Dove c’è famiglia c’è pasta

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«Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale. Non per mancanza di rispetto ma perché non la penso come loro, la nostra è una famiglia classica dove la donna ha un ruolo fondamentale».

«Noi abbiamo un concetto differente rispetto alla famiglia gay. Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane un valore fondamentale dell’azienda».

[Ma la pasta la mangiano anche i gay] «Va bene, se a loro piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, altrimenti mangeranno un’altra pasta. Uno non può piacere sempre a tutti».

«Io rispetto tutti facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri. Sono anche favorevole al matrimonio omosessuale, ma no all’adozione per una famiglia gay. Da padre di più figli credo sia molto complesso tirare su dei bambini in una coppia dello stesso sesso».

Sulle parole di Guido Barilla a “la Zanzara” di Radio24 si è detto di tutto e, forse, lo si è detto in modo improprio e nemmeno troppo convincente, certo è che se, dopo aver ascoltato e letto questi contenuti, uno decide di boicottare i prodotti della Barilla, non consumandoli, gay o eterosessuale che sia, lo si può anche comprendere.

Il messaggio lanciato è quello di una falsa libertà, ed è questo che dà da pensare.
Dire “se a loro piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, altrimenti mangeranno un’altra pasta” non è un segnale di tolleranza verso chi la pensa diversamente o intende vivere in un altro modo.
Bisognerebbe poter dire “Mangiate la nostra pasta, se vi piace, e vivete come vi pare!”, non che si deve condividere anche la “comunicazione” di chi quella pasta la produce.
Il mio “obbligo” verso la Barilla finisce nel momento in cui io alla cassa pago la mia confezione di spaghetti o di rigatoni. Se ho una famiglia di tipo tradizionale, gay, se vivo da solo, se la compro per regalarla alla Caritas che la cucina per i poveri della mensa, sono esclusivamente cazzi miei.

Ho vissuto per quattro anni da single. Compravo un formato di pasta Barilla perché mi era comodo e mi piaceva. Cosa dovrei fare, sentirmi in colpa perché non soddisfacevo i requisiti dei loro spot e non c’era una donna in casa mia che avesse un ruolo fondamentale?

La frase “facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri” implica che gli omosessuali possono sì fare quello che vogliono, PURCHE’ non disturbino gli altri. Ed è il “purché” che manca.
Sono le litanie di sempre: “Vai pure fuori a giocare ma non fare rumore”, “ti compro quello che vuoi purché tu mi lasci in pace”, “ti compro la casa per conto tuo purché tu non sposi quello lì” e viandare.

Già, ma dove comincia il “disturbo”? Avete presente quegli scemi che dicono “la tua libertà finisce dove comincia la mia” e non si sa bene dove sia la loro libertà? C’è un cartello? Che ne so, “inizio zona libertà altrui”
Il “disturbo” comincia quando si cominciano ad urtare non i sacrosanti diritti di ognuno ma la sua suscettibilità e sensibilità individuali.
Allora siccome credo nella famiglia di tipo tradizionale tu che sei omosessuale intanto sì, va beh, ti puoi anche sposare, se vuoi, ma i figli no, prima di tutto perché io credo che in una famiglia omosessuale sia molto complesso tirarne su, anche se non ho mai vissuto in una famiglia omosessuale, ma soprattutto perché una famiglia omosessuale con figli va a cozzare contro quel modello di famiglia che io diffondo nei miei spot ed è QUESTO che mi dà fastidio.
Perché poi la gente si accorgerebbe che esistono anche altri modelli familiari e il mio prodotto magari non lo compra più, e invece così  decide di boicottarlo e non lo compra più lo stesso, non fa una grinza.

E, comunque, si vede che il nucleo familiare ideale è quello “sacrale” di un fornaio che fa i biscotti e che parla con una gallina.

Nel dubbio posso dirvi che la pasta del discount che frequento (che vende anche prodotti Barilla, beninteso), il Penny Market, è buona, tiene bene la cottura, resta al dente, costa poco e mi pulisce anche il water.

Se poi avete ospiti o volete regalarvi dei minuti di piacere intenso, quasi orgasmico, Pasta Verrigni e andate sul sicuro.

