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Nun me guarda’
stuorte pecche’
momentaneamente
nun sto’ vicino a te
sto’ cu l’amice
e cu l’amice
io faccio ‘o show.
(Arbore – Mattone)
C’era qualcosa che non mi tornava nell’affaire Brunetta-Fazio.
Sono stato a rimuginarci per giorni (o minutini!) per arrivare al capo di quello che non mi scendeva per il gargarozzo delle prevedibilissime domande di Brunetta, e delle altrettato prevedibili risposte del presentatore di “Che tempo che fa?”
Ed è qualcosa che va ben oltre il pur lauto compenso contrattuale che Fazio non ha fatto conoscere per inesistenti “motivi di privacy” (non si capisce bene se dell’azienda o sua), giacché le dichiarazioni dei redditi di chiunque sono pubbliche (sì, anche le mie, anche le vostre -inutile che facciate quelle espressioni di disappunto-, anche quelle di Fazio).
Fazio, che, non bisogna dimenticarlo, è stato definito da Gubitosi come “non un costo ma una fonte di profitto”, ci ha tenuto a precisare a Brunetta che la sua trasmissione è interamente pagata dalla pubblicità.
Che è un autogol clamoroso.
Perché a me non me ne frega niente se i ritorni pubblicitari coprono i costi di quello che fai. Mi devi dire che il tuo programma, con le varie interviste alla Boldrini, a Jovanotti, allo stesso Brunetta, a Roberto Saviano, a chi ti pare sono servizio pubblico di interesse collettivo. Allora, visto che lo sono, non mi ci metti la pubblicità, perché io non voglio che una libera opinione venga condizionata da un pannolino, un’automobile, una marca di crackers.
Poi se vuoi farmi credere che i cinguettii di Massimo Gramellini o le Jolande e i Walter della Littizzetto siano anch’essi servizio pubblico, mi dispiace ma non ci siamo.
Un servizio di pubblico interesse me lo offri a costo zero sia che tu abbia la pubblicità a farti da stampella, sia che quella trasmissione te la guardino in quattro o cinque. E’ servizio pubblico e basta.
E se facessi servizio pubblico veramente potresti essere pagato dal canone degli utenti e guadagnare anche una cifretta un po’ più ragionevole, che male non ti fa.