o 31, come riporta certa stampa, o quanti cazzo ne hai), si può sapere cosa ti salta in testa? Cosa vuoi dimostrare? Di essere una perfetta maestra e di avere il potere su un ragazzino indifeso?? Eppure la donna ha dichiarato: «La maternità non è un errore, ma un dono». E ancora: “Quando diventi mamma, non sei mai davvero sola. Una madre deve sempre pensare due volte: una per sé e una per i suoi figli”.

Donne che amano male. Mamme che amano troppo.

Un grido e un pianto acuto già spenti in un minuto segnalano tragedie di bambini. Bambino, armato e disarmato in una foto senza felicità sfogliato e impaginato in questa vita sola che non ti guarirà. 

Le conquiste della cultura gay: non festeggiare la festa del papà e della mamma all’asilo nido

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festamamma

Anni, lustri, decenni di lotte per i diritti degli omosessuali.

Dalla derubricazione dell’omosessualità dal rango di malattia a quello di semplice condizione, al matrimonio tra persone dello stesso sesso in svariati stati europei (in Italia no perché è peccato e poi noi siamo in leggera controtendenza), dalla paura di farsi vedere in pubblico per non offendere il comune senso del pudore all’orgoglio ritrovato di mostrarsi gay davanti a tutti, sia in maniera sobria ed elegante, con il proprio compagno o la propria compagna, sia in maniera più briosa e istrionica nelle riunioni “a fiume” del gay pride, con vestiti sgargianti e lustrini, dall’impossibilità di dare amore a una creatura adottandola al diritto di essere genitori (sempre negli altri stati perché noi, si sa, siamo in leggera controtendenza).

Tutta questa fatica, tuatta questa rivoluzione culturale, questo sacrificio, questa consapevolezza per cosa? Per essere liberi, all’asilo nido “Il chicco di grano” al quartiere Ardeatino di Roma, di bloccare i festeggiamenti della festa del papà e della mamma e di convertirle in un più sobrio “laboratorio aperto alle famiglie”. Laboratorio su che cosa non è ancora dato di saperlo. Ma perché, poi, dev’essere degradante festeggiare il papà o la mamma, fermo restando che si tratta di feste commerciali (soprattutto quella della mamma, quella del papà si salva in corner perché è San Giuseppe che qualcosa con la religione cattolica ci deve comunque avere a che fare) per dei bambini dell’asilo nido? Hanno due papà, bene, vorrà dire che il 19 marzo festeggeranno il doppio. Hanno due mamme?? Vorrà dire che a maggio faranno due volte dei pensierini per le loro genitrici e va da sé che non è un male. Come non è un male avere un padre e una madre, e allora, perbacco, si sta tutti insieme a giocare, a ridere, a scherzare, a festeggiare i compleanni, a fare le festicciole di Natale, i filmati da dare ai genitori (io queste cose le so perché mia figlia va all’asilo nido), ma il “laboratorio” proprio non si affronta. Non è evitando la realtà che si arriva ad educare un bambino. Mamma e papà esistono, magari non li hanno i figli degli omosessuali, ma i figli degli etero sì, e allora che cultura del piffero creo se evito ai miei figli (di chiunque siano) una realtà evidente??

Non lo sappiamo, e probabilmente non lo sapremo mai. Sono solo bambini. Armati della privazione della realtà e disarmati nell’età più delicata del loro sviluppo.

“Femminicidio” e altre parole orrende

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Femminicidio è una delle parole più ributtanti che la fantasia linguistica degli italiani abbiano mai infilato a forza nei vocabolari.
Perché genera la convinzione che l’omicidio di una persona di genere femminile sia più odioso e vergognoso di quello di uomo. Perché è vero che esiste omicidio ma non si può inventare anche maschicidio o, peggio che mai, uominicidio.
Il femminicidio propone una fattispecie che se non è di reato poco ci manca. È un termine strettamente emotivo e legato alla cronaca. Come se fosse molto più grave l’uccisione di una giovane donna da parte del suo fidanzato, marito o amante rispetto a quella di una signora anziana che viene colpita da un proiettile perché è entrata in una gioielleria durante una rapina e ha visto in faccia i rapinatori.
È una parola massmediologica, che aumenta la sua pericolosità con l’uso.
Fabiana, una ragazza di 16 anni, è stata uccisa a coltellate e bruciata dal suo fidanzatino.
Cazzo è un fidanzatino? Un fidanzato mignon? Un boy friend formato tascabile? Si allude a un morosetto di tenera età. E proprio l’età e il diminutivo ci fregano.
Se è un fidanzatino vuol dire che stendiamo un velo pietoso sulla gravità del fatto, tanto che il Vescovo della sua diocesi ha già invocato il perdono.
Un fidanzatino è come un bambino.
Solo che fidanzatino è diminutivo di fidanzato, ma bambino non è diminutivo di bambo. Non è la stessa cosa.
Nel nostro vissuto un bambino non potrebbe mai uccidere nessuno. Anzi, i bambini sono buoni, si perdona loro tutto, cretini che siamo a non pensare che un bambino o un giovane non possano rendersi responsabili dei più efferati crimini.
E allora restiamo pure in infusione dei più pettegolistici talk show televisivi nazional-popolari. Qualche femminicidio per le nostre bavose brame ci verrà servito sicuramente.

