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Il 1968 fu l’anno in cui lasciai definitivamente la natìa Germania per venire in esilio in Berlusconia.
Mantenni i contatti, inutile dirlo, con la Tante Dickmeis (chi sia la Tante Dickmeis, vi chiederete, va beh, un giorno ve lo spiegherò…) che prese a spedirmi, con sorprendente regolarità, i 45 giri (ma per Natale mi arrivò anche il Long Playing, beninteso) di Heintje. "Heintje" è il diminutivo di Heins Simons.
Heintje era un bambino bruttarello con i dentoni, ma dotato di una straordinaria estensione e potenza vocale. Doti che avrebbe perso molto presto, con la crescita e l’età adulta, in cui, per la verità, ha acquistato una voce per nulla musicale.
Dunque, questo piccolo fenomeno del do di petto teutonico, fu ampiamente spremuto dalla sua casa discografica (la "Ariola") che lo impegnò in incisioni nazional-tedesco-popolari, in cui si lodavano le figure delle nonne, delle mamme, i sentimenti dell’amicizia, il cielo, le stelle, la gioia di vivere in un mondo tedesco perfetto, tanto l’altra Germania era ancora "di là".
L’ultima volta che sono tornato a Colonia, ho visto alla TV un servizio su Heins Simons come è ora. Si occupa di cavalli, beve birra, ogni tanto incide qualche piccola stronzatina (come, per esempio, una riedizione di "Guten Abend, gute Nacht", su un arrangiamento della "Ninna nanna" di Brahms che farebbe impallidire perfino James Last, in cui duetta, da adulto, con se stesso bambino), insomma sta benone.
Uno dei suoi successi più eclatanti fu la versione tedesca e quella olandese (di cui vi propongo un letale frammento) di "Mamma".
Vi assicuro che ascoltanto Heintje e i suoi gorgheggi, vi sarà impossibile trattenere una lagrima. Non deamicisiana ma rigorosamente tedesca.
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