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Andrea Kerbaker è scrittore, docente di Istituzioni e Politiche Culturali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, collaboratore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, nonché collezionista universalmente riconosciuto di libri. Ne possiede più di 25000.
Bene. Sto leggendo il suo ultimo libro “Lo scaffale infinito – Storie di uomini pazzi per i libri”. Bello. Si passa da Petrarca a Umberto eco passando per Federigo Borromeo, Madame de Pompadour, Caterina di Russia, Borges e altri.
A pagina 17 c’è un monologo interiore di finzione tra Petrarca e tale Coluccio. Vi si legge:
E qui c’è un errore madornale, che è quell’elisione della “c” (che poi starebbe per il fonema /k/) nella parola *tos’ane.
Non ho voglia di stare qui a spiegarvi la gorgia toscana o il raddoppiamento fonosintattico, vi basti sapere solo che NON E’ VERO che in toscano cadono tutte le c. O si pronunciano aspirate come nel fiorentino. O non si pronunciano proprio come in livornese.
Va bene la “hoha hòla hólla hannuccia hórta horta e una hìna halda” da chiedere al bar. Va bene dire “la mi’ hasa”. Ma NON SI DICE “vado a ‘hasa”. No. Si dice “vado a kkasa”, con la c raddoppiata (come in “accasarsi”, ad esempio).
E non si dice “tos’ane” ma, semplicemente, “toscane”.
E’ un po’ l’effetto che produce chi, non essendo toscano, tenta di imitare la pronuncia toscana. Possono cascarci tutti. Meno i toscani, naturalmente, che, come ricordava Curzio Malaparte, quando gli altri ridono (“La mi’ hagna ha fatto sette hagnolini tutti senza hoda…”, ah ah ah, le rysa!!!) restano imperterriti a gelarti il sangue nelle vene.
E sorridono di buon grado sapendo che è bello correggere Andrea Kerbaker su queste piccole cose.