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Pronto soccorso
Pronto soccorso
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In linguaggio tecnico si chiama "infortunio in itinere". Succede quando vai a lavorare ma giri l’angolo e sbatti la testa contro una cosa che non dovrebbe essere lì, stai per chiederti perché, invece, c’è (mistero…), ma non ne hai il tempo perché oramai la bòtta è presa e tutto quel che puoi fare, a parte bestemmiare il calendario dei santi saltellando su un piede solo, è cercare di non avere effetti troppo gravi del contraccolpo alla cervicale.
Dunque, Pronto Soccorso.
Il Pronto Soccorso è un mondo a sé con cui ho avuto assai poco a che fare, e di sfuggita, praticamente mai per problemi personali. Stavolta è accaduto.
Si entra da una porticina angusta, che dà sul casottino dell’accettazione dove non c’è nessuno. Al lato, un’altra porta (quella vera e propria dell’ingresso) ha un campanello sotto cui è scritto "Suonare e attendere".
Io ho suonato e atteso cinque minuti. Quanto basta per pensare che qualcuno possa non aver sentito. E quindi suonare di nuovo. E quindi sentirmi dire da un energomeno di un metro e novanta in camice verde e zoccoli bianchi che sul cartello c’è scritto "suonare e attendere" e che qualche ragione ci sarà.
Certo, la ragione per cui ho suonato di nuovo è che nessuno mi attendeva.
"Ma è qualcosa di grave?"
E che ne so? Uno viene al Pronto Soccorso apposta per sentirselo dire se è grave o no. Se no sarei a lavorare. Oppure a spasso.
"Bene, codice verde"
Il codice verde è il penultimo della scala dei codici del pronto soccorso. Adesso so che le sbucciature, le medicazioni alle ginocchia dei bambini con la tintura di iodio, un mal di pancia passeggero non possono passarmi avanti. E’ una grande consolazione.
"Attenda di là il medico"
Il medico è una signora simpatica che deve averne viste di tutti i colori, altro che codici verdi! Però non mi attende subito, perché nel frattempo qualcun altro ha suonato, è una signora anziana che si lamenta e a cui vengono prestate le prime cure nella stanza a fianco.
Perché tra la stanza in cui attendo di essere atteso (atteso che mi attendano, prima o poi) e la signora c’è solo una tenda.
Quindi, anche non volendo, sento tutto. Cos’ha, cosa non ha, il suo lamentarsi e i commenti dei parenti che l’accompagnano. Alla faccia d’o cazz’ e della privacy.
"Cosa si sente?"
Spiego i sintomi e quello che è successo. Mi guarda con l’aria di chi pensa dentro di sé che lì c’è gente che sta male davvero. Sì, ma il fatto che ci sia gente che sta male davvero non significa che io stia male per finta.
Il primo esame neurologico ("Stringa le mie mani, forte, più forte…" "Guardi qui… no, di là…", "Faccia vedere la lingua…" ) è negativo.
Sembra che me lo dicano con dispiacere. Come se il fatto che non ci sia nemmeno una conseguenza a livello nervoso sia una sconfitta. Cazzo, meno male, no?
"Vada a fare la radiografia!"
(…) disorientamento da labirinto ospedaliero, chiedo a due persone dove sia la radiologia (…) (…) o allora? Mi ci vuol tempo (…)
Si spogli, appenda la giacca (dove? non c’è appendiabiti) o la appoggi pure sulla sedia (una sedia per i tuoi effetti personali, ma che gentili!), la prima la facciamo di fronte, sollevi il mento…. così, così… no, troppo, appena appena un po’ di meno, sì, stia fermo… TLAC! ora lo abbassi…. ancora… ancora… fermo!… TLAC! l’ultima di lato… si giri, guardio davanti a sé… peeeeeeeeerfètto… TLAC!!
Insomma, un po’ di radiazioni gratuite random, nel caso uno volesse allevarsi un tumorello tra una venticinquina di anni e merci bien Madame Curie.
Guardo le lastre che mi hanno fatto e vedo come sarà il mio cranio una volta che sarò scheletrito stile avorio cinese. Non mi piace e sono felice di voler essere cremato quando non ci sarò più. Si risparmiano tante brutture.
"Torni con queste radiografie al Pronto Soccorso"
(…) ora capisco Arianna che diede il filo a Teseo (…) chissà da dove cavolo sono venuto (…) accidenti a me e al mio senso dell’orientamento (…)
"Aspetti lì che ci sono delle urgenze…"
E le vedo le urgenze. Nel senso che un signore con una flebo di antidolorifico in vena è sdraiato sul lettino della stanza in cui sono stato visitato io, solo che la porta è aperta e
tutti lo possono vedere. Intimità zero. Privacy manco p’o cazz’! La signora che va nella stanza accanto (quella protetta dalla tendina) dice di essere caduta dalle scale. Mi viene freddo. Quante donne vanno ogni giorno al Pronto Soccorso e dicono di essere cadute dalle scale! Spero solo che in quel caso sia vero. La signora viene fatta accomodare e la porta resta aperta. E’ impacciata, non sa se deve spogliarsi, attendere o cos’altro, certo che spogliarsi al Colosseo è sempre controproducente.
La visita ortopedica rivela che sì, la cervicale ha un po’ sofferto, "si giri, si giriii… un po’ di più, ecco…le fa male se le premo forte qui?"
E certo che mi fa male, se lei mi ci preme forte.
"Nulla di preoccupante, sono cose che succedono ai vivi!" Già, ma come mai ad altri vivi non succedono?
Non ho voglia di portare avanti una polemica filosofica che non porterebbe a nulla, e poi il medico dell’ortopedia è simpatico.
