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Dio solo sa se ho rispetto, ammirazione e addirittura venerazione per la figura del Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, così come di qualsiasi altro servitore dello stato che sia impegnato nella lotta alla criminalità organizzata e rischi la vita per il suo impegno e per la sua dedizione quotidiani.
Ma non può che suonarmi strana la sua lamentela circa la presunta scarsa attenzione da parte dei media (e in particolare della carta stampata) nei confronti della sua inchiesta culminata poi con 334 arresti e 416 indagati in tutta la Calabria. Un po’ perché mi sembra che questo non sia vero (la notizia è stata sulle prime pagine di tutti i giornali, è stata rilanciata con sufficiente evidenza da radio e TV ed è ancora pienamente reperibile sul web), un po’ perché ritengo che dopo l’operazione che ha riguardato a vario titolo più di 700 persone sia necessario porre l’attenzione su alcuni dati assolutamente imprescindibili:
– la custodia cautelare in carcere non è una pena;
– la custodia cautelare in carcere non equivale alla penale responsabilità;
– la custodia cautelare in carcere non equivale a una dichiarazione di colpevolezza.
Dopo la doverosa attenzione all’operazione epocale che ha visto coinvolte la Procura di Catanzaro e le Forze dell’ordine ora c’è bisogno del silenzio che accompagna i processi. Cioè la definizione della posizione individuale di uno per uno i 700 indagati. Perché io non vorrei, no, proprio non vorrei mai che tra tutte queste persone attenzionate dalla Procura di Gratteri ce ne sia anche solo una che dovesse uscire estranea ai fatti o assolta nel merito delle accuse. Perché in tal caso lo Stato dovrebbe accollarsi le spese per l’ingiusta detenzione e qualche innocente (non importa se pregiudicato o no) sarebbe stato recluso.
La Procura ha fatto il suo impeccabile lavoro, i giornali hanno informato. Adesso la parola passa ai giudici di merito e/o di legittimità. Parlino i processi e la stampa faccia il suo sacrosanto lavoro di informare l’opinione pubblica.