La scorta a Liliana Segre

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Sarebbe troppo facile dire che l’assegnazione di due carabinieri di scorta a Liliana Segre per le continue minacce ricevute sui social network e tramite canali più tradizionali (ma non per questo meno pericolosi) rappresenta la sconfitta totale dello stato e ne dimostra sia il fallimento che l’incapacità a reagire se non con la limitazione della libertà di una cittadina italiana di 89 anni, che ha sofferto sulla propria pelle l’orrore di Auschwitz, sopravvivendo alla catastrofe umana dell’olocausto e che ha avuto il solo merito di proporre la costituzione di una commissione che contrasti l’odio (sia esso in rete o espresso in altra forma).

Sarebbe troppo facile stigmatizzare la contemporanea negazione della cittadinanza onoraria a Liliana Segre da parte della città di Pescara per mano dei consiglieri comunali della Lega perché “mancano i presupposti per dare la cittadinanza onoraria perché manca un legame con il nostro territorio: a questo punto dovremmo conferirla anche ai tanti rappresentanti delle istituzioni che ricevono pubbliche offese e minacce” come se lotta all’antisemitismo, al razzismo, all’intolleranza, all’odio, l’affermazione dei valori democratici, la solidarietà con una donna che ha patito l’indicibile non possano essere patrimonio di una città che ha ricevuto la medaglia d’oro al merito civile con la motivazione «Centro strategico sulla linea verso il Nord della Penisola e per il collegamento con la Capitale, durante l’ultimo conflitto mondiale fu teatro di continui e devastanti bombardamenti da parte dell’aviazione alleata e dovette subire le razzie e la distruzione di fabbricati, strade, ponti e uffici pubblici da parte dell’esercito germanico in ritirata.»

Sarebbe troppo facile dire che vogliamo bene a Liliana Segre per quello che rappresenta e che comprendiamo perefttamente il suo stupore, la sua amarezza, la sua delusione davanti al voto di astensione delle destre al Senato della Repubblica su un provvedimento che avrebbe dovuto raggiungere come minimo l’unanimità.

Sarebbe troppo facile. Però è tutto vero.

Pescara: dopo un vaccino contrae la sindrome di Guillain-Barré. ASL condannata a risarcire 150.000 euro.

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A una signora di Pescara, diabetica, è stato somministrato un vaccino.

La signora, dopo la somministrazione, ha sviluppato la sindrome di Guillain Barré, una malattia che colpisce il sistema muscolare. Adesso è invalida al 100%.

Attraverso il suo legale ha fatto due cause alla ASL. Le ha vinte tutte e due, al punto che la ASL ha deciso di non ricorrere in appello. La ASL è stata condannata a risarcire alla signora 150.000 euro e 800 euro mensili a vita.

Ora, io non sono contrario ai vaccini. Viva i vaccini, se servono a prevenire le malattie e se aiutano le persone a sopravvivere. Ma stiamoci attenti. Non possiamo cedere alle burioniche attestazioni di incosciente ottimismo per cui i vaccini sono sicuri e non c’è pericolo di nulla. Perché bisognerebbe dirlo alla signora di Pescara che i vaccini sono sicuri. Forse avrebbe qualcosa da obiettare, ammesso che le sue condizioni di salute le permettano di parlare e di esprimere il proprio pensiero.

I vaccini non sono il demonio. Ma stiamo attenti. Molto attenti.

La Suprema Corte di «Cassazzione»

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Su CityRumors.it, notiziario abruzzese, c’è scappata la “Cassazzione” nientemeno che con due zeta! Va detto, a parziale attenuazione della svista, che nel corpo dell’articolo lo hanno scritto correttamente.

Già. Ma perché si lamentano che scrivono “Abbruzzo” sulle tessere sanitarie? [E va da sé che è un errore ortografico e NON grammaticale!]

Arresto cardiaco: Morosini del Livorno è morto

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Non amo il calcio, e questo lo sapete.

Ma c’è sempre qualcosa di tuo (cioè di mio) quando un giocatore del Livorno si accascia sul campo di Pescara. Perché Livorno e Pescara sono, comunque, luoghi in cui hai (ho) vissuto, perché Livorno ce l’hai nel cuore, perché il Livorno in serie “A” è stato un sogno, perché quando sei lontano gli amici ti telefonano per farti sentire il chiasso del traffico e dei tifosi.

Si passa sempre dalla burla alla tragedia. In un attimo.

San D’Alfonso d’o Liquore

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Il primo cittadino di Pescara, inquisito, fu posto agli arresti domiciliari e poi liberato, in attesa di giudizio.

La liberazione fu disposta per un motivo molto semplice: non c’era più alcun pericolo di inquinamento delle prove.

D’Alfonso si affacciò al balcone di casa sua e prese a salutare la gente che lo sosteneva (due o tre) e che inneggiava al proprio sindaco, inquisito, perché, si sa, visto che sono sottoposti alle indagini della magistratura allora è sempre meglio essere dalla loro parte, non si sa mai.

Una volta liberato, e fatto credere che se era libero era evidente che le accuse erano insussistenti (ma se erano insussistenti chissà perché non le hanno ritirate), sorgeva il dilema di che cosa fare con le dimissioni nel frattempo presentate, visto e considerato che le dimissioni di un sindaco possono essere ritirate entro 60 giorni.

Ha pensato bene, D’Alfonso, di andare in convento e mandare un certificato del suo medico di fiducia (è ovvio che il suo medico di fiducia è un consigliere regionale del PD!) in cui si dichiara affetto da infermità "ingravescente e permanente".

Il suo medico curante ha riferito di non aver mai scritto quelle parole sul certificato. Nel dubbio Nicola Trifuoggi gli ha sequestrato anche quello.

Forse D’Alfonso spera di essere condannato agli esercizi spirituali!