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Ecco, sì, quello di Francesca.
"Mi fa una rabbia lo infilerei!", diceva sempre la mi’ nonna Angiolina che tanto era arrabbiata fissa e quindi avrebbe "infilato" chiunque dalla mattina alla sera, domeniche comprese.
Dunque, Francesca nasce nel 1951 (credo, potrebbe essere anche il 1953, ma penso proprio che con il 1951 si riesca a fare cifra tonda e poi vi spiego perché) e c’è il papà che comunica ai parenti il lieto evento, non si sa se da un "Posto Telefonico Pubblico" come si chiamava allora e come si è continuato a chiamare almeno finché hanno avuto senso i posti telefonici pubblici. Pensate che bellezza, non avevi bisogno di avere il telefono in casa, se volevi chiamare qualcuno o farti chiamare da qualcun altro andavi al "posto telefonico pubblico" (solitamente il Bar dello Sport), facevi le tue conversazioni, tornavi a casa e nessuno più ti rompeva le balle.
Dalla nascita di Francesca è tutta una serie di eventi in video, dalla sua crescita fino alla nascita della nipotina (che si chiama Francesca anche lei, perché la storia si ripete) accompagnata dalla evoluzione del telefono. Dall’apparecchio nero e pesantissimo al muro alla videoconferenza.
Bello!
Solo che a Francesca non ne va mai storta una. Ma, dico io, un momento di sfiga, un attimo di sconforto, un po’ di sana e umanissima depressione li avrà avuti anche lei, insomma, nella vita non va sempre tutto bene, fa parte degli umani, ma non dico una disgrazia, magari un paio di esami fuori corso e il divieto di uscire il sabato sera per due settimane.
E, invece, lei, Francesca, no. Lei è riuscita ad avere una vita perfetta sfuggendo a tutto. Sempre e regolarmente.
Negli anni ’70 è una contestataria. Oh, mai che si sia vista fracassare la regione occipitale da un poliziotto manganellatore! Questa non è mai stata trattata da puttana perché gridava "Tremate, tremate, le streghe son tornate!", non si è mai sentita arrivare un sasso sulla testa, di quelli delle gragnuole che forze dell’ordine e studenti si scambiavano senza nemmeno troppe cortesie.
Eppure anche lei avrà gridato "l’utero è mio e lo gestisco io!" perché fugge subito dalle contestazioni giovanili per farsi ingravidare dal fidanzo e la si vede mentre dipinge la casa agli inizi degli anni ottanta, e vaffanculo anche alle ideologie, perché va bene fare i pirla da giovani, ma poi c’è da mettere la testa a posto e fare figli. Costei sgrava -probabilmente in piena guerra fredda-, quando c’erano Breznev e Andropov da una parte, Reagan dagli altra a farsi i dispettucci alle rispettive olimpiadi, Sting cantava che lui sperava che anche i russi amassero i loro bambini (perché ce le dimentichiamo le cose, specie quelle più imbarazzanti e dozzinali) e lei, Francesca, partorisce un rampollo.
Nel frattempo lavora, sembra in un’azienda sanitaria e si realizza come donna e come madre.
La penultima sequenza la mostra mentre porta un bel thè caldo al figlio che studia, studia, lo sa il Padreterno quanto studia, è affaticato, poverino, ma studia, studia sempre, mica come i figli degli altri che si drogano a nastro, no, il figlio studioso e senza pantaloni a vita bassa in pieno anno 2000 a chi va a capitare? Ma a Francesca, naturalmente, e ci mancherebbe anche altro.
11 anni dopo, praticamente ai giorni nostri, Francesca ha 60 anni, precisi, ed è nonna della sua omonima. Mio nonno Raffaele, che Dio lo conservi in gloria, è morto a 58 anni quando Francesca ne aveva 20. Ma lei è ancora sufficientemente figa da far girare un intero reparto di geriatria, il marito è un po’ giù di corda, deve avere la prostata.
Francesca è la quintessenza della paracula che ce l’ha fatta.
E quello spot dovrebbe inquietarci davvero.