Quando lo spamming si fa duro – Dovrei rispondere?

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Scusate la breve latitanza, ma in questi giorni sono stato raggiunto da una valanga di chiamate telefoniche di spamming duro che sto facendo fatica a contenere e che mi sta preoccupando non poco.

Non vi dico da parte di chi arrivi (ma potrei benissimo farlo se il disturbo dovesse continuare) ma vi dico che le modalità con cui sono stato spammato non sono delle più tranquillizzanti e felici. Mi chiamano, mi dicono che con me parla Parapesio (invento nomi e circostanze), ciao Valerio, ti ricordi, abbiamo parlato insieme qualche settimana fa, mi hai detto di richiamarti oggi a proposito dell’apertura di un conto… no, non ci siamo mai sentiti e in più io non intendo aprire nessun conto… ma no, aspetta cosa fai, senti, io ti volevo dire, ascoltami un momento, cosa stai facendo, guarda che mi fai incazzare, non dire così perché abbiamo la telefonata registrata (chissà cos’hanno registrato se io non ho parlato con nessuno), anzi, ti dice niente la frase “Prima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti combattono. Poi vinci.”? Eh?? Adesso sei più tranquillo Valerio?? Oh, finalmente possiamo parlare.

E così via in una modalità aggressiva e prepotente. E’ il primo spamming mirato “ad personam”. Cioè, non è che ti chiamano per proporti un nuovo cambio tariffario o un nuovo conto in banca o una carta di credito o l’acquisto di una batteria di pentole, loro sanno chi sei.

Intendiamoci, sanno chi sei esattamente come può saperlo chiunque altro che metta il tuo nome e cognome sulla barra delle ricerche di Google, nulla di più e nulla di meno, ma intanto ti scocciano. Spiego che la proposta non mi interessa e butto giù. Vengo richiamato, successivamente, da una serie di cinque o sei numeri di telefono fissi dislocati un po’ in tutta Italia (da Treviso a Mazara del Vallo), uno dietro l’altro, insistentemente, finché non rispondo di nuovo e subito dopo metto giù. Il numero “madre” è di Milano, già noto come referente di pesante telemarketing e reperibile sui motori di ricerca nei siti dedicati allo spamming telefonico. Ma gli “alias” con prefissi riferibili a tutte le città d’Italia sono innumerevoli.

Una amica mi ha consigliato di installare l’app per smartphone “Dovrei rispondere?”, versione italiana di “Should I answer?”, un database di oltre 30000 numeri telefonici che diffondono pubblicità immediatamente bloccati, ma, come vi dicevo, questo tipo di spamming di cui sono vittima è in continua metamorfosi, quindi si fa presto a fare apparire un numero di telefono chiamante che non esiste (se provate a contattarlo al 99% dei casi non otterrete nessuna risposta, tranne quella del disco del vostro operatore telefonico, che vi dice che la numerazione chiamata è inesistente). Così, se il numero chiamante fa parte delle 30000 utenze segnalate da “Dovrei rispondere?” riesco a bloccarla. Quando non lo è la telefonata arriva regolarmente. E’ un filtro-colabrodo ma intanto è già qualcosa. E poi c’è una community molto attiva alle spalle, si dànno da fare per affinare lo strumento e offrono una serie di recensioni al negativo su chi spamma via telefono a destra e a manca.

Attualmente ricevo circa 1-2 chiamate al giorno. E non la smettono, e non la vogliono smettere. Io non ho nessuna intenzione di cambiare il mio numero di telefono per una manciata di spamming, ma voi fate attenzione, perché questo tipo di telefonate è davvero MOLTO, ma MOLTO pesante da sopportare e da gestire.

Privacy is not a crime!

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Qualcuno mi ha chiesto (bontà sua) cosa io ne pensi delle intercettazioni selvagge rispetto al tema della privacy.

