Io non so voi, ma io di tutte queste celebrazioni, trasmissioni televisive, tweet, post di Facebook, notizie, primizie, novizie e triccheballàcche sull’anniversario dello sbarco sulla luna ne ho piene le palle. Ma proprio piene.
Siamo andati sulla luna, sissignori, ci siamo andati, nessuno lo mette in dubbio e nessuno vuole negarlo. E’ un anniversario importante? Anche questo nessuno lo mette in dubbio, ma non possiamo stare qui a ricordare TUTTO. Ma proprio tutto. Perfino quale fu l’ultimo pasto di Neil Armstrong prima di essere schizzato nello spazio in una missione dall’esito incerto (come se Collins e Aldrin non avessero mangiato). Oppure qualcuno considera di una importanza esiziale sapere se Luca Parmitano prima di partire per la sua missione (perché la chiamano “missione”, si vede che ha un qualche senso di sacralità per qualcuno) abbia ascoltato i Pink Floyd o David Bowie o tutti e due. Non possiamo continuare a sentire lo stesso Armstrong che ripete all’infinito “Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”, sarà anche una frase storica, ma ripetuta innumerevoli volte perde la sua efficacia retorica.
E poi questo vezzo singolare e non del tutto condivisibile di premettere il prefisso “astro” davanti ai nomi di battesimo dei nostri astronauti più prestigiosi. “AstroSamantha”, “AstroLuca”, ed era Astro- anche qualcun altro di cui non ricordo il nome di battesimo (tanto per dire quanto mi interessi il mondo dello spazio e delle missioni nel cosmo, ho solo beccato una denuncia per diffamazione per aver difeso Samantha Cristoforetti che asseriva di non aver mai rilasciato un’intervista!), e sicuramente ci sarà qualcuno che storcerà la bocca, o magari mi beccherò un’altra querela per aver scritto “Astro-” (trattino).
Non ci posso fare niente. Sono troppo abituato a dare del Lei alle persone. La trovo una forma di rispetto. E normalmente chiamo le persone con il loro nome. Cosa mi viene a significare “AstroTizio”, “AstroCaio” o “AstroSempronio”? E’ come dire “SuperMario” (eroe di un giochino elettronico che andava molto di moda negli anni ’80), o “WonderWoman”. E c’è gente che dice (e, peggio, scrive) “Ciao AstroTìttero, senti, ti volevo dire che…” Cioè, è gente che dà del TU a degli astronauti, a dei professionisti dello spazio, a delle cime della loro professione. E dànno loro del TU. Io mi vergognerei.
C’è solo da augurarsi che questa moda finisca presto, e che ognuno torni sulle proprie posizioni, perché anche questa sempiterna guerra tra complottisti negazionisti e sedicenti scienziati convinti non mieta ulteriori vittime sul terreno bypartisan della diffamazione. La Luna ci piace guardarla dalla Terra, andarci (o non esserci mai andati), sinceramente è un fattore secondario e del tutto irrilevante. Basta così. Per favore.
Questo articolo ha una importanza fondamentale per me. Mi è costato una querela e tre anni di serena attesa dell’evoluzione della vicenda giudiziaria di cui vi parlo qui. Ritengo, quindi, che rappresenti il simbolo vivente e grondante della mia battaglia in favore della mia libertà di espressione. Lo correggo solo in alcuni punti marginali, lasciandone inalterati senso, forma, contenuto e documentazioni. Se i fatti di cui parlo risalgono al 2018, il valore aggiunto di questo articolo è ancora più vivo che mai. Tenetene di conto nella sua rilettura. Certo è che fui un buon profeta.
(Note del 20/07/2021)
da en.wikipedia.org. Immagine di pubblico dominio
La notizia è un po’ vecchiotta. Le riflessioni invece no. Abbiate pazienza.
Un periodico on line ha pubblicato recentemente una intervista a Samantha Cristoforetti. La quale ha a sua volta pubblicato una lunga, dettagliata e fin troppo garbata rettifica, sostenendo di non aver mai rilasciato quell’intervista e di non riconoscersi nello stile e nei contenuti di alcune delle risposte alle domande a cui, evidentemente, non aveva mai risposto. Nella richiesta di rettifica la Cristoforetti aveva chiesto che l’intervista “restasse online con un paragrafo introduttivo di spiegazione e di scuse a lettori e lettrici.” L’articolo con l’intervista in questione è stato tuttavia rimosso e ora la direttrice del periodico minaccia querela verso “chiunque dica che il mio giornale ha inventato un’intervista”.
Come dicevo, la risposta della Cristoforetti è molto lunga ed articolata. Nella sua disamina delle domande e risposte dell’intervista pubblicata, non fa il nome della testata, non accenna minimamente alla figura e/o all’identità di un qualsivoglia direttore responsabile e chiama con un nome convenzionale e di fantasia (Lucia Rossi) la giornalista che ha redatto il pezzo. Ometterò anch’io questi dati, perché è la volontà della Cristoforetti che in questa vicenda è la parte lesa (chiamarla “vittima” mi sembrerebbe troppo, se non altro perché non mi pare ci sia nessun “carnefice”), ma se andate a consultare questo articolo di Paolo Attivissimo ci trovate nomi, cognomi fatti e circostanze (si vede che lui può permettersele le querele per diffamazione).
