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Uno degli argomenti più pregnanti e cogenti di queste ultime ore, uno di quelli che tocca la sensibilità umana con la purezza filosofica in cui si estrinseca è se i tortellini ripieni di pollo, nati per chi professa una religione che non permette di cibarsi di carne di maiale, siano in qualche modo “legittimi” o meno. Spaventato dalla portata etica e morale di questo argomento ho deciso di offrirvi queste inadeguate ma purtuttavia sussiegose riflessioni. I tortellini si fanno con il prosciutto crudo, cioè con la carne di maiale, su questo non ci piove. Può darsi che qualcuno abbia inteso questo obbrobrio dei tortellini ripieni di carne di pollo come un gesto di rispetto nei confronti di chi professa una religione diversa ed è ospite al proprio desco. In breve, se io ho degli ospiti musulmani, come posso farli sentire accolti a casa mia senza intaccare i loro principii? Ma semplice, coi tortellini di pollo. Cioè facendo a pezzi una ricetta tradizionale italiana che ha trovato terreno granitico nel lavoro domestico e manuale di centinaia e centinaia di massaie che confezionano la perfezione del tortellino tramandandone l’autenticità. Voglio dire, se ho un ospite vegetariano, non gli faccio i tortellini ripieni di verdurine sautées perché farei un obbrobrio. Gli farò, piuttosto, che so, del tofu con i funghi (che schifo il tofu!), una omelette alle erbe (in onore del personaggio di Pereira), un formaggio fritto o il cavolo che gli si frega, ma non vado a bestemmiare i tortellini. Il tortellino, che si dice abbia la forma dell’ombelico di Venere, è sacro e intoccabile. Non si rinuncia all’autenticità del nostro essere per andare incontro all’Altro. L’Altro, se proprio non può, i tortellini non li mangerà, mangerà qualcos’altro. Ma perché, dei ravioli al brasato di manzo li vogliamo buttare? Eppure non sono tanto dissimili né difficili da fare. I tortellini di pollo sono l’espressione di chi non ha fantasia, cultura, voglia di fare, gusto per le cose buone. Sono solo delle novità che possono trovare, tutt’al più, spazio in una vaschetta di plastica al reparto frigorifero del supermercato dove mi auguro che abbiano vita breve. Il rispetto non è “ti faccio qualcosa di diverso perché l’originale non lo puoi mangiare”, ma, “visto che tu non puoi mangiare il maiale non lo mangio nemmeno io”. E’ estremamente semplice. E costa poco dal punto di vista dell’economia domestica. Ma costa molto da quello dell’accoglienza.