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Montalbano sautò due a due i gradini della porta del Commissariato di Vigàta. Era arraggiato nìvuro. Adelina, non si sapi per quali scanosciuto motivo, a matino non era arrivinuta a farci il café, e lui si era arrisbigliato con un nirbuso che gli faceva girare i cabasisi.
Montalbano trasì e s’addiresse direttamenti verso il gabbiotto di Catarella.
“Catarella…. Cataré…!! Chiossà unni minchia si è stracatafuttuto. Catarella….”
“Ah, dottori dottori… ah dottori dottori… ah dottori dottori….”
Quando Catarella diceva per più di due volte “Ah dottori dottori…” erano duluri assà’. Quando apparve a Montalbano gli arrissimbiò sudatizzo e malatazzo, come se gli fosse andata in facci ‘na sicchiata d’acqua gelida.
“Che è successo Catarella??”
“Ah, dottori dottori…” (ed erano quattro) “…una disgrazia disgraziata! Una catastrofi inimmaginifica, una malasorti! Il dottori Augiello fu Domenico detto Mimì…”
“Che gli succediu”?
“Morì… cioè, morse!”
Montalbano arriflittì un momento e apprezzò la preziosa sintesi di stampo alfieriano del suo sottoposto.
“Cataré’, ma che minchia stai dicendo… ma se aieri assìra se ne stava spaparanzato tra le vrazza d’una bella fimmina… vuoi dire forse che Beba lo ha accoltellato per vinditta?”
“Nònsi dottori, forsi la signora Beba due curtiddrate ce le avrebbe date volentieri di buon grado a quel fimminaro, ma ammatino stava accuricato nel suo letto e non s’arrisbigliò…”
“Ma è una cosa tremenda… chiamami subito Fazio!”
“Impossibbili dottori. Il dottori Fazio non attrovasi in loco imperocché anche lui, mischineddro, morse. Cioè murìu…”
“Cataré’, ma che è successo, è uno dei miei soliti sogni che mi tormentano??”
“Nossignuri, dottori, è la rialtà riali e concreta. Un’ecatombi mai vista nè sintuta!!”
Va bene, senti, chiamami Livia al tilèfono.
“Io non ce lo chiamo il signori Allivia”.
“Cataré’, ma ti sei rimminchionito tutto d’un colpo? Chiamami Livia a Boccadasse.”
“Ah, dici la so’ zita? Non arrisulta possibbili in quanto anch’ella defunse e attròvasi morta cadavere putrescente. Ah, dottori, dottori…”
Montalbano sinni stitti quàlichi minuto assittato su una seggia a riflettere se fosse tutto vero o se fosse invece lui e non Catarella ad essersi rimminchionito.
“Catarella, ma tu stai bene, almeno??”
“Tanticchia, dottori. Ma a sera sarò defunto macari iu. E pure vossia. ‘Ccà non c’è più nuddru, dottori. Il dottori Pasquano, Galluzzo, Adelina, la signura Ingrid, bonànima… non potrà manciari nemmeno da Enzo, che attròvasi allittato in punto di addiventare macari iddru catàfero sticchito.”
Ma che era, la rubrica dei necrologi di Televigàta? Montalbano s’arricordò per un momento di “Pinocchio”, quando il burattino va alla casa della Fata dai capelli turchini, e trova tutti morti. Ma non era cascione di fare troppi riferimenti littirari.
Gli vinni una fitta gelida al vrazzo mancino, come un principio di sintòmo.
“Egli è -riprese Catarella come avrebbe detto lo stesso Collodi- che il Maestro e Dottori e Profissori Andrea Camilleri, detto Nené, nato a Vigàta il 6 settembri 1925…”
“Catarella, non ti mettere a fare l’ufficiale d’anagrafe come il compianto Fazio, vieni al busìllisi!!”
“Egli in quanto lui, dottori, ha smesso di sognare a tutti quanti noiàutri. E noiàutri, in quanto frutto della so’ criazione, che sarebbi la fantasia stessa di lui medesimo, non esistiamo più! E io sono rimasto assùlo a guardare il commissariato in attesa che addivenisse vossia pirsonalmente di pirsona.”
Montalbano gli asciugò una lacrima furtiva.
Poi niscì. Sentiva il bisogno di fàrisi la solita passiata molo molo, ma tanto a casa non avrebbi attruvato nenti da manciari nè per il jorno nè per la sira. Tanto valiva arricarsi al vicino ufficio postali, dove Montalbano si fece dare un modulo per un tiligramma. Scrisse con grafia tremolante: “All’editore Sellerio – Palermo”. Pensò tanticchia e poi vergò sulla carta poche righe: “Si è compiuta la vita del Maestro Camilleri. Sono morto. Con deferenza, Salvo Montalbano”.
Pruì il modulo alla impiegata. Pagò con gli ultimi spiccioli rimastigli in tasca e si allontanò a passi sempre più incerti verso la casa di Marinella dove qualcuno lo vitti trasire, ma nuddru lo vitti nèsciri nelle ore successive.”
“Aveva un che di precursore”, dissi l’editore Sellerio, archiviando definitivamente il telegramma che gli avevano consegnato.