Te piace ‘o presepe?

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Ora, io pregiudialmente non ho nulla contro i remake, i sequel, le cover, i film tratti da romanzi e i romanzi tratti da film (una volta esistevano anche quelli!).

Ma ci sono delle cose sacre che non mi devono assolutamente toccare. Come, per esempio, la trilogia di “Amici miei” di Monicelli-Loy (da cui è stato tratto un film ambientato nel ‘400, di gusto quanto meno discutibile), come la trilogia (anche se il terzo lo piglio di tacco) de “Il Padrino”, i due “Brancaleone” con Vittorio Gassmann e poco altro. Ecco, lì non ammetto niente.

Tra questo poco “altro” figura “Natale in casa Cupiello”, il capolavoro forse più famoso di Eduardo De Filippo. Lo conosco a memoria e sono il felice proprietario di un DVD edizione extra lusso che riporta l’edizione televisiva del ’78 (con una Pupella Maggio e una Lina Sastri da urlo!), quella del ’62 in bianco e nero (meno incisiva, forse, ma ugualmente storica) e quella radiofonica del ’58.

Io “Natale in casa Cupiello” lo conosco a memoria (come tutte le altre opere citate), potrei dire tranquillamente quale personaggio dice che cosa e in quale atto del Capolavoro, chi risponde, cosa risponde e perfino con quale stato d’animo.

E ieri sera è andata in onda in prima visione RAI una revisione della commedia in versione filmica. Opera legittima ma altrettanto legittimamente criticabile. Sarà stato bravo Sergio Castellitto a reinventarsi il personaggio di Don Luca, a farlo perfino fumare mentre va a comprare i pastori a San Biagio dei Librai, gli sceneggiatori saranno stati abili ad adattare un testo scritto per il teatro alle esigenze di una trasposizione cinematografica, sarà stata una “novità”, per la carità di Dio, non lo voglio minimamente mettere in dubbio. Ma “Natale in casa Cupiello” no. A me le interpretazioni di Eduardo non me le tocca nessuno. Quando Don Luca si sveglia, prende il caffé (che “fète ‘e scarrafone”), si alza traballante dal letto, finge di recitare le preghiere, traballa, ripete per tre volte la battuta “Questo Natale si è presentato come comanda Iddio!” e chiede alla moglie Concetta se fuori fa freddo. E’ un testo sacro, che non va toccato. Lasciateci Tommasino (Nennillo), coi suoi lampi di genio (da “Nun me piace ‘o presepe!” alla lettera scritta alla madre e fatta trovare sotto al piatto in cui dice “Ho deciso, mi voglio cambiare!”), lasciateci Ninuccia (“Mammà’ chelli s’accìdeno!) interpretata da quello splendore che è Lina Sastri, lasciateci Zio Pasqualino (che non poteva trovare “le scarpe sue” perché Nennillo se le era rivendute), il cornuto Nicolino e, perfino, l’amante di Ninuccia, Vittorio Elia (“Nun te vo’ ‘bbene muglièreta!”). Lasciateci la meraviglia di Don Luca davanti al giocattolino del presepe (“lo faccio per me… ci voglio scherzare io”) di fronte alla sbrigativa Donna Concetta (quella che “aveva a nasecre co’ ‘o cazone”) che gli dice “Io nun capisco che ‘o fai affà’ ‘stu presepe. Tempo sprecato, denari che se ne vanno, venisse almeno bene…”). Lasciateci l’originale di Nennillo che ripete fino all’ossessione “Nun me piace ‘o presepe”. Il pubblico non è ancora pronto per veder rappresentato un canovaccio diverso da quello fissato nel testo lucido e senza sbavature delle Cantate dei giorni pari e dei giorni dispari. Abbiamo ancora nelle orecchie l’arte di Eduardo che biascica parole senza senso nel letto in cui giace malato raccontando “‘o fatto ‘e faggiòle”, e quando alla fine perde lo sguardo lontano lontano, in presepe magnifico e immaginario. Perché è bello, ‘o presepe!

Tra cento anni, forse, ci sarà ancora chi rappresenterà “Natale in casa Cupiello” in modo diverso, discostandosi (ma quanto, poi?) dall’opera originale e dal suo mirabile creatore, ma adesso no, ce vo’ tiempo ancora. Ha da passà’ ‘a nuttata.