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(ammetto che questa ci vuole un po’ a capirla ma che prima o poi ci si riesce)
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“La Madia ha copiato, su questo non c’è il minimo dubbio”. Non sono parole mie, è un virgolettato da una dichiarazione di Roberto Perotti, economista della Bocconi.
Quando il Fatto Quotidiano rivelò la coincidenza di larghi passaggi della tesi di dottorato del ministro Madia con studi e pubblicazioni antecedenti, scrissi solo poche righe. C’era un clima irrespirabile. Minacce di querele e azioni legali per ogni dove. Ricordo che ebbi la malsana idea di scrivere alla Madia che dubitavo fortemente che una eventuale azione legale potesse andare a buon fine. Mi venne addosso mezzo PD. E ora Perozzi è giunto alla conclusione che sì, quel materiale è stato copiato. O citato senza le opportune virgolette. E pensare che io volevo solo dire che copiare non è una bella cosa. Ma ci sono di nuovo minacce di azioni legali, questa volta per risarcimento danni e, quindi, cerco di usare le affermazioni altrui per certificare quello che vorrei affermare io. Sì, lo so, sono un vigliacco. Ma io la mia tesi di laurea l’ho scritta tutta di mio pugno. Ed è logico che non diventerò mai ministro della Pubblica Amministrazione. Anche se la perizia succitata è giunta alla stravagante conclusione che sì, ci sono queste coincidenze, ma che il comportamento non è censurabile visto che l’abitudine di copiare è largamente diffusa quando si tratta di materia economica. Gli economisti (quelli veri) si sono incazzati come iene.
Così fan tutti, insomma. E c’è poco da stupirsi se l’attenzione del pubblico durante il Festival di Sanremo che si è appena concluso sia andata al caso di due interpreti, la cui canzonetta sembrava ricalcata pari pari da un brano presentato sempre a Sanremo anni or sono. Li hanno “sospesi” per una sera. Nel frattempo è stato scoperto che non di copiatura o peggio ancora di plagio si è trattato, ma è stato l’autore dei due brani che ha rielaborato il contenuto del primo per comporre il secondo. Siccome nessuno può copiare da se stesso, allora non si tratta di plagio, nossignori, è semplicemente minestra riscaldata (o amore ridonato che dir si voglia) e, dunque, il brano del 2018 ha vinto il Festival sbaragliando tutti gli altri. Applausi.
Copiano anche quelli del Movimento 5 Stelle. Da un articolo pubblicato su “Il Post”, si evince che “Un’analisi del programma elettorale del Movimento 5 Stelle mostra che molte sue parti – in alcuni casi intere pagine – sono state copiate da altri documenti di tutt’altra natura, senza alcuna indicazione della loro provenienza. Tra le fonti ricopiate ci sono studi scientifici, articoli di giornale, pagine di Wikipedia, oltre a numerosi dossier e documenti prodotti dal Parlamento, in alcuni casi scritti da esponenti di partiti avversari del Movimento 5 Stelle (…)”. E qui ti cascano le braccia. Non solo perché tu il Movimento 5 Stelle l’hai votato e il fatto che abbiano copiato da Wikipedia ti fa ancora girare i coglioni, ma perché non ti saresti mai aspettato che delle idee, in cui tu pure in un passato recente hai creduto, potessero essere espresse con il più bieco dei copia-incolla.
Ormai non c’è più nulla di originale e risalire a chi ha avuto la prima idea di quello che si è scritto e copiato è estremamente arduo. Però copiare si vede che conviene, perché come minimo se copi o se raffazzoni qualcosa o diventi Ministro della P.A., o vinci il Festival di Sanremo, o diventi uno dei partiti più votati d’Italia. Copiare conviene perché non devi fare fatica: cosa ti smazzi a fare se c’è qualcuno che l’ha già fatto prima di te?? Perché redigere qualcosa di nuovo quando hai già tutto pronto in rete? E poco importa se Wikipedia è una porcheriola, andrà più che bene per riempire un foglio in bianco con delle considerazioni su cui poi qualcuno, se del caso dirà qualcosa, ma anche se lo dirà tu te ne fregherai, anzi, minaccerai azioni legali.
E il fatto che lo facciano tutti ti farà dormire sonni tranquilli (meglio di un Valium, guarda…).
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Avrei voluto scrivere, e a lungo, sulla vicenda della tesi di dottorato del Ministro Madia che presenterebbe ampie parti coincidenti o molto simili a quelle di altri studiosi suoi precedenti.
Dicevo, avrei voluto scrivere ogni volta che ci fosse stata qualche novità rispetto a quanto emerso dalla indagine del Fatto Quotidiano, e che mi pare ben documentata, di quelle documentazioni che ti fanno andare “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Avrei voluto farlo ma non l’ho fatto. Perché il tema mi tocca particolarmente e, dato che ho una certa sensibilità al riguardo, ho preferito tacere.
Oggi però un paio di cosette le vorrei dire.
