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Qualcuno mi ha chiesto che cosa io ne pensi del caso di Lavinia Flavia Cassaro, l’insegnante di Torino che ha insultato i poliziotti posti a guardia della manifestazione di Casapound. Cosa volete che vi dica? Che credo nello stato di diritto, per cui se ci sono reati deve essere indagata (e lo è già), i fatti accertati e perseguiti, condannata se colpevole, assolta se i fatti non costituiscono reato. Quanto al licenziamento ci sono leggi e regole precise, se il caso ci ricade va allontanata, se no deve essere mantenuta, anche se non ci piace quello che ha detto.
E’ talmente lampante che mi vergogno persino a scriverlo. Eppure si dà il caso che ieri, sul periodico online torinotoday.it sia apparsa la notizia dell’esistenza di una petizione a favore del licenziamento della Cassaro, lanciata su Facebook.
Non ho voglia di andare su Facebook a vedere cosa sia successo (“non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade”, diceva il poeta) ma mi preoccupa non poco questo linciaggio telematico, questa voglia di darle addosso a tutti i costi e di decidere al posto di chi deve decidere. Leggo sigle di partitini (la cui esistenza mi sconvolge un po’ l’animo) a sostegno di questa iniziativa e no, non si viene licenziati perché lo vuole la gente, altrimenti il web sarebbe pieno di petizioni. E una volta che uno ha “firmato”, lasciando un segno digitale sulla home page dell’iniziativa, a chi vanno consegnate le firme? Ai magistrati?? Una strategia che fa acqua da tutte le parti. Eppure è così, si viene giudicati prima ancora di essere giudicati. E qualcuno dirà che c’è un modo migliore.