Si muore Ebbasta

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Ora, maledizione, mi dovete dire chi è questo Sfera Ebbasta e che cazzo mi rappresenta la sua produzione cosiddetta “artistica” di rapper maledetto, di esaltatore delle esperienze estreme, delle droghe, delle auto, del sesso, delle donne, dei soldi facili (che indubbiamente lui ha ma non glieli invidiamo davvero), dei “concerti”, e degli adolescenti che lo seguono come un Dio, tanto da andare a morire in una discoteca sovraffollata per mano di un cretino che ha spruzzato uno spray urticante al peperoncino e ha creato una calca in mezzo alla quale sono morte sei persone. E la morte di questi giovani e di una giovane donna è l’unica cosa che resta di un culto disgraziato e pervertito a cui hanno partecipato ragazzini di 11 anni. No, dico, 11 anni. A 11 anni uno dovrebbe andarsene a letto alle 9 di sera dopo Carosello, con la borsa dell’acqua calda e i calzettoni di lana spessa, altro che concerto di Sfera Ebbasta! E i genitori che cosa devono fare? I genitori guardano basiti tutto questo, non ascoltano nemmeno una canzone dell’idolo di turno o, se l’ascoltano, se ne dimenticano, i figli vogliono andare al concerto, su, su mamma, andiamo, pòrtamici, e allora via, si va, ad accalcarci, a spintonarci, a pigiarci in una discoteca come le sardine per aspettare questa vedette, del resto sono figli,l qualcosa per loro si dovrà pur fare, e poi, tutto d’un tratto, si muore. Si muore e si lasciano quattro figli. Oppure si muore e si lasciano vivi dei genitori, che è anche peggio. Tutto per il signor Ebbasta. Che poi uno dice, ce li avevamo anche noi i nostri idoli di morte e di droga: Eric Clapton, Jimi Hendrix, Lou Reed, i Velvet Underground, Jim Morrison, Kurt Cobain. In Italia c’è anche uno che è diventato famoso con la “Vita spericolata” come quelle dei film che fa rima con Steve McQueen. Li avevamo anche noi, dicevo, questi modelli. Ma il livello artistico era assolutamente diverso. O vogliamo dimenticarci “I fiori del male” di Baudelaire, del 1857, in cui si esaltava l’assenzio, l’alcool, una vita ai bordi della società? Non è che ha sempre ragione Guccini quando dice che “i vecchi imbriaghi sembravano la letteratura”, spesso i vecchi imbriaghi SONO la letteratura, e se permettete c’è una bella differenza tra un imbrattatele e Andy Wharol. Ma qui si muore per mano di un imbecille. E che sia per un idolo di riferimento o di un imbecille materiale poco importa. Si muore Ebbasta. Honni soit qui mal y pense.

Sweet Lou

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Ora che Lou Reed non c’è più, devo riconoscere che ha ragione Edoardo Camurri quando su Facebook scrive che non bisogna cadere nell’errore che fu al momento della morte di Fabrizio De André, almeno noi italiani. Camurri scrive che ” Lou Reed era tutto ciò che un uomo sano di mente può desiderare di essere”, ed è vero.

E’ stato un artista a tutto tondo, Lou Reed. Io l’ho sempre inquadrato in due dei suoi dischi che amo di più, “Rock’n’roll animal” e “Berlin”.

Il primo, l’ho sempre detto, andrebbe incorniciato ed esposto accanto alle opere di Andy Warhol in un Museo di Arte Moderna e Contemporanea. E magari pompato a sangue fino a far svenire i visitatori. O, forse, fino a farli caricare di adrenalina. Bastano le prime cinque note della “Intro” per chitarra distorta strafatta marcia per rendersi conto che non è rock, è musica classica. Andrebbe trascritto su una partitura, bisognerebbe realizzarne l’Urtext e metterlo accanto al purtuttavia noiosetto Bach. O, se si vuole paragonarlo a un’altra opera pressoché coeva di ascesi indotta, il “Concerto di Colonia” di Keith Jarrett. Sono stati di grazia, se siano indotti dall’arte o dall’eroina importa ben poco, anzi, credo che non ci sia nessuna differenza.

Di “Berlin” c’è da non far cascare nemmeno una nota, opera situazionale rock, in 40 minuti riusciva a diffondere sfumature da vertigine. Non si può non essere affezionati alle due “Caroline says”, ma non si può nemmeno dividere l’unico blocco di cui è costituito il disco. Un monolite che dava tregua solo quando giravi il long playing.

Lou Reed è stato soprattutto dolcezza. “A Perfect Day” è stato indubbiamente quanto di più commerciale abbia interpretato, ma rientra perfettamente nelle sue corde di artista (dall’altro polo svetta l’inascoltabile “Metal Machine Music”), e stupisce come un intellettuale del calibro di Monsignor Giovanni Ravasi ne abbia citato il ritornello sul suo account Twitter. E’ il primo sfruttamento di musica, pensieri e morte “ad usum Delphini”. Ratto come la folgore, come a dire che Lou Reed è anche un po’ “nostro”, anche se non si sa “nostro” di chi.

Lou Reed, invece, non era, felicemente, di nessuno, e il testo di “Heroin” ce lo ricorderà a scanso di maldestri ulteriori tentativi manipolatòri:

“When I’m closing in on death
And you can’t help me, not you guys
Or all you sweet girls with all your sweet talk
You can all go take a walk
And I guess I just don’t know
And I guess that I just don’t know.”