Dieci giorni di inabilità al lavoro, una schiuma-gel, un antidolorifico e un collare da portare, sia pure in maniera molto blanda e discontibua.
Mi mancano solo la medaglietta, il tatuaggio, la vaccinazione anticimurro e il guinzaglio.
Dunque, Pronto Soccorso.
Il Pronto Soccorso è un mondo a sé con cui ho avuto assai poco a che fare, e di sfuggita, praticamente mai per problemi personali. Stavolta è accaduto.
Si entra da una porticina angusta, che dà sul casottino dell’accettazione dove non c’è nessuno. Al lato, un’altra porta (quella vera e propria dell’ingresso) ha un campanello sotto cui è scritto "Suonare e attendere".
Io ho suonato e atteso cinque minuti. Quanto basta per pensare che qualcuno possa non aver sentito. E quindi suonare di nuovo. E quindi sentirmi dire da un energomeno di un metro e novanta in camice verde e zoccoli bianchi che sul cartello c’è scritto "suonare e attendere" e che qualche ragione ci sarà.
Certo, la ragione per cui ho suonato di nuovo è che nessuno mi attendeva.
"Ma è qualcosa di grave?"
E che ne so? Uno viene al Pronto Soccorso apposta per sentirselo dire se è grave o no. Se no sarei a lavorare. Oppure a spasso.
"Bene, codice verde"
Il codice verde è il penultimo della scala dei codici del pronto soccorso. Adesso so che le sbucciature, le medicazioni alle ginocchia dei bambini con la tintura di iodio, un mal di pancia passeggero non possono passarmi avanti. E’ una grande consolazione.
"Attenda di là il medico"
Il medico è una signora simpatica che deve averne viste di tutti i colori, altro che codici verdi! Però non mi attende subito, perché nel frattempo qualcun altro ha suonato, è una signora anziana che si lamenta e a cui vengono prestate le prime cure nella stanza a fianco.
Perché tra la stanza in cui attendo di essere atteso (atteso che mi attendano, prima o poi) e la signora c’è solo una tenda.
Quindi, anche non volendo, sento tutto. Cos’ha, cosa non ha, il suo lamentarsi e i commenti dei parenti che l’accompagnano. Alla faccia d’o cazz’ e della privacy.
"Cosa si sente?"
Spiego i sintomi e quello che è successo. Mi guarda con l’aria di chi pensa dentro di sé che lì c’è gente che sta male davvero. Sì, ma il fatto che ci sia gente che sta male davvero non significa che io stia male per finta.
Il primo esame neurologico ("Stringa le mie mani, forte, più forte…" "Guardi qui… no, di là…", "Faccia vedere la lingua…" ) è negativo.
Sembra che me lo dicano con dispiacere. Come se il fatto che non ci sia nemmeno una conseguenza a livello nervoso sia una sconfitta. Cazzo, meno male, no?
"Vada a fare la radiografia!"
(…) disorientamento da labirinto ospedaliero, chiedo a due persone dove sia la radiologia (…) (…) o allora? Mi ci vuol tempo (…)
Si spogli, appenda la giacca (dove? non c’è appendiabiti) o la appoggi pure sulla sedia (una sedia per i tuoi effetti personali, ma che gentili!), la prima la facciamo di fronte, sollevi il mento…. così, così… no, troppo, appena appena un po’ di meno, sì, stia fermo… TLAC! ora lo abbassi…. ancora… ancora… fermo!… TLAC! l’ultima di lato… si giri, guardio davanti a sé… peeeeeeeeerfètto… TLAC!!
Insomma, un po’ di radiazioni gratuite random, nel caso uno volesse allevarsi un tumorello tra una venticinquina di anni e merci bien Madame Curie.
Guardo le lastre che mi hanno fatto e vedo come sarà il mio cranio una volta che sarò scheletrito stile avorio cinese. Non mi piace e sono felice di voler essere cremato quando non ci sarò più. Si risparmiano tante brutture.
"Torni con queste radiografie al Pronto Soccorso"
(…) ora capisco Arianna che diede il filo a Teseo (…) chissà da dove cavolo sono venuto (…) accidenti a me e al mio senso dell’orientamento (…)
"Aspetti lì che ci sono delle urgenze…"
E le vedo le urgenze. Nel senso che un signore con una flebo di antidolorifico in vena è sdraiato sul lettino della stanza in cui sono stato visitato io, solo che la porta è aperta e
tutti lo possono vedere. Intimità zero. Privacy manco p’o cazz’! La signora che va nella stanza accanto (quella protetta dalla tendina) dice di essere caduta dalle scale. Mi viene freddo. Quante donne vanno ogni giorno al Pronto Soccorso e dicono di essere cadute dalle scale! Spero solo che in quel caso sia vero. La signora viene fatta accomodare e la porta resta aperta. E’ impacciata, non sa se deve spogliarsi, attendere o cos’altro, certo che spogliarsi al Colosseo è sempre controproducente.
La visita ortopedica rivela che sì, la cervicale ha un po’ sofferto, "si giri, si giriii… un po’ di più, ecco…le fa male se le premo forte qui?"
E certo che mi fa male, se lei mi ci preme forte.
"Nulla di preoccupante, sono cose che succedono ai vivi!" Già, ma come mai ad altri vivi non succedono?
Non ho voglia di portare avanti una polemica filosofica che non porterebbe a nulla, e poi il medico dell’ortopedia è simpatico.
Dieci giorni di inabilità al lavoro, una schiuma-gel, un antidolorifico e un collare da portare, sia pure in maniera molto blanda e discontibua.
Mi mancano solo la medaglietta, il tatuaggio, la vaccinazione anticimurro e il guinzaglio.