Come era prevedibile, la versione della voce “Carlo Ruta”, presente su Wikipedia, e segnalata nel post precedente, è stata modificata, riportando la notizia dell’assoluzione in Cassazione e supplendo a una imbarazzante e spiacevole latitanza di aggiornamento durata diverse ore.
Ma, come dicono i veneti, xé pegio el tacón del buso [il rammendo è peggio del buco]: se da un lato Wikipedia aggiunge la frase “ma il 10 maggio 2012 viene assolto in Cassazione”, dall’altro la notizia viene ancora ospitata sotto il paragrafo “La condanna per stampa clandestina”.
Ma non esiste nessuna condanna per stampa clandestina a carico di Carlo Ruta. Le due condanne inflitte in primo e in secondo grado, non essendo definitive non solo non hanno avuto nessun effetto, ma sono state spazzate via dalla sentenza definitiva di assoluzione della Corte di Cassazione. Non esistono. Sono state pronunciate, sì, ma hanno lo stesso valore che hanno tutte le condanne di primo e secondo grado non definitive: zero.
Wikipedia non titola, come sarebbe corretto, “L’assoluzione dall’accusa di stampa clandestina” (perché di questo si tratta), ma “inchioda”, con un titolo, una persona a una circostanza che non ha alcuna rilevanza di tipo penale perché, semplicemente, NON ESISTE. Non c’è. Carlo Ruta non è stato dichiarato colpevole di stampa clandestina in via definitiva (anzi, in via definitiva è stato assolto!) e, quindi, non è stato condannato.
Sulla martoriata voce dedicata a Carlo Ruta, come su tutte le altre, si legge: “Libera la cultura. Dona il tuo 5 × 1000 a Wikimedia Italia”.
Io ho scelto di donare il mio 5 x 1000 a una associazione per la protezione degli animali.
Quest’uomo è stato costretto a subire una delle vicende più dolorose della giustizia italiana connessa al mondo dell’informazione via web.
E’ Carlo Ruta. L’8 maggio 2008 venne condannato in primo grado dal Giudice Penale monocratico del Tribunale di Modica, dr.ssa Patricia di Marco, in quanto imputato “del reato p. e p. dagli artt.5 e 16 della L. 08.02.1948 n. 47, per avere intrapreso la pubblicazione del giornale di informazione civile denominato “Accade in Sicilia” e diffuso sul sito internet www.accadcinsicilia.net senza che fosse stata eseguita la registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica, competente per territorio per avere il Ruta comunicato al provider Tiscali il proprio indirizzo di posta elettronica in Pozzallo via Ungaretti n.46, con registrazione avvenuta in data 16 dicembre 2003. In Pozzallo il 16.12.2003 e fino al 07.12.2004.”
La pena è consistita in 150 euro di multa (e non di ammenda, come erroneamente riportato da alcuni organi di informazione).
Nel maggio 2011 la condanna è stata confermata dalla Corte d’Appello di Catania.
Ieri, alle 19,30, la terza sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal Dott. Saverio Felice Mannino ha assolto Carlo Ruta perché il fatto non sussiste, senza alcun rinvio ad altro grado di giudizio.
Dal 2004, dunque, un giornalista è stato ingiustamente privato di un indispensabile strumento di comunicazione, come il blog www.accaddeinsicilia.net, che costituiva una fonte di informazione, neanche periodicamente aggiornata, e della possibilità di esprimere il proprio pensiero in quanto la risorsa informatica di cui era titolare è stata sequestrata e resa inaccessibile per tutti questi anni. E’ stato dichiarato colpevole in due giudizi di merito, ed è stato, finalmente, assolto con la formula più ampia.
La sua iniziativa editoriale, dunque NON era “stampa clandestina”, così come previsto dall’articolato di legge (“Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall’art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire 500.000. La stessa pena si applica a chiunque pubblica uno stampato non periodico, dal quale non risulti il nome dell’editore né quello dello stampatore o nel quale questi siano indicati in modo non conforme al vero” -legge n. 47 del 1948-).
Le indagini, con il conseguente sequestro del blog, erano partite con particolare riferimento alla pubblicazione di documenti inerenti l’uccisione del giovane giornalista Giovanni Spampinato, nel 1972
Le domande, a questo punto, sono molteplici:
a) Com’è possibile che due giudizi di merito abbiano ricalcato la stessa sentenza, mentre solo la Cassazione ha riconosciuto la formula piena (ovvero l’insussistenza dei fatti) dopo quasi sette anni e mezzo (ovvero sul filo della prescrizione -che, certamente, Carlo Ruta non avrebbe accettato-) dai fatti contestati?
b) Com’è possibile che a fronte di una sentenza “cassata”, ovvero immediatamente esecutiva a tutti gli effetti il dominio www.accadeinsicilia.net sia ancora invisibile? Per la cronaca il dominio, dal 18.08.2005, ovvero circa sei mesi dopo l’ultimo fatto contestato, è registrato dallo Studio Scivoletto di Ragusa. Ecco la schermata della ricerca su un normalissimo “whois”:
c) Chi risarcirà mai Carlo Ruta della sofferenza patita per due sentenze di merito che sono state annullate e che si sono disciolte come neve al sole davanti alla Cassazione?
d) Il web può ancora avere fiducia nella Giustizia Italiana?
Oltre al danno, la beffa. All’indomani della sentenza della Cassazione, Wikipedia non ha ancora aggiornato la pagina dedicata a Carlo Ruta. Per cui, per l’enciclopedia on line più consultata e sopravvalutata del mondo, Carlo Ruta, al momento in cui sto scrivendo, e come da screenshot, è ancora condannato in base alla sentenza di secondo grado (oltre allo screenshot è disponibile anche il file .PDF della voce, catturato pochi minuti prima di mettere mano a questo articolo).
Ritengo che il coraggio di Carlo Ruta, e la sua determinazione nel difendersi fino all’ultimo grado di giudizio, meritino un po’ più di rispetto, anche e soprattutto dai sedicenti paladini della cultura libera.