A parte il fatto che ho già scritto qualcosa in proposito, posso condensare il tutto in una breve sentenza: avete voluto l’“intercettatemi pure”, avete voluto il “siamo tutti puttane”, avete gridato “io non ho niente da nascondere!” adesso non vi lamentate!

“Ma tu hai un blog, metti tutta la tua vita in pubblico e poi vieni a ragionare della privacy…”

Sì, io ho un blog ma tutta la mia vita in pubblico non ce la metto. Quanto alla privacy, è molto semplice: la privacy è tutto quello che IO decido che gli altri possano fare (o non fare) con i miei dati e con le mie informazioni. Punto, non c’è altro.

Sembra semplice eppure lo è:

– se io metto sul blog il mio indirizzo e-mail, è perché mi fa piacere che la gente mi scriva sulle tematiche e sugli articoli che tratto nel blog. E quello è il motivo per cui lo pubblico. Se, invece, lo usa per mandarmi della pubblicità, lì sì, mi inalbero. Perché questo non rientra più nei limiti di quello che IO avevo stabilito fosse il confine del mio formire quel dato personale;

– se io scrivo sul blog che ho l’influenza, questo dato deve rimanere circoscritto alla sfera della lettura di pura fruizione (leggasi “cazzeggio”) e nessuna clinica privata è autorizzata, attraverso il mio blog, a raccogliere informazioni sulla mia salute;

– se io metto su Facebook il mio numero di telefono, è perché voglio che Facebook e le persone autorizzate a vederlo possano usufrirne per offrirmi dei servizi o comunicare con me a voce, se credono. Se, invece, in virtù di quella pubblicazione mi telefona l’agenzia dei cuori solitari Cupido per propormi una iscrizione quelli non sono più i MIEI scopi iniziali.

“Eh, va beh, ma tu così ti esponi…”

Anche voi siete esposti, bèi miei naccherini, o pensate che non conferire su Facebook il vostro numero di telefono, ma dare dati riguardo alla vostra religione e al vostro orientamento politico vi preservi ugualmente in saecula saeculorum amen? “Oh, no, il numero di telefono è una cosa così personale…” E il credo religioso e politico no?? Non volete rotture di scatole? Non andate su Internet! Se ci siete (e ci siete) accettate di rischiare, ma poi non venite a fare quelli che cascano giù dal pero se Obama vi incastra mentre parlate con l’amante (paura, eh???).

La privacy è qualcosa di molto articolato. Se voi il numero di telefono invece che darlo a Facebook lo deste al supermercato perché avete completato la raccolta dei punti per l’ottenimento di una zuppiera in purissimo dado da brodo, e poi il supermercato lo cedesse a un altro supermercato, che lo cede a un’agenzia di pompe funebri avete il brodino caldo gratis, la spesa con lo sconto e il funerale con l’offerta speciale, ma intanto il vostro numero di telefono va in giro, e voi ve la prendete con me perché ho dato il mio numero di telefono a Facebook!

Dovreste incazzarvi quando qualcuno fa qualcosa a vostra insaputa coi vostri dati. E anche quando vi dicono che Letta non può essere stato intercettato perché aveva il cellulare crittografato. Perché non li dànno a noi i cellulari crittografati? Noi intercettati e Letta no perché aveva il telefonino strafigo? Va mica bene! Spendiamo centinaia di euro per un telefono che nella migliore delle ipotesi tra sei mesi sarà vetusto e ci pigliano anche per il culo facendoci ascoltare dagli americani.

“Firmi qui qui e qui, è per la privacy” e poi ve lo tirano in quel posto perché per pagarvi il macchinone a rate dovete dare la liberatoria alle banche per l’appoggio del RID (“Ha un conto corrente lei?? Allora è tutto a posto, non ci saranno problemi…”). Vi piace avere almeno un paio di carte di credito nel portafoglio? Anche a me, ma si dà il caso che chi ha emesso la mia carta di credito sappia tutto di quello che compro, di quanto spendo, di dove lo compro. Se compro dei libri on line chi emette la mia carta potrà sapere che ho speso X presso il venditore Y, e non i titoli che ho ordinato. Ma quelli li conosce il venditore Y, appunto, e allora sono già due soggetti che hanno in mano i miei dati.

