La dipendenza da Internet

 434 total views

Ho sempre pensato che la parola “virtuale” sia stata inventata da qualche terrorista o da qualche cercatore di soldi facili. A volte, lo devo ammetere, i due concetti coincidono.

Il virtuale non esiste. Se io uso un computer uso un coso di plastica, metallo, silicio e quant’altro che è lì, è reale, altro che virtuale. Chi commenta un post di un blog, di Facebook di Twitter è una persona in carne ed ossa e sentimenti (certo, volgarissimi, a tratti), così come chi quel post lo scrive. La rete stessa non è virtualità. Valgono nella rete le stesse regole che valgono nel mondo fisico. Ad esempio se scrivete cazzate da qualche parte potrebbe anche darsi che a qualcuno venga il ghiribizzo di querelarvi. Se ricevo una mail dal mio commercialista che mi dice che devo pagargli la parcella io la parcella gliela devo pagare, non posso attaccarmi al fatto che si è trattato di una comunicazione non personale.

Poi ci sono gli amori o le relazioni virtuali. “Sai, ho un amico virtuale” fa la signora all’amica mentre sono al supermercato. E quella “Davvero??? Dài, dài, dimmi che sono curiosa come una scimmia…” Si vede che la gente pensa che le persone che hanno questo tipo di trasporto siano fatte di polvere. La rete è solo il “luogo” in cui due persone si conoscono. E’ come trovarsi al bar. Poi magari decidono di proseguire la loro conoscenza.

Niente di nuovo, del resto, quando non c’era internet c’erano gli amici di penna, e quando non c’erano nemmeno loro ci si sposava per corrispondenza.

Però la virtualità è stata associata proprio al concetto non tanto di “comunicazione mediata” ma di “comunicazione con un interlocutore immaginario”, che è una coglionatura bella e buona. Caso mai può essere, tutt’al più, “non presente nello stesso luogo e/o tempo”. Ma perché, la gente quando parla al telefono l’interlocutore lo vede?

In nome della virtualità si sono inventate tante cose. Intanto gli psichiatri si sono fatti depositari di una nuova patologia da curare, la sindrome da dipendenza da internet. Così, voglio dire, la gente che sta un po’ troppo connessa (già, ma troppo quanto? Chi è che stabilisce, come accade con l’alcool, qual è la dose giornaliera per un uso sicuro per sé e per gli altri di internet? Nessuno, naturalmente. Ma pretendono di curarti e tu devi dar loro anche i soldi) si ritrova catalogata come patologia quello che è un semplice comportamento.

Però… “professore, mio figlio sta sempre attaccato al computer, dalla mattina alla sera, che dice, lo faccio curare da uno specialista??” Ma quella non è dipendenza, è essere dei genitori pirla. Tuo figlio portalo anche fuori qualche volta. Oppure toglielo internet. Cazzo, non puoi delegare la tua funzione educativa nei confronti di tuo figlio a uno psichiatra o a qualche pasticchina.

E poi “hai un blog?? Ma come fai a stare tutto il tempo davanti a un computer?? Ah, io non ce la farei” Ma non hai bisogno di starci “tutto il tempo”, basta scrivere ogni tanto. Ma se ti piace scrivere, comunicare, dare qualcosa a qualcuno, far circolare le tue idee, quella è una dipendenza da internet, devi essere curato. E loro lo sanno benissimo che il problema non è internet, ma il fatto che tu pensi e scriva. Il sistema mal l’accetta, per questo ti dicono “Vieni, vieni, ci pensiamo noi!” e poi quelli  che hanno pensato a te si sfondano su Facebook e buttano via la chiave!

Sei su Twitter?? Peggio ancora. Il fatto che Twitter possa essere gestito da un cellulare, che tu possa mandare degli aggiornamenti via SMS (magari disponendo di mezzi assolutamente esigui), oppure attraverso uno Smartphone, viene visto come un sintomo di malattia. Tu, naturalmente, non sei affatto malato, lo sai benissimo. Ma se uno si inventa che esiste una malattia, poi si può anche arrogare il diritto di curarti, di rimproverarti che stai sempre a guardare se ti sono arrivate risposte ai tuoi tweet, che non ti relazioni con gli amici “reali”, e va beh, ma magari è gente che spara una valanga di stronzate e, voglio dire, poi ci credo che uno preferisca fare o parlare d’altro.

State attenti. Ma molto, molto attenti.