La prima è che il copiare in una tesi di laurea o in un qualsiasi altro lavoro scientifico è un atto riprovevole e contrario a qualsiasi forma di rispetto del lavoro altrui e di decenza accademica. L’unica volta che ho copiato in vita mia fu durante un compito di matematica alle medie. C’era da sommare un quarto più un quarto e il mio compagnuccio scrisse un ottavo. Io, pur molestato dal dubbio, lo ripresi pari pari e la professoressa, che Dio la conservi, mi diede quattro (e fece bene!). E’ fondamentale sapere SEMPRE cosa va dentro e cosa va fuori le virgolette e ande da dove lo si è preso e chi l’ha scritto. Non basta, come si è difesa la Madia, citare quei lavori in bibliografia. Perché in bibliografia metti le opere che hai consultato (e si spera che tu le abbia lette una per una), ma non tutto di quello che hai consultato l’hai citato e il tuo lettore deve sempre avere sott’occhio il percorso che stai facendo, sapere se a parlare sei tu o una tua fonte.
La seconda è che non mi piace per niente la piega che sta assumendo il prosieguo della vicenda. Lo stesso giorno dell’uscita delle 45 slide con la collazione del testo-Madia e del testo originale fatta dal Fatto Quotidiano, la Madia ha annunciato querela. Non so se poi l’abbia anche proposta, come sembra, ma di certo davanti a una mole davvero impressionante -o, se vogliamo essere cauti nel parlare, consistente- di dati non c’è stato un commento che fosse uno che andasse nel merito. Nessuno che abbia detto “Al contrario di quello che afferma il Fatto qui le virgolette ci sono” oppure “qui non è vero che manca la citazione”. No, si è passati subito dalle contestazioni al “Valuteranno i giudici”. Che, per carità, è anche un diritto (come ho scritto quella sera stessa alla Madia via Twitter), ma non permette di dare una risposta alla domanda “Quel lavoro è stato copiato? [e per dare una risposta a questa parte di domanda basta la documentazione messa a disposizione del Fatto]. E se sì con quale grado di mala fede, ma, soprattutto, a quale scopo?”. Sono cose che non sapremo mai.
Fatto sta che proprio quella sera non ce l’ho fatta a tenere i polpastrelli lontani dall’account Twitter della Madia e le ho scritto “Suo diritto ricorrere ai giudici. Ma se dovesse perdere (come credo) la causa, che fa, si dimette? L’articolo mi pare ben documentato.” Tutto lì. Mi hanno risposto dei fan piuttosto incazzati chiedendosi chi mai io fossi per poter presagire che non ci fosse materiale per permettere alla botticelliana di riscattare il suo onore e quello della sua tesi stralciati. LA risposta è semplice. Sono un lettore, ho visto il materiale a corredo degli articoli, mi pare che le accuse siano provate, viviamo in un paese in cui esistono ancora la libertà di espressione, di critica e perfino di satira, la Madia è un personaggio pubblico, quindi quella notizia e quella documentazione sono di pubblico interesse. Mi hanno dato del verme, dell’incompetente, di tutto di più. Ma la cosa più fastidiosa sono stati i continui like e le notifiche dei retweet. Ovviamente non riguardavano il mio intervendo, ma quelli dei miei detrattori, e più detrattori avevo più fili-PD andavano ad insozzarmi la bacheca con i loro “bravo!”, “Oh, sì, come dici bene!!” “No, sei più brava tu!”, “No, guarda, come sei bravo tu non ce ne sono…” E così via.
Ho dovuto togliere il mio intervento per aver espiato la pena (non potevo stare a cancellare centinaia di notifiche, Twitter è uno strumento che serve ad altro!), ma ve ne do contezza in questo post. Almeno tra di noi ci si capisce!
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C’è qualcosa di vecchio e di stantìo nell’ondata buonista e filopiddina seguita alla pubblicazione, da parte del settimanale “Chi”, di alcuni scatti fotografici che ritraevano la Ministro Madia intenta a gustare un gelato. E a montarli, ad arte, in modo da alludere a prestazioni di ben altro genere, complice il titolo “Ci sa fare col gelato”.
Ora sia chiaro, la Ministro Marianna Madia, come chiunque di noi, è libera di mangiarsi un gelato in santa pace e di leccarsi le dita senza che questo debba diventare pretesto per qualcuno per ricamarci sopra a iosa. Ma poi basta così. Perché ciò che, invece, risulta stomachevole, è la pioggia di messaggi di solidarietà che sono piovuti sui social network e su tutto il web in queste ore.
Perché, voglio dire, è “Chi”. E’ roba nazional-popolare, un feuilleton che lo compri oggi, in mezz’ora hai finito di scorrerlo (“leggerlo” mi sembrava un termine eccessivo), lo metti via, ti dimentichi del contenuto e te lo ritrovi nel negozio della parrucchiera o nella sala d’aspetto del medico. E’ un rotocalco che ci campa sul filo del detto e del non detto, del vedo e non vedo, del tocca e non tocca, del c’ero e non c’ero -Di Stefano ora basta!-, cosa pretendevano questi solidali del tweet, che pubblicassero l’opera omnia di Antonio Gramsci in una nuova edizione critica riveduta? O che offrissero ai lettori una copia omaggio dei “Canti” di Leopardi?? O magari un CD con l’integrale delle Ouvertures di Francesco Maria Veracini, che tanto sapete assai voi chi era? Questa è editoria che tira a far ciccia, e per ciccia s’intende carne, viande, meat. Che poi sia vera o costruita non importa.
