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L’audiocassetta è arrivata a compiere 50 anni. E infatti l’hanno messa fuori produzione. Capirete, una tecnologia che riesce a superare indenne il tempo diventa pericolosa.
Io ho 49 anni e aspetto la rottamazione, renziana o no che sia.
Chi non ha vissuto l’audiocassetta non si può dire che abbia vissuto a pieno, considerata la variabilità e l’estensione dei suoi significati affettivi.
L’audiocassetta, prima di tutto, si girava. Sissignori, c’era un “Lato A” e un “Lato B”. Si ascoltava la musica che vi era incisa ma con respiro. Dopo un certo tempo il nastro finiva e uno si doveva alzare, qualunque cosa stesse facendo, per girare la cassetta e continuare ad ascoltare. Magari in quel frattempo poteva anche decidere che si era rotto i coglioni di ascoltare musica o che il gioco non valeva la candela.
Se compravi la versione in cassetta di un LP, il “Lato A” e il “Lato B” corrispondevano esattamente a quelli del disco. La cassetta costava di meno del vinile, e potevi andartene soddisfatto del tuo acquisto in negozio, senza la sensazione di aver fatto una figura barbina da poveraccio.
Oggi il “Lato B” è una espressione truce e volgare per indicare il culo delle donne. Che farci? L’indisponibilità di una tecnologia ci ha appiattiti.
Le cassette esistevano da svariate durate, tutte regolarmente indicate in minuti e precedute dal segno “C”. Che non ho mai capito cosa cazzo significasse, probabilmente “Capacity”, ma non ne sono sicuro. Una C60 durava un’ora (due facciate da 30 minuti l’una), una C90 un’ora e mezza, una C120 due ore, me era sempre bene fermarsi alla C90 perché usare un nastro troppo sottile e pesante (la TDK aveva prodotto la C180, ma io non l’ho mai vista) rischiava di esporci alla fuoriuscita del medesimo che si andava ad aggrovigliare sulle testine (soprattutto quelle del “mangianastri” -che non a caso di chiamava così!- della macchina) rendendo indispensabile la sua recisione e l’abbandono della cassetta in qualche fossato lungo la nazionale quando andava bene, mentre se il proprietario si era incazzato, nastro, viti, parti in plastica e rotelline finivano a rimbalzare sull’autostrada creando un meraviglioso effetto yo-yo.
Le cassette erano di varie marche. Io facevo il tifo per la TDK, ma c’erano anche la Maxell, la Ampex, la Sony, la Basf e chi più ne ha più ne metta. Le marche delle cassette erano un po’ come le squadre di calcio, ognuna aveva i suoi fans. Si facevano discussioni infinite sul fatto che le cassette al ferro sputassero l’ossido e sporcassero le testine (allora ti ci voleva la famosa cassetta puliscitestine, ma anche un CottonFioc a secco andava perfettamente bene) mentre quelle al cromo erano di gran lunga migliori, ma costavano una cifra e allora quando te le potevi permettere le compravi ma la maggior parte delle volte no. Inaccessibili quelle al biossido di cromo, che uno si domandava cosa cazzo dovesse avere questo biossido di cromo di così caro per costare tutti quei soldi lì.
Ma le cassette servivano, soprattutto, per far la corte alle ragazze. Il più delle volte era il maschio ad andare dalla ragazza a dire “Ti faccio una cassetta, se vuoi” (tradotto: “Ti farei la festa qui, subito!!”), ma capitava non raramente che anche la ragazza si facesse avanti e dicesse “Mi fai una cassetta?” (tradotto: “Mi piaci un pochino ma ho deciso di fartela sudare”).
“Fare una cassetta” significava registrare una compilation dei brani più significativi di un cantante o di un gruppo. Ma anche una compilation di brani tout-cout.
L’abilità dell’ars amatoria consisteva in primo luogo nell’azzeccare il brano di introduzione. Cioè quello che apriva il lato A. Quello doveva conquistare il cuore della druda. Se no non c’eran versi, la fanciulla spegneva il suo riproduttore e si stava come d’autunno sugli alberi le foglie.
Comunque sia, prima di consegnarla in dono all’amato bene, bisognava privare la cassetta di due linguelle superiori, che potevano favorirne la cancellazione accidentale. Perché un rifiuto sì, ma il sangue del nostro sangue inutilmente versato, quello proprio non si poteva accettare.
Non so quante cassette di Guccini ho registrato. Tutte cominciavano con “Canzone per un’amica”. Un po’ perché era lui a cominciare in questo modo i suoi concerti, un po’ perché sembrava una canzone allegra pur non essendolo. Non potevo schiaffarci “Canzone quasi d’amore” così d’acchito, perché una che si sente dire “Non starò più a cercare parole che non trovo/per dirti cose vecchie con il vestito nuovo” ti spara direttamente. Però anche “Lunga e diritta correva la strada” non prometteva nulla di buono.
Le cassette hanno compiuto 50 anni che sono già morte. In fondo è come festeggiare il compleanno di Marilyn Monroe. O di John Lennon. Solo che non ci sono più, e un pezzo di noi con loro.