La pace non è marcia

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Durante il mio servizio civile (sì, perché ho fatto anche il servizio civile) alla Caritas Diocesana di Livorno, arrivò l’ordine del responsabile che tutti gli obiettori in servizio DOVEVANO partecipare alla marcia della pace di Assisi. Punto. E’ un ordine. E’ incredibile come uomini che si suppongono di pace, che gestiscono persone che hanno disobbedito allo Stato rifiutandosi di fare il servizio militare per dare il loro tempo al prossimo e alle realtà locali, poi alla fine si ritrovino a parlare con toni militareschi e ad usare sinistre frasi come “E’ un ordine!”

Io decisi di disobbedire. Pensai che ero più utile alla causa della pace facendo da mangiare a una vecchietta con una serie infinita di malanni piuttosto che ad andare a vescicarmi i piedi per una marcia di chilometri. E quindi non andai. Il capo si incazzò moltissimo e mi punì trattenendosi la diaria di ben 4250 lire di allora.

Non lo so, la marcia della pace di Assisi è sempre stata un mistero per me. Non ho mai capito perché persone di ogni estrazione sociale e religiosa si riuniscano e abbiano bisogno, per far vedere al mondo quanto tengano ai valori della pace, di scarpinarsi chilometri e chilometri cantando e suonando con le chitarre al seguito, nella terra che fu di Francesco d’Assisi. No, non lo capisco. Non capisco perché sia necessario farsi del male per forza: oltre a camminare con le cipolle ai piedi per la pace qual è la colpa da espiare? E non è meglio, in nome della pace, che so, dare una mano alla vicina in situazione di bisogno, andare a trovare un amico o un parente ricoverato in ospedale, far pace con la propria moglie con cui si è litigato, mandare una e-mail a Obama e consigliarlo di restituire il Premio Nobel per la Pace che continua ingiustamente a detenere bombardando qui e là, agire, insomma, nel piccolo e secondo le misure delle proprie possibilità.

La pace è questo, nient’altro, saranno magari concetti che sanno di neocattolicesimo spicciolo, ma sono cose che si possono fare hic et nunc, senza svegliarsi ad ore antelucane per essere a Perugia in orario premattutino e andare ad Assisi a piedi per sentirsi lanciare contro le imprecazioni degli automobilisti. E’ una visione molto cattolica del problema: perché quello che facciamo abbia efficacia bisogna per forza soffrire. Se non si soffre quello che facciamo non ha valore. I cattolici non riescono a concepire la felicità, anzi, ne hanno una profonda e fottutissima paura.

4250 lire per sfuggire a tutto questo furono un ottimo prezzo.

La Presidente dell’anticamera

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Il Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, ha fatto anticamera prima di essere ricevuta dal Presidente Laura Boldrini, che si intratteneva con i suoi collaboratori più stretti mentre l’illustre ospite ha dato un’occhiatina all’orologio in un salottino di Montecitorio.

Non si fa fare anticamera alla Pace. Non si fa fare anticamera a una persona che è stata agli arresti domiciliari per vent’anni. I giornali parlano di pochi minuti di attesa, altri di attesa interminabile. Ma cosa importa? Questa donna ha molto da insegnarci (ma, più che altro, siamo noi che abbiamo tanto da apprendere) e la si lascia lì in un salottino ad aspettare?? Una donnina così tranquilla, che parla di diritti umani?? Ma cosa c’è di più importante da fare?

Non lo si sa, non lo si saprà mai. A questa domanda non-risponde che il linguaggio secco della politica attraverso Twitter:

Se Papa Francesco andrà in visita alla Camera ditegli pure di arrivare con una decina di minuti abbondanti di comporto.

Wikipedia e Rigoberta Menchú senza accento

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Ieri, per scrivere l’articolo su Obama Premio Nobel per la pace che movimenta le navi nel Mediterraneo orientale, ho avuto bisogno di consultare la pagina di Wikipedia che contiene la lista cronologica delle persone che hanno ricevuto l’ambito riconoscimento.

Nel 1992 lo vinse la guatemalteca Rigoberta Menchú Tum. Ora, “Menchú” si scrive proprio con l’accento acuto. Ma nella pagina non ce n’è traccia (mentre invece è scritto correttamente nella voce a cui il link rimanda, non vanno nemmeno a guardare quello che scrivono…). La cosa buffa è che il nome storpiato della Menchú viene poco dopo quello di Michail Sergeevič Gorbačëv (Giorbaciov per gli amici) in cui i nostri hanno fatto uno sforzo sovrumano per traslitterare dal cirillico.

Cosa costava un accento acuto? ALT + 163, e via.

Come sempre documento l’errore con lo screenshot e la versione PDF fornita dalla stessa Wikipedia e aspetto di vedere quando lo correggeranno.

Vincitori-del-Nobel-per-la-pace-(cronologico)

Le navi da guerra del Premio Nobel per la Pace

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Il Premio Nobel per la Pace Barack Obama sta inviando delle navi da guerra nel Mediterraneo orientale, al largo della Siria.

Le sta solo “muovendo”, per il momento. Nulla di più. Per l’attacco è necessario il via libera delle Nazioni Unite.

Ma il diritto internazionale non è rassicurante sulle reali intenzioni degli Stati Uniti, che potrebbero aggiungere morti a morti, guerra a guerra e distruzione su distruzione in un paese martoriato e allo stremo delle forze.

E non sarebbe, comunque, la prima volta che gli Stati Uniti agiscono anche senza il mandato dell’ONU, la guerra aerea in Kosovo è un precedente che pesa come un macigno.

Fatto sta che gli Stati Uniti hanno un presidente cui è stato conferito il Premio Nobel per la pace e che ben che vada si diverte a spostare le navi da un punto all’altro della Terra come se stesse giocando a Risiko.
E’ come vedere Madre Teresa di Calcutta che imbraccia un fucile, Gorbaciov col kalasnikov in mano, il Dalai Lama con la sicura di una bomba a mano fra i denti, Albert Schweizer che manovra un cannone a lunga gittata.

Dimenticandosi che la pace, quando è pace, agisce con gli strumenti della pace. La pace è lingua di se stessa. La guerra non spiegherà alle famiglie dei morti in Siria che cosa è successo. Soltanto che qualcuno, un giorno, si è svegliato e ha avuto voglia di giocare con i soldatini.

Liberata Aung San Suu Kyi. Un altro Premio Nobel per la pace resta in carcere

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Mi sia permesso gioire, ma gioire il minimo indispensabile, per la liberazione di Aun San Suu Kyi dopo una detenzione di 15 anni che le ha solcato il viso ma non l’anima e, spero, men che meno le idee.

Un altro Premio Nobel per la pace è rinchiuso nelle carceri cinesi a motivo delle sue opinioni, e sol oquesto fa sì che la gioia non possa essere completa.

A maggior ragione, occorrerebbe essere un pochino meno inclini agli eccessi, considerato che gli oppositori ideologici dei regimi di ogni tempo, colore e paese, sono sempre stati reclusi senza troppi complimenti, e per uno che viene liberato, troppi restano in carcere.

O, almeno, abbastanza da non farci distrarre.