Ometto i dati, dicevo, per una questione di rispetto verso una scelta personale su fatti che non mi riguardano, ma non mi pare, al contrario del coro unanime di consensi, che la Cristoforetti abbia fatto bene. Quando si parla o si scrive è sempre molto bene fare nomi, cognomi, fatti e circostanze. Oltretutto in un post pubblico che viene letto da molte persone (il numero di fans della Cristoforetti è decisamente molto nutrito). Non si tratta di mettere alla gogna nessuno, si tratta di spiegare i fatti per come sono accaduti, di dire DOVE è stato pubblicato un articolo, chi è il responsabile della pubblicazione e chi materialmente lo ha redatto. Sono delle coordinate informative. Anche per permettere ai lettori di quella pubblicazione di decidere, eventualmente, di non leggerla più. O di leggerla ancora, di mandare una e-mail di rimostranza al direttore (è diritto preciso del lettore scrivere al proprio giornale, soprattutto quando non è d’accordo o non approva), se non so chi ha pubblicato che cosa soffrirei di un disorientamento informatico.
Indubbiamente il post pubblico della Cristoforetti è un esempio di chiarezza di intenti e una lezione di vita su come ci si difende da un giornalismo in cui non ci si riconosce. O, si veda il caso, in cui ci si riconosce fin troppo bene, al punto di voler dire “Basta!” e rivendicare il proprio diritto a non volerci stare. E’ per questo che l’intervento di rettifica ha riscosso un plauso pressoché unanime. Fin troppo unanime.
Perché su un punto (un altro!) la Cristoforetti ha indubbiamente sbagliato: aver chiesto il mantenimento del testo con l’aggiunta di un paragrafo introduttivo di chiarimento della vicenda e di scuse ai lettori e alle lettrici. La rete, scrive Paolo Attivissimo “non è garbata, non dimentica e non perdona“. Lasciare lì un’intervista frutto di un’operazione un po’ maldestra sarebbe stato come costringere la giornalista e la direttrice a un inutile atto di costrizione e perpetuare la memoria di quello che è accaduto, senza più la possibilità di porvi rimedio. Invece la direttrice del periodico ha fatto bene a rimuovere subito il testo oggetto del contendere. Anche se Internet non è garbata e non perdona è pur sempre popolata di una serie infinita di stronzi. Intanto qualcuno ha “salvato” su archive.is la pagina dell’intervista dalla cache di Google e adesso ce la terremo se non per sempre, almeno a tempo indeterminato. Il vantaggio è che potremo sempre leggerla e farci un’opinione personale (io l’ho fatto ma ho trovato il tutto talmente noioso che ho chiuso la consultazione dopo appena poche righe), lo svantaggio è che di quella intervista nessuno potrà più dimenticarsi. Resterà lì, inchiodata, nella memoria di qualche server posizionato chissà dove a testimonianza perenne e imperitura della piramidale nequizia. Lasciarla anche nelle memorie dei computer del periodico che l’ha pubblicata avrebbe amplificato questa incancellabilità e forse non tutti sanno quanto bisogno ci sia del diritto all’oblio, soprattutto in rete. Primum non nocere. E magari la redazione del giornale non era interessata a continuare a mantenere in linea un’intervista non in linea con le intenzioni della presunta intervistata e lo ha cancellato. Voglio dire, è una scelta legittima e comprensibile, non è che bisogna fare per forza tutto quello che dice la Cristoforetti, per quanto autorevole sia.
E allora non mi resta che riepilogare che:
a) qui è reperibile il testo dell’intervista nell’unica copia sopravvissuta da archive.is http://archive.is/FPtB8
Non c’è pace per la vita privata di Samantha Cristoforetti.
La prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea ha recentemente dato alla luce una bambina. Che, voglio dire, saranno anche giustamente affari suoi, solo che la notizia si è diffusa di quotidiano in quotidiano prima di diventare praticamente di pubblico dominio. Recentemente è stata riportata all’interesse degli internauti da Paolo Attivissimo grazie a un errore che, una volta diffusosi, è diventato virale: quello del nome (sbagliato) della bambina.
Attivissimo segnala che: “Samantha Cristoforetti è sempre stata disponibilissima a parlare della propria attività pubblica e del proprio lavoro nello spazio, ma è sempre stata chiara nel difendere la propria vita privata da gossippari e paparazzi, più interessati al suo taglio di capelli o alla tinta del suo tailleur che ai suoi esperimenti scientifici.” Magari qualcuno penserà che si tratti di una precauzione eccessiva, e invece separare la dimensione pubblica da quella privata è un gesto degno della massima lode e che ci fa restare, se possibile, ancora più simpatica di quel che è il capitano Cristoforetti.
Poi mi sono detto: andiamo a vedere che cosa dice Wikipedia.
E mi sono ritrovato con un paragrafo di tre-righe-tre intitolato proprio “Vita Privata” (gentile, voglio dire, una carineria in puro stile Monsignor della Casa) che cosa dirà? Andiamo a leggere: “Della vita privata di Samantha, si sa ben poco.”
Poi però ci dicono come si chiama il suo compagno, che lavoro svolge, dove lo svolge e, dulcis in fundo, che sono diventati genitori. All’anima del saper ben poco! E alla faccia del rispetto della privacy! Tra l’altro con l’aggravante poco sottolineata di volerla chiamare “Samantha“. Ma quale enciclopedia chiamerebbe la Cristoforetti per nome?? Chi è quello scellerato che pensa di potersi accaparrare il diritto di darle del tu esattamente come se si trattasse di un’amica con cui è andato a bere il caffè al bar dell’angolo cinque minuti fa??
Va detto, per dovere di completezza, che le edizioni inglese e spagnola di Wikipedia NON riportano questi dati e che quella tedesca riporta, sì, un paragrafo sulla vita privata, ma si limita a riferire quali lingue parla la Cristoforetti e quale sia la sua sigla di radioamatore. Tutto lì. Nessun prurito morboso per le sue vicende affettive.
Come sempre vi inserisco il .PDF della voce di Wikipedia così com’è stata generata nel giorno in cui ho scritto queste righe. Abbiatene pietà, se potete.