Ma sì, concediamocelo. Proprio qui, a Roseto degli Abruzzi, piccolo mondo di un mondo piccolo, come vidicevo in un post di qualche giorno fa, si va in giro senza mascherina, si creano assembramenti coatti, tutti sono felici di non prendere le benché minime misure precauzionali, tanto il virus è una balla, o tutt’al più un ricordo di un periodo lontano in cui il governo ci ha obbligati a stare in casa, ora non c’è più pericolo, e tutti siamo liberi di andarcene in giro a fare gli scemi e a sfidare la sorte. Ma bravi!
Peccato per noi che sia proprio di poche ore fa la notizia che un turista veneto, dopo la calata dei lumbard che a febbraio fece chiudere tutto, scuole ed esercizi commerciali, sia stato trovato oggi positivo al coronavirus. Pare che il genio in questione sia venuto via dal Veneto dopo essersi sottoposto al tampone orofaringeo, ma SENZA attendere i risultati. Risultato, lui è in ospedale e la sua compagna è in quarantena obbligatoria.
Mentre la gente andava al mare, i bambini giocavano in pineta, i motociclisti sfrecciavano, le biciclette continuavano a circolare sul marciapiede come se niente fosse, mentre la gente continuava a toccare frutta e verdura al supermercato con le mani senza guanti e senza essersi adeguatamente igienizzati, la bestiaccia è tornata a farsi vedere e sentire. Mentre noi pensavamo di avere sconfitto una sonora bufala sanitaria, il virus era lì bel bello, che se la rideva di noi e di tutti i nostri atteggiamenti da imbecilli. Non c’è che dire, a Roseto degli Abruzzi siamo tutti dei gran “fregni”. Fregnoni, ecco cosa siamo!
E mentre noi giochiamo a racchettoni, illudendoci che il terribile morbo non ci contagerà mai, ecco che il morbo arriva e come, sotto forma di turista alloggiato in un umile alberghetto, che magari voleva solo farsi una vacanza, godersi un po’ di mare, non dico mica di no, e va be’, ma a tutto c’è un limite, sacramento!
Continuiamo così, facciamoci del male. Tanto domani sulla spiaggia di questo paese in mezzo a una strada, non si parlerà d’altro. Magari a molto meno di un metro di distanza e senza mascherina, perché fa caldo e dà fastidio. Ma fastidio de che? Ditelo che non ve ne importa niente, che non ve ne frega un cazzo di proteggere voi stessi e gli altri, i vostri e i nostri bambini dall’ondata turistica di queste orde di barbari che càlano nell’odiatissimo sud, nell’ex Regno borbonico, a portarci ristoro all’economia alberghiera e turistica, e anche un po’ di Covid 19 già che ci siamo.
“Ha sentito, signora? Ma io non so più in che paese viviamo. Si figuri che ci toccherà non uscire più di casa un’altra volta, e ora come me la spalmo la crema solare addosso? Come faccio ad andare a mangiare in quel ristorantino di pesce dove fanno delle cosucce da leccarsi i baffi? Andare a fare la spesa che neanche un palombaro nello scafandro! Che roba, contessa!!”
A Roseto degli Abruzzi, questo piccolo mondo di un mondo piccolo, nessuno porta più le mascherine. O le portano in pochissimi. Anche qualche negoziante ormai ci ha rinunciato. Ma sì, tanto il virus è un’illusione e comunque d’estate fa caldo e muore, e comunque vuoi che lo prenda proprio io? E’ così. Siamo una riproduzione in piccolo di tutto quel che avviene in Italia, né più né meno. I linguisti direbbero che siamo un paradigma.
Qui a Roseto le biciclette non viaggiano sulla trafficatissiva via Nazionale, no, vanno direttamente sui maciapiedi. Come se fossero una pista ciclabile. Non dovrebbero farlo, ma lo fanno. Ci sono quelli (ma soprattutto quelle) che pedalano con il cellulare in mano, immersi in qualche amena conversazione. Non ti vedono, e quando si accorgono che stanno per venirti addosso, svicolano a destra o a sinistra all’ultimo momento e ti guardano come se fosse colpa tua. Poi ci sono quelli che quando sei in mezzo al marciapiede ti suonano il campanello come per dire “lasciami passare” e no, cazzo, io sono un pedone, il marciapiede è mio, sono anche un invalido, cosa mi suoni a fare? Mi devo spostare perché tu hai da passare con la tua graziosa biciclettina? E chi se ne frega. Poi se gli dici “Questo è il marciapiede, la strada è quella!” magari si incazzano pure e ti trattano con sufficienza, sussiegoe supponenza non rispondendoti nemmeno e proseguendo sulla loro cattiva strada, come l’avrebbe definita il Poeta.
