Tutti poeti noi del ’56

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Quando è morto Maradona è morto un “dio”. Adesso che è morto Paolo Rossi è morto un uomo.

Un uomo che si è insinuato, magari a suo mal grado, nella storia. Un uomo che ha vissuto come un ragazzino quando gli eventi lo sovrastavano senza che nemmeno lui se ne accorgesse.

Quel 1982 è stato l’anno successivo al tentativo di colpo di stato in Spagna ad opera di Tejero (da cui il termine spagnolo “tejerazo” per “colpo violento e repentino”), l’anno dell’ascesa di Felipe González al potere, l’anno dell’apertura spagnola degli occhi alla meraviglia. Tutti che uscivano, si incontravano, si parlavano, prendevano qualcosa al bar, vecchi e giovani, non c’era nessuna distinzione. Non importava che tu ordinassi una horchata de chufas o un gin-tonic, l’importante era sentirsi finalmente liberi. E fu l’anno del mio primo viaggio in Spagna. Avevo 17 anni. Ero giovane e piuttosto scemo. Ma tutto questo Paolo Rossi non lo sa.

Quell’anno vincemmo il mondiale di calcio per la terza volta, passando a stento il primo turno grazie ad una provvidenziale bòtta di culo col Cameroun del portiere ‘Nkono e di Oman Biyik. Pareggiammo ma ci fecero vedere i sorci verdi. Poi ci aspettava il Brasile di Falcão. E Paolo Rossi, da bravo ragazzino qual era, gli rifilò tre pappine di quelle che non te le dimentichi. Al terzo gol sembrava che Paolo Rossi non guardasse nemmeno lo specchio della porta, sembrava che guardasse da tutt’altra parte, e invece lui era lì, nell’area, tirò senza guardare ed il portiere lo fece passare.

Poi fu il turno dell’Argentina dello stesso Maradona, che la prese in saccoccia giocandosi la finale con la Germania, che vincemmo con un secco 3-1. “Campioni del mondo!” gridò per tre volte consecutive Nando Martellini. E tu che cercavi di immortalare nella memoria quel momento imparando a memoria la formazione “Zoff, Gentile, Cabrini”. Non era un elenco, era un verso settenario, che si imprimeva nella mente come “Silvia rimembri ancora”.

E poi Pertini che riportò a casa il poeta-educatore Bearzot e i suoi ragazzi giocando a scopone sull’aereo. Un ragazzo del ’56. Un bambino, un bambino. E anche a me tutto sembrava andasse bene, tra me e le mie parole e la mia anima. In Spagna mi dicevano “¿Italiano? ¡Ah! Paolo Rossi…”

E ora che Rossi se n’è andato, dopo Maradona, si capisce veramente che differenza c’è tra quando muore un dio e quando muore la gente. Perché è la gente che fa la storia.

AGGIORNAMENTO DEL 12/12/2020:

Mi scrive il solerte amico e lettore Roberto Di Giovannantonio chiarendomi quanto segue:
“Per dovere di correttezza, affrontammo prima l’Argentina battendola 2 a 1 (Cabrini, Antognoni), indi il Brasile. Poi, in semifinale la Polonia (2 reti di Rossi) prima della finale. Mi permetto.”

Io ho ricordato solo alcuni avvenimenti “ad sensum”, non volevo certo far torto alla verità storica e al calcio, di cui ammetto di non capire una veneratissima mazza. Grazie Roberto, ti devo sempre una birra gelata.