Il Movimento Genitori: “Facebook non tutela i nostri figli. Pronti ad azioni legali.”

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Il MOIGE è il “Movimento Genitori”.

Il suo sito web risponde all’indirizzo http://www.genitori.it.

Il suo scopo è condivisibilissimo: aiutare i genitori in una educazione chiara e responsabile dei figli, nella tutela dei minori, soprattutto dalle inside dei media, porre “attenzione a norme e prassi relative ad alcool, fumo, giochi con vincita in denaro, pornografia e videogiochi inadatti”.

Accetta donazioni liberali ed è possibile destinare il 5 per mille sull’IRPEF a sostegno delle proprie attività. Cose che io non farò.

Perché se da un lato sono condivisibilissime le finalità sociali e di prevenzione di questo organismo (chi non vorrebbe vedere i bambini più preservati nell’approccio con le tecnologie, e più difesi dalla possibilità di sviluppare dipendenze da alcool, droghe e gioco d’azzardo?) sono  i contenuti che mi lasciano profondamente perplesso.

Comincio con una dichiarazione di Maria Rita Munizzi, Presidente del MOIGE, che riguarda Facebook, all’indomani della notizia (assai preoccupante) dell’adescamento di una tredicenne da parte di alcuni suoi coetanei:

“Facebook non tutela i nostri figli ed è gravissimo che continui a consentire l’iscrizione senza imporre nessun tipo di controllo. Siamo pronti ad azioni legali contro il social network se non si provvederà ad adottare forme di tutela più efficaci che impediscano ai nostri figli di incorrere in tali pericoli”.

E’ chiaro che è l’approccio iniziale ad essere sbagliato perché non è Facebook (o qualsiasi altro social network) a dover non consentire l’iscrizione di un minore, per il semplice fatto che non ha gli strumenti materiali (e non li avrebbe nessuno, in rete, non solo Facebook) per verificare se la persona che si collega e si iscrive sia minorenne o meno. Come faccio io a stabilire da un indirizzo IP se chi siede davanti al computer e guarda il mio blog sia una persona minorenne o no, e se sì, se scriva dal computer di casa o da un internet point (che, normalmente, dovrebbe chiedere la carta d’identità ai suoi avventori, ma di solito non lo fa mai), o da una biblioteca pubblica (“scusi, è libera la postazione internet n. 4??”  E come fai a dire di no? Rifiuti un servizio pubblico?), o dalla postazione di un amichetto compiacente? Non lo può sapere Facebook, e non lo può sapere NESSUNO.

L’unica entità che può prevenire il pericolo che una persona minorenne si iscriva a Facebook (e per il regolamento di Facebook possono iscriversi anche i minori) è la FAMIGLIA, basta, non ce ne sono altre.

Cosa dovrebbe controllare, Facebook, che tu sei tu? E quali azioni legali possono venire portate avanti nei confronti di Facebook? Facebook risponde alla normativa degli Stati Uniti, non a quella italiana. I dati vengono conferiti in un altro Stato. Ritengo che il movimento “genitori.it” sia abbastanza abbiente da potersi permettere assistenza legale negli Stati Uniti, dove gli avvocati costano, e costano molto, ma le uniche “forme di tutela più efficaci che impediscano ai nostri figli di incorrere in tali pericoli” sono quelle che impediscono ai nostri figli di andare su Facebook. Sono il controllo, l’educazione e la prevenzione.

Ma controllo, educazione e prevenzione non bastano. Ci vuole la conoscenza.

E’ su questo che si basa la sfida educativa. I genitori devono conoscere meglio dei loro figli quelle che si ostinano a chiamare le “nuove tecnologie”, altrimenti è finita. Altrimenti si correrà sempre il rischio non solo che i bambini vengano adescati (come se fuori dai social network tutto questo non esistesse), ma anche, ad esempio, di vedersi querelati perché il figlio adolescente ha schiaffato su Facebook la foto di un maestro, di un professore, di un compagno, del giornalaio, dello scemo del villaggio, di una persona qualsiasi e l’ha magari insultato, sbeffeggiato, offeso, diffamato, e quello a un certo punto ha deciso di non fargliela passare liscia.

Ci sono concetti nel nostro sistema giuridico come quello della “culpa in vigilando” e della “culpa in educando”, che non possono essere scaricati su Facebook che diventa l’orco, il cattivo di turno, il lupo che ti mangia, il babàu che ti assale mentre percorri il bosco con il cestino sotto il braccio per andare a fare visita alla nonna.