Poi ci sono quelli che sul marciapiede ci portano addirittura tutta la famiglia. Papà, mamma e due figli (solitamente, ma a volte anche di più) col casco in testa e via, come se fosse una pista ciclabile. “Stai attento, passa di qui, passa di qua, occhio alla buca, attenti all’albero, buca, buca con acqua…” e via di questo passo.
E’ vero. La Nazionale è maledetta ed estremamente pericolosa. Ci passano i camion, tutto il traffico pesante si riversa nel centro città, il tutto per una disgraziata delibera comunale che rifiutava la costruzione di una variante su cui far convogliare i “camios”, come diceva quell’altro Poeta, molti e molti anni fa. Le piste ciclabili si contano sulla punta delle dita di una mano monca, e sono solo per brevi tratti sul lungomare e in altri luoghi turisticamente attrezzati. Chi passa per la Nazionale si gode il profumo dei gas di scarico. E viandare.
Ora, io capisco tutto e tutti, ma dovete venire a rompere i coglioni proprio a me che me ne sto dove posso e devo stare? I vigili, certo, fanno quello che possono, ma sono impegnati con cose ben più gravi ed importanti, tipo fare la multa a chi non ha messo l’orario di arrivo, o a quelli a cui l’orario è scaduto da più di un quarto d’ora.
E così si cammina tra mille pericoli. Sempre con la speranza di non farsi male e di riportare integra a casa la pellaccia.
Appaiono così, come funghetti gàrruli che spuntanto nel tiepido solicello novembrino (solicello?) sui muri di una scuola.
Dalla sera alla mattina sono lì, segno evidente che qualcuno ce li incolla di straforo perché non hanno neanche il timbro del pagamento della tassa sulle pubbliche affissioni. Sono manifesti. Manifesti firmati dai gruppi più svariati che inneggiano alla patria, all’eroismo, all’ardore, al sacrificio, alla giovinezza, alla valorizzazione di eventi storici determinati (e BEN determinati), alla forza, ai tuoni, ai fulmini, alle saette, allo Sturm und Drang (intesto in senso letterale e non come movimento letterario, sia ben inteso!), alla forza, all’Italia, quella con la I maiuscola, una realtà da difendere sempre, non si sa bene poi da quale pericolo esterno.
Qualcuno, evidentemente mosso a pietà, li rimuove, il Comune dice che ci può fare poco o nulla perché “tanto li riattaccano”. Sui muri di una scuola, dove passano i ragazzi. Molti di loro sono minorenni che non capiscono, non vedono, o se vedono non afferrano, guardano impietriti ed increduli e poi tirano a dritto, infognandosi sempre più nei loro cellulari. Ma intanto il messaggio del disvalore è stato dato. In spregio all’istituzione scolastica che dovrebbe insegnare il pluralimo delle civiltà, la tolleranza, il vero significato di festività e ricorrenze come il 4 novembre (una volta festa nazionale, oggi giornata lavorativa, fine di una guerra che ha provocato milioni di morti, feriti, menomati), e perché no, a gioire di una bella giornata di sole anziché celarsi al buio di ideologie e stilemi triti e ritriti, spiegare lo Sturm und Drang quello VERO, e che nell’italietta con la minuscola di cui tutti siamo servi inutili c’è posto per tutti e che non è vero che prima gli italiani, no, casomai prima chi ha bisogno, e che diamine.
A Roseto degli Abruzzi una volta c’era il Sor Marchese. Era un localino carino, in piena nazionale, con qualche tavolinetto fuori, per cui se volevi fare due chiacchiere, beccarti un po’ di smog, mangiare qualcosa a base di carne di scottona, berti una birra artigianale, tirare due bestemmie per le carrozzine e le madri che invadevano il marciapiede, potevi farlo tranquillamente. Ed era un posto piacevole, dedicato al Marchese del Grillo anche nel nome delle vivande che venivano servite, così mangiavi qualcosa e ti ripassavi anche i personaggi del film.
