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A Marco Malvaldi
con profonda invidia.
Saranno state, ora un esagero, ma le dieci-le diecemmezzo di mattina e c’era un caldo che levava il fumo alle schiacciàte.
Sergino, detto “Cèa” perché era secco rifinito, si decise a muovere le chiappe dal 124 color Giallo Mondadori del suo pòvero babbo Agènore, e a entrare nel Bar Collando già briào di strizzo, accolto dal coro delle voci bianche della Cappella Sistina:
– “Vòi un ovino?” tuonò subito nonno Ampelio. E tornò a sputarsi sulle dita per agguantare meglio le carte del tressette e compiacersi con se stesso per il Buon Gioco da accusare assieme a una napoletanina a picche appena servita. Che culo che ciaveva!
– “O un vermuttino di rinforzo?” feci io a mo’ di controcanto. E già che c’ero sminciai anche un po’ le puppe della Tiziana, che son cose che fanno sempre bene allo spirito.
– “E la devi smette’ di rifinitti dalle seghe!!” chiosò Aldo, che in quanto a finezza bisognava ammettere che non glielo catapultava nello scodellaminestre nessuno.
– “No, io vi volev…” -s’inserì a voce fioca il Cèa- “…odire cheinz… omma ci sarebbe il vigile lì fuori… ma a quest’ora la multa ve l’ha già bell’e fatta a tutti quanti vu’ siete… e ciò anche piacere! Massimo fammi un bel poncino càrico, vai, così rinfresca!”
Al Bar Collando era solo metà mattinata.