Diritto di metafora/delitto di metafora

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Lo so che è un (bel) po’ di tempo che difendo Marco Travaglio e il Fatto Quotidiano (che non hanno bisogno di essere difesi, doprattutto da me), ma questa volta mi esce proprio dal cuore.

Marco Travaglio ha scritto un paio di giorni addietro:

“La legislatura che sta per essere sciolta (si spera nell’acido) è stata una delle peggiori della storia repubblicana.”

Ora, appare evidente a tutti che quella dell’acido è una metafora. Per dire una cosa più o meno simile a “in un modo di cui si perda la memoria della presenza fisica”. Per carità, qualcuno può considerarla tranquillamente una metafora di pessimo gusto, non si può negare a nessuno il diritto di avere pessimo gusto o di rimanere schiufati davanti alle esternazioni altrui. Ma sempre metafora rimane. “La metafora è un paragone accorciato”, diceva la mia professoressa di lettere della prima liceo. Ed aveva ragione. Quindi, “sciogliere una legislatura nell’acido” (operazione impossibile nella sua praticità) significa “disfarsene al più presto e in modo da non lasciare tracce”.

Ma mal ne incolse al povero Travaglio che, immagino inaspettatamente, si è immediatamente visto rispondere con un tweet dell’avvocato Lucia Annibali che lo redarguiva ricordando anche la sua atroce sofferenza di vittima dell’acido che senza dubbio ha dovuto patire:

“Chi, come me, ha conosciuto gli effetti dell’acido, per sua sfortuna, si augura invece che questo non debba mai accadere a nessuno, nemmeno per scherzo.”

In breve, la parola “acido” è al centro dello scandalo. Ma di metafore è fatta la lingua, quindi il mondo. Non posso offendermi, io che clàudico, se qualcuno mi viene a dire che ‘Chi pratica lo zoppo impara a zoppicare’, o se un livornese mi rammenta la buonanima della Zoppa di Montenero non posso certamente offendermi. Non voglio star qui a disquisire se Lucia Annibali, nel commentare lo scritto di Travaglio, abbia o meno dimostrato di possedere sense of humor, ma certamente ha fatto un grossissimo errore: ha scambiato quello che è un luogo comune (“comune”, quindi “condiviso da una pluralità di persone”) per un attacco personale. Se io dico che la corruzione è il cancro di questa società, non offendo certo i malati di cancro. In conclusione, l’intervento di Lucia Annibali appare sproporzionato rispetto alla presunta offesa, proprio perché l’offesa non c’è mai stata. E, aggiungo, il delitto di metafora non è ancora previsto dal nostro Codice Penale.

E’ curioso, inoltre, che le critiche più feroci all’uscita di Travaglio vengano proprio dal PD. Non è ignoto ai più, infatti, che la stessa Lucia Annibali (che ha ricevuto la solidarietà di Renzi) è candidata alle candidature (gioco di parole) dem per le prossime elezioni del 4 marzo. E allora il cerchio si chiude. E a chiuderlo è la Serracchiani, con un tweet non molto ben riuscito in cui, tra le altre cose, afferma:

“L’acido è l’arma della mafia contro i collaboratori di giustizia, di uomini senza umanità contro donne innocenti.”

Orbene, la Serracchiani finge di non sapere, o non sa direttamente, che Martina Levato, la parte femminile della coppia dell’acido, è stata condannata a 20 anni per tre aggressioni (sempre con l’acido) e nientemeno che un tentativo di evirazione. Quindi l’accomunare le donne che sono sempre e solo vittime agli uomini che sono sempre e solo carnefici è un dio ch’è morto. Esistono donne capaci di crudeltà inenarrabili, soprattutto di usare l’acido per quello che è, non come una innocente metafora.

Piccole e inconsistenti armi di distrazione di massa.

La fulminante carriera-purga di Debora Serracchiani

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Debora Serracchiani è l’espressione più compiuta dell’immaginario erotico del Partito Democratico.

E’ alle prime armi ma anche consapevole della propria storia politica, è venuta dal basso ma rappresenta anche il gradimento della nomenklatura del partito, è stata intervistata da "El País" ma anche da Daria Bignardi, ha ottenuto più preferenze di Berlusconi ma anche di Bossi, è combattiva ma anche educata e remissiva all’occorrenza.

Soprattutto, quindi, è piaciuta alla gente. Ma anche al maaanchismo veltroniano.

Siccome è quasi giovane (ridendo e scherzando i suoi 40 anni li ha anche lei) e gode di un certo appoggio popolare, l’hanno mandata a schiantarsi a Ballarò contro la Brambilla, che pretendeva di avere il monopolio completo della trasmissione, uno scontro fra primedonne in piena regola, in cui vigeva più la politesse dell’educazionismo che l’originalità delle proposte politiche.

In breve, la Serracchiani va bene per l’immagine del Partito Democratico, perché non è giusto che il PDL sia sempre contorniato da veline e strafighe, dovevano far vedere anche loro di avere della carne fresca da mettere al fuoco della graticola del sacrificio, allora hanno scelto questa signora con la faccia da bruco, che sembra essere appena uscita dall’oratorio di Don Bosco.

Siccome però, a differenza degli specchietti per le allodole del PDL, la Serracchiani è anche brava e ha, ci piaccia o no quello che dice, un cervello suo che pensa in modo autonomo, e dice pane al pane e vino al vino, il Partito Democratico la sta già bloccando. Pare che diventerà vice segretario, ma dovrà vedersela con D’Alema, che con la sua proverbiale simpatia ne valorizzerà lo spiccato e innato senso della battaglia politica.

E’ appena venuta al mondo politico e, da personcina con le idee chiare quale è, la Serracchiani è già stata sacrificata in nome della poltrona. L’hanno voluta a Strasburgo perché da lì può fare meno danni.

La faranno vice segretario perché r.promoveatur ut amoveatur..