Ecco, adesso il Sor Marchese non c’è più. Al suo posto per qualche tempo, sotto le elezioni, c’è stata una sede del Movimento 5 Stelle. Ora se ne vede ancora il cartello-insegna. Ma a me piaceva la scottona. E anche il Sor Marchese.
A Roseto degli Abruzzi, in questo piccolo mondo di un mondo piccolo, per dirla sempre con Giovannino Guareschi, buonanima. il Comune deve avere fior di quattrini da spendere, se è vero, come è vero, che oggi i lampioni erano ancora allegramente accesi mentre c’era un sole della madonna che abbagliava lo sguardo degli ignari passanti (ignari soprattutto del fatto che i propri danari, versati sotto forma di tasse, vengono spesi inutilmente nelle forniture di energia elettrica per illuminare un paese che è già illuminato naturalmente, e allora, voglio dire, sarebbe inutile anche l’ora legale, ma ora è il caso che questa parentesi la chiuda perché sta per diventare troppo lunga).
Ringrazio di cuore l’automobilista che mi ha fermato per chiedermi delucidazioni (che, ovviamente, non ho saputo dargli) e che mi ha spinto a fare una fotografia, che io pensavo fosse venuta un troiaio, e invece guarda te bellina.
Ester Pasqualoni, oncologa, persona di straordinario spessore umano, civile e culturale, è stata uccisa.
Voi non la conoscevate, ma io sì. La vidi per la prima volta il giorno dei ricevimenti generali dei genitori per la classe di suo figlio, che avevo alle Scuole Medie. Diventammo subito amici, tanto che lei mi chiese di farle delle traduzioni dallo spagnolo perché da Cuba le erano arrivati dei documenti da parte di alcuni ciarlatani che andavano ciaqnciando che il veleno degli scorpioni cubani era efficace nella cura dei tumori e avevamo deciso di sgominarli sputtanandoli su questo stesso blog. Poi non se ne fece di niente per motivi che non mi piace stare qui a ricordare.
Mi ha curato quando ne ho avuto bisogno (anche se non era per patologie oncologiche, fortunatamente) e, sempre quando ho avuto necessità, mi ha messo nelle mani dei suoi colleghi migliori e più stimati.
Ci sentivamo ogni tanto. L’estate scorsa ci siamo visti diverse volte con la bambina (mia figlia, sì). Insomma, le volevo bene, e devo dire che voler bene a Ester era facile. Anche e soprattutto quando morì Fabrizio, il suo compagno.
Oggi è stata presa a coltellate da uno stalker che aveva preso a perseguitarla e che lei aveva denunciato due volte. Stava andando a prendere la sua auto al parcheggio dell’ospedale in cui lavorava (Sant’Omero). Pare che non abbia neanche sentito dolore e che sia morta sul colpo. Stupide e magre consolazioni.
Non è vero che gli stalker vanno denunciati e basta, perché denunciarli non serve a nulla, se non a incattivirli e a renderli ancora più tenaci nella loro azione persecutoria. Vanno denunciati e identificati subito e messi nelle condizioni di non nuocere. A cosa è giovato a Ester avere presentato due segnalazioni alla magistratura se poi queste segnalazioni -secondo quanto riferisce Caterina Longo, un’amica, già candidata alle elezioni europee del 2014 nelle file di Forza Italia, lista “Berlusconi per Chiodi”, all’agenzia ANSA e in una successiva intervista a Radio Capital- sono state archiviate per difetto di forma (anche se “la 27a ora” sul Corriere on line riferisce che un provvedimento di allontanamento era stato firmato per poi essere revocato) e non si è arrivati a nessuna misura di interdizione di qualsivoglia tipo nei confronti del persecutore? Ester si è affidata allo stato, chiedendo aiuto e protezione. Oggi è morta. E c’è da chiedersi fino a dove deve spingersi un energumeno per essere “attenzionato” (bruttissima parola!) al punto da diventare un oggetto di indagine, e non essere lasciato libero di seguire la propria vittima fino nel parcheggio di un ospedale e sgozzarla.
