Il senso di Liber Liber per Oscar Wilde

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Ecco, per esempio prendiamo la pagina di Liber Liber su Oscar Wilde, che ho reso permanente su archive.is, a scanso di successive revisioni e correzioni all’indirizzo:

https://archive.is/ZOPfq

E’ redatta da Nicole Costantino, di cui non conosco null’altro se non il nome. Google non aiuta, ci sono molte persone con questo nome e, non avendo ulteriori elementi di valutazione sulla persona, prudentemente mi taccio.

Non mi taccio, invece, sui contenuti. Si legge, infatti, nelle note biografiche:

“Il suo rapporto affettivo (quello con Oscar Wilde, ndr) con Lord Alfred Douglas costò a Wilde un processo e una condanna a due anni di lavori forzati.”

L’affermazione è palesemente errata tanto nella forma quanto nella sostanza. Prima di tutto perché i processi contro l’irlandese non furono uno ma due (uno per calunnia nei confronti del padre di Bosie, Lord Alfred Douglas, l’altro per sodomia) e fu al termine del secondo che lo scrittore fu condannato a due anni di lavori forzati. E poi le motivazioni che lo portarono a giudizio non sono certo da ricondurre alla sua relazione omosessuale in sé, quanto a quello che ne scaturì, in primo luogo la lesione all’onorabilità del padre di Bosie, circostanza che si trasformò in un vero e proprio boomerang nei confronti di Wilde, che ne uscì a pezzi.

C’è, poi, un’altra affermazione, che precede quella già citata, che lascia perplessi, ovvero:

“Nonostante fosse un omosessuale e avendo vissuto per questo motivo con disagio, ebbe moglie e figli.”

E’ vero soltanto in parte. La verità è proprio quella opposta, ovvero che nonostante Wilde abbia avuto nella sua vita moglie e figli, era un omosessuale. Perché le cose bisognerà pur chiamarle con il loro nome. Altrimenti si rischia di avallare la visione miope della fine dell’800 inglese, secondo cui il compimento di un uomo e di una donna era soltanto quello di sposarsi e di generare la prole. Il matrimonio e la paternità, per Wilde, furono solo il paravento, la copertura della sua reale condizione e inclinazione. Non è che Wilde rinunciò alla sua omosessualità per avere una famiglia, no, affatto, anzi, alla sua omosessualità Wilde non rinunciò mai, a prescindere dal fatto che avesse una condizione personale regolare agli occhi della società del tempo. Rovesciare i termini della questione significa non dare a Wilde i 360° della sua figura, tanto gigantesca in letteratura quanto autodistruttiva nella vita.

Adesso c’è solo da chiedersi: a chi giovano queste inesattezze e questi rovesciamenti di prospettiva? Non certo al lettore occasionale, cui, pure, certe idiosincrasie non sfuggono, né a colui che voglia scaricarsi da Liber Liber le opere dell’artista. Sono asserzioni dettate da un’aura di perbenismo (immagino, anzi, sono sicuro che parte del pubblico di Liber Liber sia costituito da utenti minorenni, ma anche ai minori bisogna dire la verità, prima o poi, non è che possiamo tenerli nella bambagia e edulcorare una pillola amara ma che riconduce alla realtà dei fatti) e di ingiustificato pudore, quasi che la condizione omosessuale di Wilde non possa essere detta, rivelata, fatta presente e addirittura messa a testo in modo chiaro e inequivocabile.

E guardate una cosa (un’altra): che fine fanno nella biografia di Wilde le opere teatrali? Non ci sono, non vengono nemmeno citate. Quasi che la sua grandezza incontestabile si esaurisca con le opere narrative, poetiche e coi saggi giornalistici giovanili. Non si può lavorare per settori. Non si può usare un criterio ascientifico e mettere da una parte una frazione della letteratura di un autore. Il minimo (ma proprio il minimo) che posso aspettarmi da una pagina della più grossa biblioteca digitale italiana è che mi vengano date informazioni precise e complete.

Io mi auguro che Liber Liber, prima o poi, trovi il tempo, la voglia e l’impegno di correggere queste grossolane affermazioni e che ridia onore alla figura di una delle più grandi voci letterarie europee. Lo faranno, probabilmente. Ma con l’incredibile calma e lentezza che da sempre li contraddistingue.

Una scrittrice lesbica su Wikipedia

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Marguerite Radclyffe Hall, nota soprattutto per il romanzo “Il pozzo della solitudine” è morta nel 1943. Dunque, dal primo gennaio di quest’anno, le sue opere sono in pubbico dominio. Naturalmente quelle in lingua originale.

A parte Giaime Pintor, la stessa Radclyffe Hall e Sergeij Rachmaninov, quest’anno non ci sono autori e compositori particolarmente interessanti che entrano nella pertinenza di tutti, nessuno escluso. Pazienza, non può andare sempre bene.

La voce di Wikipedia dedicata a Radclyffe Hall comincia così:

“Radclyffe Hall, nome di battesimo Marguerite, utilizzò tuttavia il nome di John (Bournemouth, 12 agosto 1880 – Londra, 7 ottobre 1943), è stata una scrittrice britannica lesbica.”

Ma che bello! Una “scrittrice britannica LESBISCA”!! Ma perché, Oscar Wilde è stato uno scrittore irlandese gay?? Ma no di certo! Anzi, per Wikipedia:

“Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde (Dublino, 16 ottobre 1854 – Parigi, 30 novembre 1900) è stato un poeta, aforista, scrittore, drammaturgo, giornalista e saggista irlandese.”

E che diàmine.

L’etichettatura di “lesbica”, nelle due righe che dovrebbero dare almeno l’essenziale su uno scrittore (dati biografici e nazionalità) è assolutamente fuori luogo.

Certo, Radclyffe Hall era omosessuale, e la tematica dell’omosessualità ha sempre permeato la sua opera letteraria. Ma questo, casomai, si dice in biografia e nell’analisi dei suoi libri.

La connotazione sessuale di una persona non la rende “enciclopedica”. E la morbosità ex abrupto non rende un buon servizio a Wikipedia. Ma del resto Wikipedia non rende un gran servizio all’umanità.

Dublino 2010 – La casa natale di Oscar Wilde

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Dunque è giunta l’ora ch’io vi sfranga le gònadi con la proposizione delle immagini del mio terzo viaggio dublinese.

Vi avevo detto che sono stato a Dublino? No? ebbene eccomi qui davanti alla casa di Oscar Wilde, quel vecchio panzone.

La casa è a due passi dal centro e dalla vita movimentata di Grafton Street, ma in una zona relativamente tranquilla, al punto che non la si riconoscerebbe come una casa di tale importanza storico-culturale, se non fosse per una piccola targa che ricorda l’evento.

I dublinesi non hanno il senso del feticcio, ma quello della cultura e della conservazione del ricordo dei loro "grandi". Però lo fanno con pudore, anche se è tutto un parlare di Wilde e Joyce.

Anche se vengono traditi da chi, pensando di andare a Londra, va incontro alla corruzione. Sarà per questo che odiano così tanto gli inglesi?