Ho detto.

Brodo di carne di manzo, gallina e cappone

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S’have a sapere, cari lettori gagaroni e lettrici smaliziate, che non c’è festa di Natività di Nostro Signore senza che al desinare, o la sera se preferite mantenervi leggerini, non sia servito il brodo.
Invero fan festa i pistacchi, le noci, le mandorle, i pandori, i panettoni e i salmoni, i capponi, i tortelloni e i canestroni et financo le rotture di coglioni, ci sono anche i panzerotti, i Pernigotti, gli sgonfiotti, i fagioli borlotti sì però ora ce li hai rotti, ma come il brodo non c’è nulla che faccia Natale (o Ceppo, come dicono a Livorno).

Il brodo lo potete arricchire di tortellini, cappelletti o, comunque, pasta all’uovo e ripiena, oppure berlo solo  a mo’ di consommé, gradito a’ succhi gastrici e adatto in ispecie agl’istomaci deboli che devono ingurgitar successivamente coteghini e lenticchie o faraone farcite come fossero cucchiajate di semolito scondito.

Ordunque si faccia il brodo e lo si nobiliti come segue.

Si pigli un po’ di biancostato e uno spicchio di punta di petto coll’ossetto, la cartilagine e tutto, poi ci si faccia dare dal macellajo rincorbellito un pezzo di ginocchio di vitella, sissignori, il ginocchio di vitella è ossàme saporoso, ricco e addensante, sàppiasi che il brodo di solo ginocchio e zampa di bestia fa assai bene a’ bimbi piccini e alla loro ossatura, almeno me lo disse il dottor Graziani quand’ero piccino e rischiavo di crescer rachitico, poi so assai io.
Si aggiunga al tutto un quarto di gallina o anche più, e se l’avete un bel pezzo di cappone che male non ci sta, e te buttalo anche via il cappone con questi chiari di luna.

Infilate il tutto in una pentola capiente, arricchite di cipolla, carota, sedano quanto basta, io ci metto anche qualche grano di pepe nero che poi m’arrammentate com’è bono, se vi piace odoroso potete aggiungervi un bouquet garni di odori supplementari, tra cui il timo, ma occhio a non esagerare, chè il brodo ha da saper di ciccia.

Coprite il tutto con abbondante acqua fredda, anche tre o quattro dita al di sopra del livello del carnazzàme, ma diaccia stecchita, mi raccomando, poi ficcate il pentolone ben coperto cor un tèsto (livornese per "coperchio") sul fuoco che ha da esser l-e-n-t-o come le dimissioni del ministro Bondi, di modo che cominci a bollire in tempo un par d’orette e tolga i sughi al carnàio nonché ne sciolga i grassi che dàn sapore. Più lo lasciate bollire e meglio è, mantenetelo a fuoco assai basso e quasi impercettibile (perché il metano costa assai e voi siete degl’isciuponi sciagurati!) anche per quattro o cinque ore, vedrete che il liquido si ritirerà in modo trascurabile assumendo un bel color brunastro che spanderà fin negli anfratti della vostra magione il grato odor di sedano bollito sfatto e sfilato.

Ispegnete e se avete una nottata a disposizione lasciate raffreddare paulatinamente sul terrazzo o sul balcone chè tanto a Natale fa freddo e non va a male nulla. L’indomani troverete un’ispessa coltre di grasso rappreso galleggiare per la superficie del pentolàme, questo sarebbe tutto il colesterolo che se non foste stati accorti e non aveste seguito le mie impartiture vi sareste ritravati in giro per le arterie, cari i miei tontoloni, invece lo caccerete con una schiumarola di modo che il brodo si smagri e voi lo buttiate in quel posto ai triglicèridi.

Fate riscaldare e sobbollire (la mi’ nonna Angiolina diceva che il brodo ha da fare "blob"… "blob") di nuovo per un’oretta, dopodiché lo filtrerete de’ filamenti, delle verzure e degli ossetti in un altro tegame (rigorosamente e obbligatoriamente di Vostra Madre), cui aggiungerete i cappelletti o quel che vi piace di più e finalmente la smetterete di calpestarmi le gònadi colla ricetta del brodo, ecco.