La muerte es una tómbola

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Questo è il primo e ultimo articolo che scrivo in cui parlo di calcio, argomento su cui si sono scritte tonnellate di inchiostro e si sono spese parole spesso vacue e inutili per descrivere situazioni al limite del grottesco.

Diego Armando Maradona è morto. Per carità, sia pace all’anima sua e che trovino pace e serenità i suoi diretti congiunti, nonché tutti (e sono tanti) che gli hanno voluto bene in vita.

E’ stato un campione, e questo nessuno lo mette in dubbio.

Quello che, invece, sì, c’è da mettere in dubbio, è la deificazione (addirittura!) che ne è stata fatta. Il famoso gol di mano contro l’Inghilterra fu catalogato come “la mano de Dios“. Leggendo un quotidiano argentino on line ho trovato la scritta “D10s“. Mi pare francamente eccessivo. Un po’ perché, non credendo in nessun dio, mi pare impossibile che un essere umano fallibile come Maradona abbia potuto assurgere direttamente dal ruolo di attaccante a quello di divinità. Un po’ perché l’unica verità è che si muore. E’ toccato a Maradona, ieri, oggi chissà a quanti altri. Forse domani a me. O a qualcun altro.

L’uso di cocacina, l’uso di sostanze dopanti come l’efedrina (che, va beh, la prendono un po’ tutti per perdere peso e per curare il raffreddore, ma si dà il caso che nello sport sia proibita), i suoi eccessi, le sue frequentazioni ambigue in ambiente italico, ne facevano un uomo fragile ed eccentrico allo stesso tempo. Non certo un dio. Eppure “a Rosario, in Argentina, i suoi tifosi fondarono nel 1998 la Iglesia Maradoniana (Chiesa di Maradona), dove il calendario si calcola contando gli anni dalla sua nascita” (Wikipedia). Insomma, AD non sta per Anno Domini, ma per “Antes de Diego”. Gli sono stati dedicati e intitolati in vita stadi (come nel quartiere La Paternal di Buenos Aires), e il sindaco De Magistris ha già annunciato la sua intenzione di dedicargli lo Stadio San Paolo di Napoli.

Non è eccessivo?

E forse sì, magari “Maradona è cchiù meglio ‘e Pelè”, che è come dire che un dio è migliore rispetto a un essere umano. E chi lo mette in dubbio?? Solo che gli dei non giocano a calcio, il calcio è roba per gli esseri umani, e a noi, tifosi di Pelè fino in fondo e con tutto il cuore, rimane solo la consolazione di un vero e proprio poeta del calcio. E i poeti, si sa, non vanno in paradiso. Pelè è un uomo dalla vita specchiata, un vero e proprio gentiluomo. Un uomo che ha dato al calcio dla sua vita, per irprendersela, poi, quando ha visto che era finita. Tutto quello che, forse, gli si può rimproverare è essere stato il testimonial del deodorante “Brut 33 di Fabergé”, certo non avrà mica vissuto per la gloria, ma è, appunto, un uomo. Che lasciava le sue imprese calcistiche agli umani, l’unico vero campione cui si piegò, inchinandosi per il telento, la storica Nazionale italia di Riva, Rivera e Facchetti appena uscita con un sonoro 4-3 dalla semifinale con la Germania nel 1970. E’ stato ” una faccia nera, un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti”, come scrisse Gianni Brera. Si chiama Edson Arantes do Nascimento, e va orgoglioso del fatto che il suo nome, una storpiatura di “Edison”, gli sia stato dato in onore di Thomas A. Edison. E’ “O rei” (il re) e i re sono umani, non hanno nulla a che vedere con la divinità. 761 reti in 821 incontri: una media di quasi un gol a partita.

Qualcuno ci ha provato a dargli del “dio”. Fu il Sunday Times, il giorno dopo della già ricordata vittoria del Brasile contro l’Italia a scrivere «How do you spell Pelé? G-O-D» ma nessuno lo prese sul serio.

Insomma, gli dei non hanno nulla a che vedere col calcio, che è roba da persone mortali. Come mortale era Maradona. Voleva entrare nella storia, c’è entrato, ma la storia è piena di persone che non ci sono più. E quando, o mammammammamàmma, il corazón non ci batte più e ci tradisce, ci se ne va. Come tutti gli altri. Perché i morti sono quasi tutti uguali.

Non credere nella divinità ci aiuterà a vedere Maradona per quello che era e non per quello che noi vorremmo che fosse. ¡Adiós Diego, que un tango te acompañe!.