Checkpoint Charlie

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E’ fin troppo facile munirsi dell’hastag #JeSuisCharlie e campeggiare con un centoquarantacaratteri su Twitter. E’ anche fin troppo facile scendere in piazza a protestare con la stessa scritta stampata su un foglio A4 e ostentata sopra le testa ad altezza selfie e una matita in mano. Resta comunque da osservare che i francesi in piazza ci scendono e gli italiani no.

Scontato anche dire che quello perpetrato contro Charlie Hebdo sia in realtà un attentato alla libertà di espressione e a quelle di critica e di satira, che ne derivano: è una realtà fin troppo evidente.

Molto più difficile, per non dire impossibile, è ammettere che i primi nemici della libertà di espressione siamo noi stessi, terroristi primigeni di ogni vignettismo.

Siamo noi che appena arriviamo in rete e leggiamo una cazzata non ci fermiamo a constatare il fatto che la presenza di cazzate in rete è l’espressione di quella stessa libertà che rivendichiamo per noi. Anzi, ci sentiamo in diritto e in dovere di dire non solo che quello che leggiamo con ci piace (perché fin qui…) ma che chi l’ha detto o scritto è un imbecille e che non dovrebbe usare lo spazio che gli viene messo a disposizione in quel modo. Siamo noi che scriviamo su Facebook frasi deliranti come “Se sei d’accordo dillo, se non sei d’accordo stai zitto” (alla faccia del diritto di critica, n’est-ce pas?) oppure “Come ti permetti di scrivere queste cose sulla MIA bacheca Facebook?” (la bacheca non è affatto tua, coglione, te la offre Facebook perché tu ci faccia quello che ci vuole LUI, non tu). Siamo noi che litighiamo per un tweet (una volta uno scrittore che sta ottenendo un discreto -ma a mio giudizio immeritato- successo voleva a tutti i costi il mio numero di telefono per litigare di persona) o per un post di un blog (avete mai provato a dire che la musica della “Canzone dell’amore perduto” di De André non è sua ma di Telemann? Ecco, io sì.)

Per noi un’opinione diversa non è e non resta un’opinione. Diventa, inevitabilmente, una polemica quando va bene, un’ingiuria ad personam quando va così e così e come una vera e propria ignominia nel peggiore dei casi.

Un esempio: la figlia di Pino Daniele ha “postato” su Facebook un pensiero in ricordo di suo padre. Tra i 700 e passa commenti ce n’era almeno uno che rimproverava a questa ragazza il fatto che avrebbe dovuto starsene a piangere riservatamente anziché esternare i suoi sentimenti sul social network.
E va beh, sì, magari avrebbe anche potuto, ma se se la sentiva di fare diversamente cosa facciamo, la fuciliamo in piazza come nemica del popolo? Vogliamo sindacare perfino su come una persona gestisce il suo dolore, cioè qualcosa di personale, intoccabile, dato sensibile per eccellenza. Figuriamoci se non ci occupiamo delle opinioni.

Esisterà sempre chi batte i denti, chi prende il ritmo e ci balla sopra. Così come chi sarà disposto a sparare sul ballerino: gli stessi che oggi si nascondono dietro a un tweet.