“Firmi qui qui e qui, è per la privacy” e poi lo prendete di nuovo in quel posto perché si dà il caso che se non firmate poi non avete quella prestazione sanitaria. Ma perché il centro che mi fa le radiografie ha bisogno di sapere se sono coniugato o se ho dei segni particolari di riconoscimento? E poi io dovrei firmare “per la privacy” mentre quelli mi chiedono se per caso ho un neo in fronte o con chi sono sposato?

Ecco, volevate il mio pensiero e ve l’ho detto. Ora firmate qui, qui e qui. E’ per la privacy.

Orecchioni!

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Sì, dunque, si diceva che gli Stati Uniti spiano i nostri governanti e politici, ci ascoltano, intercettano ogni comunicazione (telefonate, mail, messaggi WhatsApp, Facebook, Twitter, codice Morse) parta, arrivi o sia in transito sul nostro territorio.

Anche Enrico Letta era sotto tiro. Ha detto: “Abbiamo chiesto chiarimenti al governo americano, perché attività di spionaggio di questo tipo non sono ammissibili”.

Del resto la Germania non se la passa meglio, e la Merkel ha già telefonato a Obama per lamentarsi degli orecchioni che mettono sotto controllo uno stato intero. Forse anche perché tra i telefoni intercettati c’erano i suoi.

Ma ora che ci ripenso noi non eravamo quelli che andavano a manifestare nelle piazze tutti belli tronfi e sussiegosi con un cartello recante la scritta “Intercettatemi pure” ben stretto in mano??
Non eravamo noi quelli che dicevano “Ah, io non ho nulla da nascondere, possono intercettarmi quando vogliono, io sono una persona trasparente”?
Siamo noi italiani quelli che pensano che siccome uno parla al telefono girandosi da una parte ha qualcosa da nascondere, perché se no, si sa, farebbe sentire i cazzi suoi all’universo mondo (che ne è, come d’uopo, interessatissimo).
Com’è che la gente quando deve mandare gli auguri di Natale invece di mandare il cartoncino aperto con la linguellina della busta incastrata dietro, lo chiude con la colla? Deve avere per forza dei segreti indicibili, e sicuramente è una persona poco perbene perché se VERAMENTE stesse mandando degli auguri di Natale non userebbe tutte queste inutili precauzioni.

Io non ho mai voluto essere intercettato. Ma non perché abbia qualcosa da nascondere, ma perché a chi telefono, a chi scrivo e cosa dico sono affari miei. Qualunque cosa dica, comunichi o scriva. Giù le mani dalle mie comunicazioni!

E invece abbiamo voluto fare i guappetti, rinunciare a un po’ della nostra privacy per avere un po’ di sicurezza, ma non meritavamo né l’una né l’altra.

Yoani Sánchez e la dittatura capitalista degli sms

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Yoani Sánchez, blogger e dissidente cubana ha sottolineato ieri, attraverso il suo account Twitter (sia detto per inciso, detesto espressioni volgarmente di moda come “il suo Twitter” o “il mio Facebook”) che non può postare i propri messaggi con caratteri estesi perché altrimenti il suo gestore telefonico cubano, attraverso il quale accede a Twitter in scrittura via sms, le farebbe pagare il doppio.
Si tratta delle parole accentate, ad esempio. La lingua castigliana ne è piena ed è praticamente impossibile non trovarne neanche uno in un testo correttamente scritto di 160 caratteri.
La possibilità di inviare un testo di 160 caratteri è subordinata dunque all’uso dei caratteri base. Viceversa il costo di una comunicazione potrebbe lievitare in maniera preoccupante se si considera che alcuni gestori latino americani per ogni accentata utilizzata decurtano un monte-caratteri considerevole (circa una novantina per un semplice “sí”).
Normale che attivisti come la Sánchez (sì, anche il suo cognome si scrive con l’accento) ripieghino su un uso maggiormente semplificato dell’ortografia. Ma pensare ai milioni di adolescenti sudamericani che comunicano con gli sms e che massacrano l’abitudine di scrivere in modo corretto fa pensare a un deperimento delle conoscenze delle regole della scrittura a vantaggio di un risparmio economico.
È il costo della revolución, bellezze!

