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"Mi piace sul mobile dell’ingresso, subito, appena rientro…"
"Mi piace farmela guardare…"
si sottintende la borsa. Si chiama "Mi piace…lì" una campagna di gusto assai discutibile che, come tale, sta ottenendo un successo stratosferico tra le utenti di Facebook.
L’ha promossa la Lilt, Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori nell’ambito della campagna Nastro Rosa. Bisogna semplicemente modificare il proprio "stato" cominciando con "Mi piace…", scegliere un luogo, una circostanza e paff, la cosa è fatta. Semplice, veloce, diretto, indolore e soprattutto gratuito e senza ulteriori conseguenze. Proprio come piace all’italietta berlusconiana del primo decennio del secolo.
Naturalmente non è per niente divertente, anzi, fa arrabbiare che una associazione che si prefigge, o dovrebbe prefiggersi lo scopo di sensibilizzare le donne alla prevenzione dei tumori usi l’antico ma sempre disgustoso artifizio retorico del doppio senso, dell’ammiccamento sciocco, della follia del dico o non dico.
Una volta da bimbetti c’erano delle canzoncine ad hoc. Per esempio ce n’era una che diceva "Vieni mia bella vieni/vieni nel mio palazzoooo/là ti mostrerò il caaaaaaaaa……ro e vecchio genitoooor…", dove la prosecuzione naturale non era, evidentemente, il "caro e vecchio genitor", altro voleva mostrare l’io poetico alla gentile e bella drùda. Ma, appunto, s’era bimbetti.
Oggi invece le donne con il doppio senso su Facebook ci giocano sul serio. Convinte e compatte. La borsa, si diceva, qualcuna scrive che "non mi piace che me la tocchino" e ci mettiamo anche un bel chi se ne frega. Ma gli uomini, si sa, sono creduloni, ci cascano subito e qualcuno commenta, si inserisce, stuzzica. E loro, le donne di Facebook, lì, granitiche a dire "Ma cosa avevi capito? Alludevo alla borsa, e poi era una promozione indiretta per la prevenzione dei tumori al seno." Orgogliose, si badi bene, di avere appena aderito a un’improvvisata comparsata lessicale, appena appena volgarotta.
Per parlare di tumori al seno si usa questo. Si sostituisce la patonza non già alla borsa, bensì alla tragedia! A tutto quel coacervo di spavento, sensazioni e paure che lasciano una donna sola davanti alla malattia.
Ma è solo un po’ di pubblicità, e perbacco, ridiamoci sopra. Perché sapete cosa vi dà da Lega Italiana per la Lotta contro i tumori?
"… contattando le sedi provinciali della Lilt, è possibile prenotare la visita gratuita di controllo in uno dei quasi 400 ambulatori presenti sul territorio nazionale." (Corriere della Sera)
Ecco. Si può prenotare una visita gratuita (uno screening?) presso un centro di controllo. Ha quasi del miracoloso. E pensare che c’è gente che per prenotarsi una visita va alla ASL con l’impegnativa del medico! Invece adesso è più semplice, si va presso una associazione di volontariato e si prenota lì. Già, giusto, e che cosa cambia? Nulla, naturalmente, a parte avere imbrattato Facebook di frasi inutili, ma sappiamo per certo che la visita è gratuita.
Gratuita per chi?
Se fosse gratuita solo per chi si rivolge alla Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori è evidente che si creerebbe una bella disparità tra chi ci si rivolge e chi, invece, la visita di controllo se la paga (in tutto o in parte).
Se, al contrario, fosse gratuita per tutti mi si spieghi, di grazia, dov’è il merito dell’iniziativa. Quello di offrire gratuitamente alla gente quello che è già gratuito per conto suo?
Ogni donna è libera di spiattellare i propri attributi, le proprie preferenze sessuali, i propri doppi sensi o, se preferisce, le proprie borse.
Ma coi tumori non si scherza. Mentre c’è chi scrive "Mi piace sulla lavatrice mentre la centrifuga fa il suo dovere" ci sono donne che muoiono sul serio. E a loro non piace lì, in un letto d’ospedale, con mille tubicini, la morfina che non fa più effetto, la mente obnubilata e la vita che va via.
Le donne che muoiono di tumore se ne fregano dei messaggini di presunta solidarietà o se qualcuna scrive "Mi piace sull’erba. Bagnata!" e voleva alludere alla borsa frigo del picnic.
Le donne che muoiono di tumore non sono su Facebook.