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Oggi il caso di Vanessa ha occupato per qualche ora le prime pagine dei giornali on line.
E’ possibile che se ne parli a lungo, o forse no, della storia di questa ragazza di Enna, uccisa con un cavo del lettore DVD solo perché, durante un incontro intico col fidanzato, aveva osato profferire il nome del suo ex.
Si sa, sono cose di una gravità inaudita agli occhi di una persona che pare avesse fatto uso di cocaina, e allora l’unico mezzo per lavare l’onta subìta è quella dell’omicidio.
Omicidio che rimbalza per la giovane età della vittima (20 anni), per il dolore del padre (chissà che cosa si aspettavano i giornali, che avesse un composto e serafico contegno di manzoniano perdono?), per le foto della madre distrutta, per un crimine, che se l’assassino non fosse stato indotto, con un tranello, a confessare le sue responsabilità, oggi resterebbe impunito, o quanto meno con un sospettato in galera o iscritto sul registro degli indagati. Sarebbe diventato, in altre parole, un’arma di distrazione di massa.
Da Avetrana a Melania Rea, dalla scomparsa di Roberta o Mariella all’omicidio di Yara Gambirasio tutto è diventato spettacolo. Perfino il dolore e la morte, che sono quanto di più intimo appartenga a una persona. E’ un continuo ripetersi di dinamiche: c’è sempre lui, il compagno, il fidanzato, il marito, a essere arrestato, indagato o semplicemente sospettato.
L'”amore criminale” diventa un “serial televisivo”, storie sempre uguali da sviscerare e riaggomitolare per poterle sfruttare al meglio quando ci sono degli spazi da riempire.
Occuparsi di altro per non ricordarci lo scippo di democrazia e di diritti democratici perpetrato ogni giorno ai nostri danni. La trasformazione della tragedia in telenovela è il nuovo sport nazionale.