Non posso chiamare all’estero con Infostrada

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In casa abbiamo Infostrada come operatore predefinito di telefonia fissa.

Vuol dire, in soldoni, che tutte le chiamate voce dal telefono fisso vengono a-u-t-o-m-a-t-i-c-a-m-e-n-t-e gestite da Infostrada con cui abbiamo un contratto che fino ad ora ci è sembrato abbastanza conveniente e piuttosto confacente alle nostre esigenze. Quando lo sottoscrivemmo ci diedero anche una tariffa speciale per chiamare un paese dell’UE a nostra scelta con una tariffa più conveniente. Scegliemmo l’Irlanda. Ma questi sono cazzi nostri.

Giorni fa ho avuto bisogno di chiamare la Germania (che mi risulta essere un paese telefonicamente raggiungibile). Purtroppo una persona a me molto cara è venuta a mancare e avevo bisogno di piangere un po’ al telefono con le sue due figlie. Ho pensato a quando Mike Bongiorno faceva la pubblicità della teleselezione internazionale e diceva più o meno "Pensate che una telefonata di cinque minuti con gli Stati Uniti costa quanto una bottiglia del vostro liquore preferito, ma volete mettere come scalda il cuore?" e a quanto tempo è passato da allora.

Formo lo 0049, prefisso e numero di telefono: "Infostrada, la Sua linea non è abilitata al tipo di chiamata richiesta".
Come sarebbe a dire che non è abilitata? Riprovo, stesso segnale di risposta. Chiamo l’assistenza clienti e mi dicono che siccome molti clienti si erano lamentati per bollette contenenti addebiti per telefonate a numerazioni ad alta tariffazione (899, non so che altro e, appunto, le chiamate verso l’estero), allora in maniera unilaterale Infostrada aveva deciso di disattivare l’accesso a queste numerazioni.
Naturalmente potevo richiederne il ripristino, ma questo avrebbe comportato qualche giorno di attesa, perché, sa, non è mica una cosa immediata, Lei deve capire, noi comprendiamo le Sue esigenze, tuttavia non possiamo fare in modo che bla e bla e bla.

Ho richiesto che la linea venisse di nuovo abilitata alle chiamate internazionali. Nel frattempo ho ovviato al problema formando l’1033 che è il prefisso Telecom (sì, esiste).

Dopo pochi giorni ci arriva una lettera in cui ci viene seccamente comunicato che "la richiesta non è compatibile con il suo attuale contratto".

Come volevasi dimostrare.

Per le feste di Natale e fine anno fate anche voi una telefonata!

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Avete telefonato a tutti i vostri cari?

Avete fatto gli auguri al vostro prossimo che vive lontano? (ma se è prossimo come fa a stare lontano? E va beh, mi c’incarto sempre con queste frasi ad effetto, abbiate pazienza…)

Avete provveduto a ingrassare le tasche della SIP oltre il dovuto per fare un’interurbana alla zia Blagodarinda, che ci tiene tanto?

Avete ricaricato la vostra purtuttavia inutile scheda SIM con un’offerta speciale di 100 messaggi al mese da spedire a tutti, ma proprio tutti, finendola in tre giorni, il che vuol dire che per gli altri 27 tirate fuori una bella fracca di quattrini e vi attaccate?

Avete confortato la povera vecchietta di Vostra Madre facendole sentire la votra presenza di lontano?

Siete sicuri di non aver trascurato nessuno e di non sentirvi pervasi dai

SENSI DI COLPA(Tm)?

Pensateci bene, perché non è ancora finita la giornata di festa in cui potete augurare anche voi "Buona fine e miglior principio" a chi durante l’anno considerate meno di zero, e ora che è Natale gli rompete i cogl… confortate l’orecchio colle vostre irrinunciabili chiamate telefoniche.

Sì, da qui alle 23.59.59 di oggi, 26 dicembre, potete anche voi rendervi antipatici e sgraditi, chiamando or quello, or quell’altro e riprendendo il ritmo lavorativo da domani mattina con maggior calma e bontà nei cuor.

Non buttate via un’opportunità preziosa!

Telefonate ancora, e ancora e ancora. Farete sicuramente felice chi vi ascolta!

Nokia 3410 per non credenti

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Devo agl’istolti che, considerando la mia frequentazione con le tecnologiche insulsaggini, non ci credono, la dimostrazione del mio possesso di telefono cellulare mod. Nokia 3410, in funzione da almeno otto anni finiti, e che ho rivestito di cover natalizia atta all’uopo, attrezzo che, quando deciderà di stiantare, mi getterà nel panico più totale, visto che vi conservo registrato il record personale del gioco "Snake II", conquistato sulla linea autostradale Roma-Giulianova percorsa in autobus.

Rèndansi dunque all’evidenza i sanza fede!

Le foto Polaroid con numero di cellulare realizzate da Pablo Chiereghin in mostra a Vienna

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Il social network, quello vero, non è Facebook, che non si sa bene a cosa serva ma piace a tutti, nè Twitter, che si sa benissimo a cosa serve ma in pochissimi lo usano.

Il vero social network lo ha inventato un signore che si chiama Pablo Chiereghin, che a Vienna presenta un suo progetto intitolato "Portraits with telephone numbers" (Ritratti con numeri di telefono).

E’ l’uovo di Colombo: quaranta immagini stile Polaroid (la prima dell’Autore) di persone assolutamente normali che hanno deciso di metterci la faccia e il numero di telefono (scritto proprio sotto al ritratto).

Una serie di ritratti, dunque, non esattamente con lo stile del Pollaiolo, ma con la freschezza dei volti della quotidianità e la possibilità di interagire attraverso il mezzo del cellulare, considerato, al pari della foto su carta Polaroid, una tecnologia "analogica" (va beh, "Repubblica" la chiama così, tanto, come sempre, qualcosa bisogna pur che dicano, anche loro…).

Riuscire, come ho detto, a metterci la faccia e nientemento che il numero di telefono (dato che la gente considera "intimo" per eccellenza) per essere contattati da una potenziale moltitudine indefinita di persone, è un atto di coraggio, indubbiamente, ma è soprattutto una dimostrazione sincera e di immediata empatia di non paura.

Abbiamo davvero bisogno di gente che non ha paura.

La mostra si chiama "Privacy Matters" e la ospita la Anzenberger Gallery.

Garante della Privacy: no al telemarketing con generazione casuale dei numeri di telefono

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E’ vietato effettuare telefonate commerciali usando sistemi che generano numerazioni casuali. Tanto più se gli abbonati vengono contattati con chiamate preregistrate.
 
Lo ha stabilito il Garante privacy intervenendo contro una azienda vinicola a seguito delle segnalazioni di numerosi cittadini che lamentavano la ricezione di telefonate indesiderate, in alcuni casi preregistrate. Per le sue comunicazioni commerciali l’azienda non utilizzava, né direttamente né attraverso i propri call center, i numeri presi dagli elenchi telefonici, ma si serviva di un sistema che generava i numeri da contattare attraverso sequenze casuali. Le sequenze erano elaborate con criteri geografici e i numeri non erano abbinati a dati anagrafici.
 
Nel suo provvedimento di divieto (relatore Giuseppe Fortunato) l’Autorità ha spiegato che anche il numero casualmente composto e chiamato telefonicamente deve considerarsi "dato personale", in quanto ricollegabile, anche indirettamente, a una persona identificata o identificabile. Di conseguenza, in base alle norme sulla privacy, per poter utilizzare anche questo tipo di numerazione a fini commerciali è necessario il previo consenso dell’interessato. Tanto più laddove si utilizzino modalità di contatto con chiamate preregistrate per le quali il consenso è obbligatorio, come più volte ribadito dal Garante.
 
Accertata l’illiceità del trattamento, il Garante ha vietato all’azienda di usare sistemi che generano tramite digitazione casuale numeri di telefono con i quali contattare gli interessati. La società dovrà inoltre cancellare tutti i dati personali per i quali non risulta documentato tale consenso.
 
La mancata osservanza del provvedimento del Garante espone a sanzioni penali (reclusione da tre mesi a due anni) e amministrative (pagamento di una somma da trentamila a centottantamila euro).

Mariavittoria Orsolato – Il telefono perde il filo

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Squillano nuovamente le trombette di Palazzo Piacentini. Dopo l’annuncio dell’informatizzazione degli archivi delle procure, il giovane Angelino assesta un nuovo colpo basso alla dea Themis nella versione riveduta e corretta del disegno di legge sulle intercettazioni: tetti di spesa per le procure, tempi ridotti per l’ascolto – non più di 45 giorni, prorogabili di altri 15, eccezion fatta per i reati di mafia e terrorismo – e (il gran finale) intercettazioni solo per “gravi indizi di colpevolezza”. Ciò significa che se prima le intercettazioni venivano fatte anche solo per indizi di reato – ovvero si ascoltava chiunque potesse essere connesso in qualsiasi modo al reato – ora si potranno seguire le conversazioni solo di chi si sospetta abbia realmente commesso il reato: ma se il controllo delle utenze serve principalmente a dipanare i dubbi sulla colpevolezza, come si può ascoltare il sospettato senza ascoltare il suo interlocutore, che magari sospettato non è (o non lo era fino a quel momento)? Misteri di casa nostra, che però non smentiscono l’idea che questo cambiamento nel codice sia ben più e ben altro rispetto a una semplice modifica di forma.

Ma non è tutto: i giornalisti che pubblicheranno le intercettazioni saranno puniti con 30 giorni di carcere o con una multa dai duemila ai diecimila euro, mentre le vocine che ai giornalisti offrono il materiale non vengono citate; in più, dall’elenco dei reati intercettabili sono stati depennati l’insider trading e l’aggiotaggio, quei reati da mezze calzette che hanno fatto scoppiare i casi Parmalat e Cirio, che non si sa mai cosa riserva il futuro per chi specula in Borsa. A onor del vero, si potranno però intercettare tutti i reati con pene superiori ai cinque anni – invece che i dieci invocati a gran voce da Padron’ Silvio – più alcune eccezioni come la pedopornografia, il contrabbando, i delitti contro la pubblica amministrazione e i reati concernenti droga e armi. Intercettabili poi anche i reati d’ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria e stalking.

L’Associazione Nazionale Magistrati insorge: “Con queste modifiche s’indebolisce uno strumento investigativo indispensabile per individuare i responsabili di gravi delitti”. Ma la Cassazione, aprendo l’anno giudiziario, si dimostra più morbida e, in apparente accordo con i progetti del guardasigilli, sottolinea con il primo presidente Vincenzo Carbone, la volontà di istituire un “utile archivio riservato delle intercettazioni, che sia accessibile solo al pm e all’avvocato”. Crediamo tutti nella buona fede del nostro giovane ministro, che già ha espresso la sua più totale abnegazione nella causa di modernizzazione e perfezionamento della giustizia italiana, ma lo scandalo strillato in questi giorni dalle colonne di maggiori quotidiani ci spinge a dubitare sulle reali intenzioni di via Arenula.

Lo scalpore è stato provocato dalla presunta esistenza dell’archivio segreto di un certo Gioacchino Genchi, un consulente giudiziario richiestissimo per la sua capacità di incrociare i tabulati telefonici. Secondo le cornacchie della stampa mainstream, Genchi avrebbe collezionato una quantità inimmaginabile di dati in cui, a detta de il Giornale (di regime), “alla fine tutti conoscono tutti e tutti sono accusabili di tutto”. Quello che però si dimentica di dire è che i contatti telefonici di cui il fantomatico esperto è in possesso sono stati acquisiti non per libera iniziativa dell’interessato, ma bensì su richiesta delle procure nell’ambito di due particolari inchieste giudiziarie, “Why not” e “Poseidone”, che tanto sembrano urticare la nostra limpidissima élite politica.

A deporre a favore di Genchi – ma probabilmente è proprio questo il punto – c’è il fatto che i suoi incroci telefonici hanno permesso di catturare e assicurare alla giustizia gli esecutori della strage di via D’Amelio, oltre che a scoprire che le utenze di molti malavitosi calabresi erano intestate a un parlamentare nazionale. Lo stesso Genchi ha poi elaborato, sempre su sollecitazione delle procure distrettuali, i dati che hanno portato all’istruzione dei più importanti processi di collusione tra politica e mafia, Dell’Utri e Cuffaro compresi. L’abuso delle intercettazioni è certamente una colpa grave, ma sembra che il concorso tra Genchi e De Magistris rimandi a scenari più delicati.

Dateci pure dei paranoici ma la relazione, come usava dire il buon Maurizio Crozza alla fine del suo show, non è chiara. Salvatore Borsellino, fratello del defunto giudice, ha provato a spiegarlo durante la scorsa manifestazione promossa in favore delle vittime della mafia, ma si è preferito riportare solo l’abituale sproloquio di Di Pietro sulla letargia costituzionale del nostro capo di Stato. Il perché di questa concomitanza all’interno dell’informazione nostrana ci sembra invece chiarissimo.

da: Altrenotizie

“Non accettate SMS dagli sconosciuti!” (3 is a magic number!)

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Stamattina ho ricevuto un SMS.

Non è una notizia, succede a tanta gente.

La particolarità del messaggio non è nemmeno il fatto che giunga dal mio gestore telefonico (Tre), me ne manda tanti e sempre a sproposito. Ma questo li batte tutti.

Scrive il servizio "3 informa":

Non accettate SMS da sconosciuti. I pedofili inviano SMS chiedendo foto oscene in cambio di ricariche, per info clicca GRATIS…

1) Non accettate SMS da sconosciuti. Emerita vaccata da leggenda metropolitana. Come si fa a NON accettare un SMS da un numero sconosciuto? E’ tecnicamente impossibile a meno di non tenere spento il telefono per più di una quindicina di giorni.

2) L’immagine del pedofilo che invia SMS chiedendo foto oscene, se da un lato corrisponde a una tipologia evidente di questo tipo di delinquente, dall’altro sembra francamente ridicola: ma ce lo vedete un pedofilo che come primo approccio nei confronti della vittima le dà il proprio numero di cellulare (perché presso un numero le "foto oscene" dovrà pur riceverle)? Ci manca solo che le dia anche l’indirizzo, così se uno lo vuol denunciare, per l’amor di Dio, si accomodi pure, faccia, faccia, tanto il Professor Marcelletti non l’hanno incastrato per molto meno, no…

3) Il pericolo, per quelli di 3, è sempre e solo il pedofilo. Perché secondo loro persone maggiorenni consenzienti che mandano SMS a persone maggiorenni ma NON consenzienti non esistono. Il reato di molestie è un optional. O comunque un "male minore" di cui il servizio "3 informa" ritiene di non doverti informare.

4) L’unico rimedio è non accettare SMS dagli sconosciuti, andare dal magistrato con una bella denuncia no.

Li chiamano "servizi alla clientela" e "prevenzione"