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Nella sempiterna e stucchevole voglia di fregarci con le parole, di rovesciare il mondo a propria immagine e somiglianza, di cercare di convincerci del contrario di ciò che rivela la realtà, da oggi (l’articolo è di qualche giorno fa, pubblicato sul “Corriere della Sera) possiamo dire di poter contare su una patologia in più, la ludopatia.
Il che significa, in parole povere ma ricche, che se uno non fa altro che stare davanti a slot machines, macchinette del videopocker, o a grattare come un ossesso su un cartoncino ricoperto di polverina dorata a ricercare tre simboli uguali, se uno affida al Win for Life, o al Superenalotto, o alla schedina del Totocalcio (ma esisterà ancora??) o se scommette on line o al bar, se uno frequenta le corse dei cavalli e ci si rovina, se punta sul primo gol di una squadra o dell’altra, o anche sul risultato finale di una partita, nonché se il primo che passa abbia la maglietta rossa o bianca, non è un soggetto con un comportamento compulsivo che rischia di mandare in rovina lui, i suoi affetti, la sua famiglia, i figli e, last but not least, il suo conto in banca, no, è malato. E’ malato e va recuperato alla società.
Oh, che bella cosa sapere che si è malati. Perché se si è solo dei pirla che ritirano lo stipendio e vanno a delapidarselo in sala corse non c’è gusto, mentre se siamo MALATI, possiamo curarci. E infatti lo Stato, che è il principale artefice e destinatario degli introiti derivanti da gioco legalizzato, ha già deciso che la ludopatia può essere curata. Ci sono già dei farmaci contro le ossessioni compulsive (internet, gioco, shopping), sono degli antidepressivi potentissimi che, ovviamente, saranno somministrati a chi farà bagno di umiltà, si recherà presso un servizio per le tossicodipendenze o presso un gruppo di auto e/o mutuo aiuto che abbia un servizio medico convenzionato (le comunità di recupero sono già lì pronte per assicurarsi una buona fetta di questi nuovi “pazienti”). Insomma, come per il tabacco e per l’alcol, una parte dei guadagni viene reinvestita per dare una mano a chi soffre davvero. Che saranno sempre pochissimi rispetyto a quanti, più sommessamente e sommersamente, continueranno a pigiare sui tasti di una macchinetta mangiasoldi con la pallida speranza di poter diventare un giorno milionari, o magari subito. Possibilmente senza lavorare, perché, si sa, fare soldi è facile, e lavorano solo i fessi, uno pensa di togliersi dal nòvero degli imbecilli che si svegliano tutte le sante mattine e vanno a farsi un mazzo tanto, per andare a finire in quello di chi perde al gioco. E perde tanto.
E’ una spirale senza via d’uscita che adesso vede lo Stato impegnarsi in prima linea mentre, di contro, la pubblicità al Superenalotto, sulle note di Toto Cutugno invita l’italiano medio a essere lasciato in pace, reclama il diritto di sognare. “Se vinco io che bello, mi compro anche un castello!” oppure “Se faccio sei, realizzo i sogni miei…”. Rime baciate del piffero che non servono a nulla, se non ad adescare nuovi adepti. E via che la spirale si allarga e le tragedie che si consumano nelle famiglie son solo piccole fiammelle di qualcosa di infinitamente più grande e triste. Col bollino dei “Monopòli di Stato”.