E allora “Uno schifo”. “Qualcosa di disgustoso”. E la senatrice Laura Puppato: “Solidarietà a Marianna Madia per la squallida e incredibilmente perversa copertina di Chi“. E ancora: “Questo è giornalismo criminale. Inutile, sessista. Non so in che altro modo definirlo” (Pietro Raffa), “Sempre peggio, sempre più giù. Che esempio per i giovani e le donne?” (Noemi Grillo), “Il servizio è talmente becero che non riesco neanche a provare pena verso Signorini. Che schifo” (Francesca Bianchi), “Un giornale non può permettersi di fare servizi come quello fatto sul gelato e la Madia” (Matteo Ornati)
Ma perché, quando la Madia ha snobbato i giornalisti accusandoli di non essere “di rinnovamento” durante la sua passerella alla Leopolda, quello non è disgustoso? E l’operato del governo di cui fa parte, che rifiuta di parlare con le parti sociali e se ne fa anche un vanto, pur di far passare il cosiddetto Jobs Act che detto così sembra il nome di una pratica erotica, per non parlare (ma parliamone per carità) del fatto che gli insegnanti, dopo gli interventi dei governi di destra (cioè degli alleati del PD) dovranno attendere ancora un anno prima di avere gli scatti di anzianità di servizio ai fini economici? E che dire del fatto che un avvocato, solo perché fa parte del Governo, è tra i primi firmatari di un decreto che mina alla base la Costituzione e abolisce il Senato? Se di cose disgustose bisogna parlare, allora c’è solo da dire che ce ne sono di ben peggiori di un servizio fotografico sulla Madia che ciuccia il gelato. Perché io da Signorini me lo aspetto che pubblichi una roba del genere su “Chi” mentre da chi mi governa (che dovrebbe essere migliore di me) non me lo aspetto che mandi avanti un esecutivo in questo modo cialtrone. Non me ne importa nulla della solidarietà della Puppato nei confronti della Madia (che fa parte di quel governo che le sta tirando via la poltrona del Senato da sotto il sedere): è con il popolo italiano che dovrebbe essere equa e solidale. Più della cioccolata dei campesinos boliviani, per Dio! La ministro Madia è un personaggio pubblico, potrebbe stare un po’ più attentina ai paparazzi volanti. Noi siamo privati cittadini, ognuno nel proprio dolore, ogni tanto qualcuno la sera chiude la sua azienda di famiglia e va a buttarsi giù da un cavalcavia perché non ha più di che pagare i debiti e i dipendenti, ma no, macché, ci s’ha da pensare al gelato della Madìa, noi…
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Settembre arriva e con la prima pioggia ci lava anche il cervello. E’ incredibile come con lo sfogliare del calendario ci si formattino le sinapsi per cancellare tutto quello che fino al giorno prima ci sembrava estremamente trendy o, comunque, di un interesse tale da non poterne fare a meno.
Si cominciò con il bikini di Maria Elena Boschi, illustre costituzionalista. Ora ce ne siamo giustamente dimenticati ma fino a una quindicina di giorni fa era di vitale importanza il fatto che la Boschi avesse un bikini e che lo usasse per andare al mare. Abbiamo fatto del marginale una questione di vita, riducendo l’importanza del disfacimento del Senato della Repubblica a quella di un più dozzinale due pezzi da esibire in spiaggia con malcelato orgoglio.
La Ministra Giannini, dal canto suo, si fece beccare in topless. Al rientro dalle vacanze ha cominciato a parlare di eliminazione del precariato e di quella brutta abitudine scolastica che sono le supplenze. Come fare? Facile, si assumono 100.000 precari e il gioco è fatto. Il problema è che 100.000 assunzioni sono una goccia nel mare. Poi i neoassunti li devi anche pagare e la preraffaellita Madia ha già provveduto a congelare gli stipendi della pubblica amministrazione anche per il 2015, perché bambole, non c’è una lira. Quasi quasi era meglio quando c’era il topless.
Ci siamo, poi, del tutto dimenticati di quando la gente si tirava le secchiate d’acqua in capo per aiutare la ricerca sulla SLA. Eppure sarà stato sì e no una settimana fa che la Littizzetto, che non ha mai smesso di bastonarci lo scroto col Walter e la Jolanda ad ogni domenica che Dio mette in terra, prima di farsi l’autodoccia ha sventolato in un video due banconote da 50 euro, e poi si è lamentata che tutto il web le ha sottolineato che per quello che guadagna avrebbe potuto donare un po’ di più, il che, tra l’altro, è anche sacrosanto e vero.
Abbiamo la memoria troppo corta, un pensiero che vola e va. Io ho quasi paura che si perda.