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Il Papa ha detto che il mondo ha bisogno di tenerezza. Gentile da parte sua, ma ci aveva già pesato Ernesto “Che” Guevara almeno 40 anni fa a dirci che bisogna vivere “senza perdere la tenerezza”. Non è una questione di ideologie, ma di paternità. Anche alle parole si può fare la prova del DNA per accertarne la genesi.
Così, il Natale catto-consumistico che volge al termine oggi, ha mostrato la sua vera essenza. Con una aggiunta. Assieme al messaggio e alla benedizione Urbi et Orbi del Papa abbiamo ricevuto il messaggio di Girone, il marò che scrive dall’India e, naturalmente, trova spazio su tutti i giornali italiani.
Ora, per carità, sta soffrendo e sarebbe anche l’ora che gli venisse contestato uno straccio di capo di accusa, così saprebbe da cosa doversi difendere. Su questo non può e non deve esserci alcun dubbio. E’ lontano dalla famiglia, siamo d’accordo, non è potuto rientrare per le vacanze di Natale, ed è triste, ma la nostra solidarietà ai marò deve fermarsi qui e non deve andare oltre.
Non dobbiamo dimenticare che sono due persone sospettate di avere sparato su due pescatori (che la loro famiglia non la rivedranno mai più) e la diffusione del testo di questo messaggio da parte delle agenzie contribuisce ad aumentare quell’effetto di straniamento che ci colpisce quando parliamo della vicenda dei marò. Personalmente non sono sospettato di avere sparato su nessuno e mi fa piacere pensare che se io avessi scritto un messaggio del tenore di quello di Girone le agenzie di stampa lo avrebbero tranquillamente ignorato. E certamente iniziare il messaggio con “Tanti Auguri di Buon Natale a tutti coloro che credono nella Santità di questa ricorrenza” è stata una svista terrificante, perché lo Stato è composto anche da quei cittadini che non ci credono. E a loro niente auguri? Per non parlare del Buon Natale “alla gente bisognosa”, “a tutti i bambini che non possono ricevere calore”, “a coloro che per scelta, professione o missione aiutano il prossimo in difficoltà”. Sembra davvero un messaggio papale. Perché ecco quello che mi fa profondamente indignare: questo alone di santità che prelude a un (pre)concetto di innocenza per cui i santi non possono essere colpevoli.
Io non lo so se sono innocenti o no, come loro aspetto che si tenga un regolare processo in India. Ma nel frattempo mi esimerei dall’esternare messaggi di questo tipo, perché poi i processi possono concludersi anche con una condanna, e questo Natale si è veramente presentato come comanda Iddio.
(*) Il titolo del post è tratto dal primo atto di “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo.