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Anche noi, sul blog, vogliamo ricordare, a esequie avvenute, e a contratiempo acaso, l’anima nobile di Gigi Proietti.
Lo facciamo evitando di ridiffondere le innumerevoli copie della barzelletta del cavaliere nero e del cavaliere bianco (esilaranti, certo, ma alla fine stufano, o, meglio, sono quelle storielle che quando uno te le racconta finisci sempre col dire “la so!”) che circolano sui social network.
No, Proietti ci piace ricordarlo così, alle prese con una macchietta fatta di pochissimi elementi, ripetitiva, giocata sulle espressioni facciali, su un tormentone iterato, unico esempio di presa in giro dell’esistenzialismo francese. Così, la mirabile “Ne me quitte pas” di sessantottiana memoria diventa “Ne me rompe’ er ca…”, nell’imitazione del cantante di night di provincia, maglione a collo alto e sigaretta mai appicciata.
Un esempio indelebile della bravura di Proietti, dove la presa in giro diventa arte, dove lo sberleffo viene assunto a elemento insostituibile, unico, irripetibile, di un uomo e del suo palcoscenico.