Le bollette dell’acqua e della luce di Concita De Gregorio

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Il 1° febbraio scorso su Twitter è apparso questo sfogo di Concita De Gregorio che recita “Voi, fascisti, mi potete anche sequestrare i conti correnti, impedirmi di pagare l’acqua e la luce, ma non è così che avrete la mia testa e mia voce, poveri illusi. Che ne sapete voi della libertà ”  Che cosa è successo? E, soprattutto, chi sono i “fascisti” che starebbero impedendo (probabilmente schierandosi stile plotone di esecuzione sui gradini dei prefabbricati delle Poste Italiane) alla De Gregorio di recarsi all’ufficio postale (come fanno molti) con le bollette in mano per pagare le utenze di acqua e luce? La soluzione dell’enigma è semplice. I “fascisti” non sono i giudici che l’hanno condannata a pagare un totale piuttosto astronomico di 5 milioni di euro per le cause di risarcimento per diffamazione che la De Gregorio, come direttore responsabile in solido, ha perso contro Dell’Utri, Miccicché, La Russa, Taormina, Previti, Angelucci oltre a Paolo, Silvio e Piersilvio Berlusconi e altri», rosaria la De Gregorio.

Tra questi “altri” c’è anche un certo Stefano Andrini:

«Gentili signori. Chi mi ha sequestrato il conto corrente si chiama Stefano Andrini. Cercate bio. Non è diffamazione, non è penale. Sono cause civili. Pago per l’editore che non c’è. il mio debito personale è saldato. Non lamento per me, denuncio per tutti ».

Non è penale? Indubbiamente no, si tratta di risarcimenti in sede civile. Non è diffamazione? Difficile da dimostrare. Visto che nel 2008 con sentenza immediatamente esecutiva la Corte d’Appello condannava l’Unità a risarcire a Stefano Andrini la somma di 37.000 euro. Sono bastate grossolane sviste (o consapevoli omissioni) quali l’aver riportato su L’Unità di “una condanna a 4 anni e otto mesi per tentato omicidio, una militanza ventennale tra i naziskin romani” per dare ragione a Stefano Andrini dell’evento diffamatorio. E poco importa che Stefano Andrini sia un esponente della destra con un passato specifico e precedenti di natura penale, è stato riabilitato, si tratta di eventi di 20 anni fa e ha diritto ad essere dimenticato per quello che era e ad essere considerato attualmente per quello che è. E se ha ragione ha ragione.

145 azioni legali, dunque. Tutte sulla testa di Concita De Gregorio che ha vinto in primo grado solo otto processi, per un totale di circa un milione e mezzo di euro. Meno di un terzo del valore intero delle cause, per cui le è stata pignorata la casa e, adesso, pare anche il conto corrente. Immagino che un pignoramento debba essere disposto da un giudice. Cosa vuol dire che “Chi mi ha sequestrato il conto corrente si chiama Stefano Andrini?” Se devi pagare devi pagare, le sentenze si rispettano e si rispettano ottemperandovi o impugnandole in appello. Se ci sono almeno tre milioni e mezzo di euro da corrispondere è segno che in quei casi c’è stato chi ha superato la continenza del linguaggio o ha scritto cose false sul conto di terzi. E l’opposizione non si fa così. Non su L’Unità, che è un giornale storico per il quale con ogni probabilità le ceneri di Gramsci si staranno rivoltando nella tomba ammesso e non concesso che sappiano di che morte è morto il quotidiano.

Se vinci 8 processi su 145 azioni legali vuol dire che in linea di massima, quello della diffamazione ha funzionato come un vero e proprio sistema di informazione e, voglio dire, guadagni 2000 euro al mese per fare il direttore di un quotidiano (che non sono molti, ma sono sempre di più di quello che guadagna tanta gente, me compreso), il minimo che tu possa fare è evitare che il tuo sacrosanto e legittimo diritto di critica vada a finire nell’opinabile diritto a diffamare e a trattare sommariamente i fatti e le opinioni. E qui la colpa è senza dubbio di Concita De Gregorio. Che, però, è stata lasciata sola quando è venuto meno l’editore del giornale e la responsabilità è passata ad un altro gruppo (più o meno con le stesse persone). Ma soprattutto è stata lasciata sola dal PD.

Molti le hanno espresso piena solidarietà. Io qualche dubbio me lo conservo ancora.


