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Il compagno R., nel giustificare il contingentamento dei tempi di dibattito al Senato sulla riforma che porta il nome dell’illustre costituzionalista Maria Elena Boschi, ha parlato di una disgrazia cosmica da sventare, quella della “dittatura della minoranza”.
Da che mondo è mondo in un regime democratico (cioè non nel nostro, che è regime tout-court) l’esistenza di una minoranza, magari frammentata in varie correnti politiche, diverse per ispirazione e per finalità, minoranza che si dovrebbe chiamare più propriamente “opposizione” (perché i gruppi politici non si considerano per i numeri che portano, ma per la finalità istituzionale che hanno) è da sempre sinonimo di garanzia e di pluralismo. Parlare di “dittatura della minoranza” è una chiara contraddizione in termini. La dittatura, se mai, la farebbe la maggioranza se l’opposizione non esistesse e se non esistessero regole certe che regolano il dibattito parlamentare.
Ma queste regole certe ci sono. C’è l’articolo 72 della Costituzione che recita: “La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.”
Finito, non c’è discussione. Non ci sono “tagliole” o regolamenti parlamentari che tengano. Il regolamento del Senato quando istituisce la cosiddetta “tagliola” non è anticostituzionale, come asserisce Travaglio sul “Fatto Quotidiano” di oggi. E’ semplicemente inapplicabile quando si tratta di disegni di legge in materia costituzionale.
E’ uno scippo di democrazia di bassa lega quello perpetrato con la scusa di poter andare tutti in vacanza dopo l’8 agosto (diàmine, non si possono mica disdire il secchiello, la paletta e le formine per far contenta la Costituzione!).
La Boschi dice che, comunque, si passerà per un referendum confermativo. Non vedo l’ora di mandarli a casa!