E adesso immagino il prudor scribendi dei pennivendoli da giornalino locale, che si beatificheranno l’anima lorda di congetture pruriginose, fare uso del termine “Femmincidio”, un brutto linguaggio per una brutta storia, ma sì, ne succedono tante, merita il primo piano, e quindi perché non sprecarci una parola che va tanto di moda, che, specialmente con “stalker” è un abbinamento che va sempre bene nei pranzi luculliani di fame da notizia pruriginosa della gente?
Ma è una storia che vale solo due colonne su un giornale. Ce ne sono tante. Andiamo, su, via…
Screenshot di una porzione della notizia riportata dall’agenzia ANSA
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Note del 22/06/2017: Questo post viene aggiornato e modificato in tempo pressoché reale. Scusate. Il presunto assassino di Ester Pasqualoni, secondo quanto riferisce il giornale radio regionale di Radio Uno alle 12,10, è stato ritrovato in fin di vita nella sua abitazione (ma “La Stampa” riferisce più genericamente che si trattava di “un appartamento”) di Martinsicuro. Spero che i medici facciano di tutto per salvarlo per poterlo vedere a difendersi dall’accusa di omicidio premeditato in un pubblico dibattimento e davanti a un giudice terzo.
Il Fatto Quotidiano riferisce che “la Pasqualoni aveva presentato al commissariato di Atri non una denuncia per stalking, ma un esposto, a inizio 2014.” e che “All’esposto erano seguiti degli approfondimenti e il successivo ammonimento del questore.” Successivamente, “ad aprile 2014 quando, trovandosi a camminare per Roseto degli Abruzzi, dove risiedeva, aveva chiamato i carabinieri segnalando che l’uomo era passato con l’auto e sembrava la stesse riprendendo. A quel punto, proprio a fronte dell’esistenza del provvedimento di ammonimento, i carabinieri di Roseto avevano fermato l’uomo, sequestrandogli la telecamera che aveva in macchina, e trasmesso un fascicolo in Procura.” Dopo la convalida del sequestro, il PM a cui era passata la pratica “aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo che era stata comunicata anche alla parte offesa che avrebbe fatto, tramite il suo legale, richiesta di accesso agli atti ma nessuna richiesta di opposizione.” Il giornale aggiunge che “Dopo l’archiviazione del fascicolo da parte del gip, nessun’altra denuncia. Il provvedimento di ammonimento tuttavia era ancora in corso, non essendo mai stato revocato.”
Nota del 23/06/2017: E invece il formalmente ancora presunto assassino di Ester Pasqualoni è morto. Così non ci sarà nessun processo (il reato è estinto per morte del reo) e nessuno pagherà. Tristezza nella tristezza. Con questa nota chiudo gli aggiornamenti di questo post: sono stati ben 14 in meno di due giorni. Adesso lo do per definito e definitivo. Su una cosa mi sono sbagliato, che questa storia (e avevo ripreso i versi di una canzone di Guccini) non valeva due colonne su un giornale. E invece sono stati tanti i giornali (anche a tiratura nazionale) che se ne sono occupati. In un solo giorno soltanto questo post (che è l’ultimissima ruota del carro) ha totalizzato più di duecento visualizzazioni. Oltre alle notizie ci sono stati gli approfondimenti e perfino gli accessori inutili (come quelli del GR3 Regionale dell’Abruzzo che ha insistito su alcuni aspetti della vita affettiva di Ester, aspetti del tutto estranei alla vicenda della sua tragica e assurda morte). Solo che da oggi non se ne parlerà più. Basta. La notizia ha esaurito il suo effetto dirompente, non “rende” più ascolti, l’audience si è progressivamente andata esaurendo ed è sparita dalle home page dei giornali più consultati. Andiamo, su, via…
Screenshot da corriere.it con l’indicazione dell’avvocato Caterina Longo secondo cui l’ordine di allontanamento nei confronti dell’aggressore sia stato revocato.
Era la Banca di Credito Cooperativo dell’Adriatico Teramano, filiale di Roseto degli Abruzzi, nuova sede in via Nazionale.