Ma perché, un bambino o un adolescente devono per forza avere Facebook? E’ chiaro, “perché ce l’hanno tutti” (i nostri figli non sono “tutti”, sia chiaro), “perché lo vogliono”, “perché se no ci fanno due palle così”, “perché sono bambini e tutto è concesso e concedibile”, “perché così passano un po’ di tempo a chiacchierare con gli amici” (già, e vederli al parco per una partita di pallone no, eh??)…

Termina Minuzzi: “noi saremo sempre in prima linea per sensibilizzare ed educare  i ragazzi all’uso del web, ma è assolutamente necessario che ognuno faccia la sua parte, a partire da chi come Facebook lucra milioni di euro sulla sua piattaforma sociale”. E certo che Facebook lucra, chissà cosa pensa la gente che sia, una associazione a scopo benefico? Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, e tutti sottoscriviamo che ognuno deve fare la propria parte, ma i primi a dover fare la propria parte sono proprio i genitori. Facebook non è che la punta dell’iceberg, prima c’erano i vari sistemi di messaggistica istantanea, le chatline, e giù giù fino alla stratificazione dei ghiacci dei newsgroup o delle mailing-list. Che esistono ancora, sapete, mica sono spariti dalla circolazione. Semplicemente, nessuno ne parla. Se questi genitori sapessero come è semplice scaricarsi delle foto pornografiche collegandosi con i newsgroup binari smetterebbero subito di prendersela con Facebook. E sono cose che può fare chiunque. Io, voi che mi leggete, il presidente del MOIGE o chi per noi. Certo, bisogna saperlo fare e avere gli strumenti per farlo. E’ per questo che la conoscenza della rete è importante, perché ci permette di esercitare quel controllo sui minori che è alla base della loro educazione.

Se sia i genitori che i figli NON sanno una cosa non succede nulla. Se la sanno SOLO i genitori possono insegnarla ai figli, ma se la sanno SOLO i figli tengono inevitabilmente sotto scacco i genitori.

Ma c’è molto di più su genitori.it.

C’è, ad esempio, un “promo” in cui si vede Milly Carlucci che si presta (nobile gesto!) a promuovere la campagna “Dite ai vostri figli di non accettare sms dagli sconosciuti”.

Santo cielo, ma un SMS, fino a prova contraria NON E’ una caramella, che si può rifiutare. Un SMS arriva. E NON SI PUO’ EVITARE. Gli SMS sono la tecnologia più invasiva che esista al mondo. Perché il telefonino lo porti sempre con te (guai a non averlo, essere sempre raggiungibili è un obbligo!!) e un SMS può arrivarti a qualunque ora del giorno e della notte. E non lo puoi evitare. Sia che sia l’amichetto o la amichetta del cuore a scriverti, sia che si tratti del pedofilo di turno che chiede una foto oscena in cambio di pochi euro di ricarica telefonica.

Fa bene la Carlucci a terminare lo spot con un preoccupato “Che vergogna, ragazzi!”, perché questo indica la sua partecipazione emotiva al problema.

Ma siamo sicuri che la vergogna siano SOLTANTO i pedofili che chiedono materiale osceno in cambio di un po’ di credito? O forse non è altrettanto vergognoso che ragazzini di 13-14 anni vadano in giro con lo SmartPhone ultimo modello, magari regalato dai nonni (perché, poverini, han fatto la Comunione, sono stati promossi, è il loro compleanno, no, anzi, è Natale e se lo meritano…), e lo usano con il benestare implicito dei genitori, i quali si fanno intestare una SIMcard con cui un minore fa tutto quello che vuole, perché lo sa che è difficilmente rintracciabile e punibile?

Regaliamo ai nostri figli cellulari con cui si fanno facilmente foto, video, con cui si registrano conversazioni di nascosto, e queste informazioni possono viaggiare in tempi rapidissimi. Lo sappiamo, buon Dio, lo sappiamo tutti. E allora perché facciamo finta di non saperlo e li riempiamo di roba che costa 600-700 euro??

La tecnologia che ci aiuta c’è. Eccolo qui:

E’ un telefonino cellulare prodotto e messo in commercio dalla ITT. E’ roba di casa nostra, fatta dagli italiani.  Non lo importiamo dalla Svezia. Di più, è uno dei valori aggiunti al PIL. Non serve solo per i bambini, va benissimo anche per gli anziani. Ha cinque tasti su cui si possono prememorizzare altrettanti numeri. Mamma, papà, casa, fratello o sorella e nonni. A chi cavolo deve telefonare un bambino o un adolescente? All’amico o all’amica del cuore per raccontarsi le loro cose? Va benissimo, lo abbiamo fatto tutti, non c’è NIENTE DI MALE, ma allora telefoni dal cellulare di mamma o di papà. Che non devono stare lì ad ascoltare quello che dici. Ma almeno SANNO a CHI telefoni.

E con un cellulare così basta mettere una scheda SIM che sia registrata sul sito internet del gestore (e ovviamente intestata al genitore), cosa che TUTTI I GESTORI ITALIANI OFFRONO. Così si vede se il minore, magari, in un lampo di genio, si è fatto prestare il cellulare da un compagno, ci ha inserito la sua scheda e ci ha fatti fessi.

E’ poco, forse, ma è già qualcosa di più e di meglio che comprare loro l’I-Phone.

E quando sono i nonni a spingere per il cellulare ultimo modello, un bel “Mamma, papà, i miei figli li educo come voglio io, voi ne siete fuori!” male non fa.

Perché è troppo semplice dire che è tutta colpa di Facebook.