Repubblica, Paola Mastrocola, il Cardinal Bagnasco e Roberto Vecchioni sulle ceneri della scuola pubblica

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Devo premettere che non mi diverto più a parlare di scuola.

Anzi, è un’attività che mi avvilisce, mi deprime, mi fa avvertire un senso di vuoto e io ho, notoriamente, una sensibilità esacerbata nei confronti dell’"horror vacui".

Per questo avrei voluto stendere un velo pietoso sulle recenti esternazioni del Presidente del Consiglio in materia di scuola pubblica. Non foss’altro che per il fatto che usare per due volte il verbo "inculcare" nel giro di mezzo minuto, e, per di più, riferito ai valori da trasmettere a chi verrà dopo di noi, mi sembra quanto meno lessicalmente ed educativamente inopportuno.

Ecco il punto, le esternazioni del Presidente del Consiglio avrebbero dovuto essere lasciate lì, lettera morta, sarebbe stato necessario parlare di altro, con tutto lo strascichìo di "sono stato frainteso" che è seguito alle dichiarazioni pubbliche del Premier e che hanno contribuito a gettare benzina sul fuoco.

La scuola pubblica è una spina del fianco del governo, un maledetto callo, un occhio di pernice che fa vedere le stelle.

E non è un caso che di tutte le riforme e di tutti i progetti faraonici ed epocali dell’esecutivo, la riforma della scuola e dell’università sia l’unica ad essere stata completata.
"Completata" vuol dire "che ha concluso il suo iter, parlamentare ed applicativo".
La riforma della scuola è cosa fatta e capo ha.
E’ un work in progress, qualcosa che non attiene alla volontà dei politici, ma che appartiene alla realtà fattuale.
C’è, e non è che si possa negare, è un dato di fatto, tutto quello che era dibattito, possibilità di contestare,  emendare, protestare, contribuire è passato.
La scuola e l’università, che ci piacciano o no, adesso ce le teniamo così come sono.

E’ a dir poco imbarazzante e pretestuosa l’ennesima iniziativa plebiscitaria di "Repubblica" denominata "Io difendo la scuola".
Costituisce una ferita mortale nei confronti di chi nella scuola pubblica, ormai ridotta al lumicino, continua a lavorare (come può, certo).

Ci sono "oltre duemila interventi". Che è una inezia. Sia paragonata al numero di lavoratori della scuola e delle università pubbliche (dirigenti scolastici, regionali, provinciali, insegnanti, bidelli, segreterie), sia all’impatto sull’opinione pubblica, che di "indignati" dovrebbe averne, se non altro per questioni di mera proporzione, molti ma molti di più.

E "Repubblica", come ogni buon oste che decanta il suo vino, pensa perfino di aver raggiunto pienamente il suo scopo.

E da chi sarebbe rappresentato, secondo Lorsignori, lo zoccolo duro di questi strenui difensori della scuola pubblica?

Il primo è il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Bagnasco, che afferma "Ci sta a cuore la formazione, a tutti i livelli".
Certo, è facile dire che si è dalla parte dell’istruzione, sia che venga dalla scuola pubblica che da quella privata se la scuola privata (e in particolare quella di stampo religioso ed ecclesiastico) ha ricevuto finanziamenti a pioggia mentre nella scuola pubblica le fotocopiatrici esalano l’ultimo respiro e basta che un docente si ammali per dieci giorni per mandare in tilt un sistema (perché i supplenti ci sono, sono i soldi che non ci sono, quindi i supplenti non vengono pagati).

La seconda personalità tirata in ballo è Paola Mastrocola.
Paola Mastrocola è l’autrice, tra gli altri, di un libro ultimamente piuttosto citato in certi ambienti radical-chic di sinistra.
Si tratta di "Togliamo il disturbo – Saggio sulla libertà di non studiare".
Non l’ho letto, vi avverto. Un po’ perché il mondo della scuola, a partire dal libro "Cuore" è pieno di letteratura che ormai il genere risulta completamente inflazionato. Un po’ perché penso che si possa leggere altro, e la mia vita sarà troppo breve per permettermi il lusso di leggere un "saggio" che nello stesso titolo rivendica una non ben meglio identificata, ma terrificante, "libertà di non studiare".

Scrive la Mastrocola:

"(…)
è la mia personale preghiera ai giovani, perché scelgano loro, in prima persona, la vita che vorranno, ignorando ogni pressione, sociale e soprattutto familiare. E perché, in un mondo che li vezzeggia, li compatisce, e ne alimenta ogni giorno il vittimismo, essi con un gesto coraggioso e rivoluzionario si riprendano la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant’anni ci governano e ci opprimono."

Sono frasi che fanno gelare il sangue, perché considerare lo studio un optional, un qualcosa di cui, in nome di un momento di resa sociale, si può anche fare a meno, e considerare la libertà di non studiare un’opportunità e non una sconfitta, anzi, l’espressione di un sovvertimento di "insopportabili luoghi comuni" è esattamente il contrario di quello cui una società civile dovrebbe tendere.
Studiare è un luogo comune? La cultura, la conoscenza, il sapere sono un’oppressione a cui si può dire ancora di no?
Possiamo permetterci questo lusso e spacciarlo come libertà?
Per la Mastrocola parrebbe proprio di sì, e sembra che la gente le creda, a giudicare dagli applausi che riceve a "Che tempo che fa", trasmissione di pertinenza Mediaset.
Vedere operatori della scuola pubblica (Paola Mastrocola insegna in un Liceo Scientifico di Chieri)  sostenere tesi di questo genere e prestare il loro nome in testa alle iniziative di difesa della scuola pubblica dovrebbe fare indignare.
Ma tanto non s’indigna nessuno.
Anzi, il libro della Mastrocola è uno dei più venduti.

Poi c’è Roberto Vecchioni. Anche lui non se lo sono voluti far mancare.
Sulle esternazioni di un "professore" che si è laureato in un’Università privata (la "Cattolica" di Milano), che ha avuto tra i suoi allievi Paola Iezzi del premiatissimo duo Paola e Chiara (eh, va beh!), che ha scritto le musiche e le canzoni di "Barbapapà", che pochi mesi prima di vincere il festival di Sanremo del 2011 (ma ci provava dal 1968, quando scrisse il brano "Sera" per Gigliola Cinquetti) partecipa ad un incontro dei giovani dell’Azione Cattolica
(nientemeno!) non mi pronuncio.
Dico solo che uno che vende milioni di dischi non può fare da portabandiera di una iniziativa del genere non perché non sia suo preciso diritto aderire a ciò che vuole, ma perché ai miei occhi è infinitamente meno credibile di un insegnante, magari precario, che ogni giorno, senza mai aver venduto un cazzo, va in trincea per 1200 euro al mese quando va di lusso e diventa il primo bersaglio del tiro incrociato della polemica sulla scuola.

Compreso quello portato avanti dalla pseudo-opposizione, che sostiene "Con i tagli la volete uccidere".
Bersani e i suoi non hanno ancora capito che la scuola pubblica italiana è già stata uccisa, e che solo oggi ne scoprono il cadavere in avanzato stato di decomposizione!

Ora basta parlare di scuola.