Avevo un conto corrente, una splendida carta bancomat, ci avevo appoggiato una carta di credito, mi davano anche due lire di interessi, insomma, si campava.
Poi ieri sulla stampa locale è apparsa la notizia che alcuni dirigenti della banca sono stati rinviati a giudizio per “usura” (riporto testualmente il termine utilizzato dalla civetta de “il Centro”, disconoscendo, al momento, l’esatta denominazione della fattispecie penale contestata).
Beh, non è una bella cosa. Certo, un rinvio a giudizio non è una sentenza definitiva passata in giudicato (e ci mancherebbe anche altro) ma i soldi sono miei e permettete che me ne preoccupi.
Così, oggi pomeriggio mi presento davanti alla mia ormai ex banca, aspetto che apra, faccio la fila, mi siedo davanti all’impiegata (una ragazza davvero splendida e molto capace) e dico che la cosa è imbarazzante, ma io vorrei chiudere il conto.
Mi aspettavo che mi dicesse “aspetti un momento… non ho capito… forse è meglio se…” temporeggiando e cercando di esperire fino all’ultimo tentativo possibile per mantenere il cliente. Invece ha attivato la procedura da computer, mi ha chiesto un po’ di dati (ad esempio su quale altro conto corrente desiderassi che venissero versate le cifre residue), ha esitato un momento con un “forse dovrei avvertire la direttrice” (cosa che in effetti ha fatto) ma sostanzialmente la mia richiesta di chiusura conto era stata quanto meno avviata. E pensare che una banca dovrebbe essere interessata a trattenerseli i clienti, non a lasciarseli sfuggire ad ogni frusciar di avviso di garanzia!
Comunque WoW che efficienza! E in breve tempo ho anche il feedback della direttrice che dalla sua stanza mi fa sapere per interposta persona di essere molto dispiaciuta. E va beh.
Poi però la direttrice viene a parlarmi alla cassa. Mi dice che non ci sono problemi, che i miei soldi sono assolutamente garantiti (fingendo di non sapere o, peggio, non sapendo proprio per niente che il mio problema non era la garanzia del denaro, ma di come questo venisse impiegato dalla banca) e che comunque era solo un rinvio a giudizio (in un altro paese i vertici di una banca si dimetterebbero per molto meno), non c’era ancora una sentenza, neanche di primo grado, per cui tutti presunti innocenti.
L’ho guardata col candore che tradizionalmente mi contraddistingue e le ho chiesto “Lei ha dei figli in età scolare?” Mi guarda con occhi compassionevoli e mi dice “Ma certo, a uno ha insegnato proprio lei.” Eh, lo so, il tempo passa e io mi rimbambisco. Vorrei dirle una cosa a cui tengo molto. E cioè che lo so benissimo che sono tutti innocenti (o, meglio, PRESUNTI innocenti) fino a sentenza definitiva passata in giudicato, ma se nelle scuole dei suoi figli uno dei loro insegnanti venisse accusato e rinviato a giudizio per, per esempio, detenzione di materiale pedopornografico, sarebbe comunque presunto innocente anche se non si è celebrato alcun processo (anzi, magari PROPRIO per questo), ma se decidesse di ritirare i propri figli dalla classe o dalla scuola la capirei.
Volevo dirglielo ma le ho detto solo che non avevo niente da dirle. Cioè la verità.
Me ne sono andato con una banca in meno e una valanga di soddisfazione in più.
A Roseto degli Abruzzi sta prendendo il via un nuovo centro di scommesse di una catena in franchising. Che io sappia che ne sono almeno altri tre o quattro.
Ci sono passato davanti l’altra sera, ho scattato lì davanti all’entrata, e la cosa pare che sia stata “tollerata” e non “gradita” da chi stava lavorando alla vetrina. E’ chiaro, la gente scatta foto e selfie con chiunque, mette su Facebook tutto il bambinàme possibile, poi però si stranisce se uno fotografa una vetrina di un negozio regolarmente posto sulla pubblica via. Un po’ come quelli che ti dicono che non puoi prendere loro il numero di targa perché c’è la privacy.
Che dire? Spero che chi l’ha aperto con entusiasmo abbia anche il suo ritorno economico.