Aggiornamento del 7/2/2019

Su open.online è apparsa oggi una intervista a Concita De Gregorio sul caso di cui vi ho parlato. La giornalista dichiara, tra l’altro:

“In questi anni ho dovuto pagare per chiunque, ma che mi venga sequestrato il conto per Stefano Andrini è una cosa che non posso tollerare: non voglio dare i miei soldi a uno che ha quasi ammazzato una persona a sprangate. La ricreazione è finita, dobbiamo tutti tornare ai nostri posti di lavoro.” 

Come sarebbe a dire che non vuole dare i suoi soldi a una persona che ha diffamato? Solo perché ha dei precedenti penali?? Non lo decide lei, evidentemente, a chi dare i soldi o no, ma i giudici che le hanno dato torto in appello (la De Gregorio faccia valere la propria ragione in Cassazione, vedremo se qualcuno gliela darà). Non si può dire “io non pago un danno perché la controparte mi sta antipatica”. O, meglio, si può dire. Si può anche fare, ma poi non ci si lamenta che l’ufficiale giudiziario venga a pignorarci la casa, il conto corrente, che si debba andare in giro con i mezzi pubblici anziché con la macchina, che tutto quello che si guadagna venga trattenuto per pagare i debiti di diffamazione.

“Ci tengo a dire che – da direttrice – non ho mai perso una causa penale per diffamazione. Qui parliamo di  cause civili, in cui l’eventuale danno di immagine causato dall’articolo prescinde dall’accertamento della responsabilità penale.”

Nella causa civile si accerta un danno. E se si viene dichiarati colpevoli in sede civile è segno che quel danno è stato provocato da un atto ingiusto. In questo caso la diffamazione. Si accerta un fatto. Non lo si punisce perché quella non è la sede. La giustizia penale è stracolma di querele per diffamazione, il 90% delle quali o va in prescrizione o viene archiviata con le motivazioni più assurde e fantasiose. Probabilmente chi ha citato in giudizio la De Gregorio sapeva che il penale dà poca soddisfazione, mentre in sede civile si va dritti al punto: o un evento si è prodotto o non si è prodotto. Ed è compito di chi cita dimostrare di aver subito un danno (cosa non facile) e convincere il giudice di avere ragione. Quello che importa è che ci sia una “responsabilità”. Penale o non penale non importa. Non siamo qui ad additare la De Gregorio al pubblico ludibrio perché è stata condannata da qualche giudice, ma a dire che ci sono delle sentenze a seguito di procedimenti che dichiarano una chiara responsabilità. Aspettiamo che queste sentenze passino in giudicato e che diventino definitive? Benissimo. Però intanto la controparte si cautela.

Resta la questione della legge n. 47 del 1948 e successive modifiche:

“Stabilisce che in caso di richiesta danni per diffamazione il giornalista, il direttore e l’editore sono responsabili “in solido” per il risarcimento del danno causato, cioè tutti e tre insieme. Significa che ognuno dei tre deve pagare una specifica parte del danno (un terzo a testa, se non specificate diverse percentuali), ma il danneggiato si può rivalere per l’intera cifra su ognuno di loro (per esempio perché solo uno dei tre ha risorse sufficienti a ripagare il danno). Chi paga può a sua volta può rivalersi sugli altri tre per la parte che compete loro.”

“Per esempio, se un tribunale stabilisce che un danneggiato ha diritto a 90 mila euro di rimborsi per un articolo diffamatorio nei suoi confronti, giornalista, editore e direttore sono ciascuno tenuti a pagare 30 mila euro. Ma il danneggiato può chiedere tutti i 90 mila euro al solo direttore del giornale (per esempio perché l’editore nel frattempo è fallito mentre l’autore dell’articolo non è più rintracciabile oppure è nullatenente). Sta poi al direttore del giornale, se ne è in grado, rivalersi sugli altri due affinché paghino “la loro parte”. È questo quello che dal 2015 sta accadendo a De Gregorio. L’editore non esiste più (per colpa del concordato del 2014 e poi del fallimento della nuova società nel 2017), i giornalisti sono spesso irrintracciabili o nullatenenti, e quindi l’unica su cui i querelanti possono rivalersi è rimasta lei. ” (virgolettato tratto da https://www.ilpost.it/2019/02/07/concita-de-gregorio-unita/)

Ma, Dio mio, è legge dello stato dal 1948, non ce la siamo inventata ieri. Va abolita, modificata, censurata, rimodernata? Benissimo, la De Gregorio, a cui certo le conoscenze non mancano, chieda ai suoi colleghi di partito di fare qualcosa per superare questo vulnus. Però intanto paghi, perché siamo tutti sotto lo stesso tetto e le regole o ci sono o non ci sono.

Abbiate pietà…