Però questi centri scommesse e ricevitorie varie cominciano a spuntare come i funghi. Assieme ai compro-oro e alle rivendite di sigarette elettroniche, liquidi, aromi e pseudonicotinàme assortito.
Ci si potrebbe fare una riflessione. Magari (dico, non sicuramente, ma magari) Roseto è un paese di personcine nervosette che si aggrappano alla sigaretta, non sanno smettere e sono costrette a far ricorso ai surrogati. Hanno anche pochi soldi, si vanno a rivendere sottoprezzo l’argenteria di casa, la catenina della nonna o la presentosa della zia Cesira (cosa sia la presentosa, vi chiederete, va beh, poi ve lo spiego), e vanno a scommettere.
Ecco, questo non capisco. Scommettere. Oh, per carità, ognuno ha il diritto di aprire tutti i centri scommesse che vuole, ci si mette sopra una vetrofania con un figone da sballo e il gioco è fatto. Ma la gente? La gente che cerca di azzeccare una combinata, una corsa, un risultato e dopo mezzo minuto è pronta a gettare via la ricevutina per tentarci di nuovo.
Alberto Sordi in un’intervista diceva “Non mangiate troppo che poi diventate poveri!” Voleva dire che la povertà, dopo che si è conosciutto un maggiore agio, diventa insopportabile. E chi perde il suo denaro scommettendo diventa lentamente sempre più povero, fino a vedersi in una condizione insopportabile.
Sarà perché sto leggendo “Pane e Bugie” di Dario Bressanini, ma espressioni come “DOC”, “DOCG”, “Bio”, “Chilometri zero” mi stanno sempre più indigeste.
Soprattutto “bio”. Ma “bio-” cosa? “Biodegradabile”? “Biocompatibile”? “Biologico”, no? Allora usiamole per intero le parole.
“Bio”, “DOC”, “DOCG”, “Chilometri zero”. Tutte espressioni che associamo all’alimentazione e a un’alimentazione corretta per la nostra salute.
Una mela biologica costa di più del suo equivalente ottenuto con agricoltura tradizionale.
Forse è più gustosa, magari è più ricca di elementi nutritivi.
Però una famiglia spende ogni mese un TOT per l’acquisto e il consumo di frutta e verdura che fanno tanto bene alla salute. Ma se compra solo frutta e verdura biologiche l’assimilazione di nutrienti diminuisce considerevolmente perché ne comprerà una quantità sensibilmente inferiore.
Dice che dobbiamo consumare i nostri prodotti, quelli nazionali, quelli certificati.
Io compro regolarmente la cipolla di Tropea, la bresaola della Valtellina, la fontina della Val d’Aosta, il salame piccante calabrese, il Nero d’Avola, il Chianti, il Merlot veneto, il Cannonau della Sardegna, il Passito di Pantelleria, il Moscato dell’Elba e ora basta se no mi sbronzo.
Ma il Passito da Pantelleria sulla mia tavola a Roseto degli Abruzzi ci viene a piedi? Suppongo che una cipolla da Tropea arrivi dal mio verduraio per smaterializzazione atomica e che il formaggio Asiago giunga rotolando sulla sua stessa forma.
Le uniche cose a chilometro zero su cui posso contare sono le fragole, il prezzemolo, il basilico, la menta e i peperoncini che crescono sul mio terrazzo, il resto è fuori target.
Ci raccontiamo un sacco di balle. Ci preoccupiamo di farci portare la roba buona dal contadino (che ce la porta con la macchina che evidentemente va ad aria compressa) e non ce ne frega niente di tutto il parmigiano e tutta la pasta che mandiamo in Australia con le navi.
Il Professor Valerio Di Stefano è lieto (e certamente colitico) di invitare la cittadinanza tutta ad assistere alla sua odiosa filippic…
CONFERENZA
dal titolo
“Libri per ragazzi? ‘Il giro del mondo in 80 giorni’ di Jules Verne”
che si terrà alle ore 16 di oggi, 3 aprile 2009 presso l’Università della Terza Età (sì, il nobile conferenziere è entrato in andropausa!) nei locali della Scuola Elementare di Via Milli a Roseto degli Abruzzi.
L’esimio esperto percorrerà una lucida (lucida?) analisi del romanzo, senza nemmeno averlo letto, in puro stile preconcezionista.