Liviamo!

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Dante scriveva che i nomi sono la conseguenza delle cose. Io dico che, a maggior ragione, lo sono delle persone.

Il resto lo fa la letteratura.

Voglio dire, ci sono nomi che sono talmente incancreniti nell’immaginario collettivo, da essere incollati a una idea. Ri-voglio dire, il nome Beatrice rimanda a una persona graziosa e giovane, non a una vecchietta arzilla e muscolosa. Io ne feci la protagonista di un mio raccontino fortunatello proprio perché mi serviva una fanciulla che morisse all’età di 11-12 anni. Se l’avessi chiamata Abelarda non avrei ottenuto lo stesso effetto (i cultori di certi fumetti di serie B ricorderanno la manesca nonnina amica del gorilla Bongo).
Più che la letteratura a volte può il cinema, o tutti e due. Alice era nome degregoriano per eccellenza negli anni ’70, era quella che guardava i gatti, con aria un po’ gattina anche lei, e non sapeva di Cesare che aspettava il suo amore ballerina da sei ore ormai (Pavese era un uomo costante). Nel decennio successivo uscì il film “Amici miei atto II”, quello in cui il malefico Lucianino descrive la moglie del Mascetti come “una donna secca e rifinita come il suo nome: Alice”. Si potrebbero fare ricerche demografiche e interessantissime tesi di laurea sulla frequenza del nome “Alice” nella popolazione italiana a seguito della vulgata di certi preconcetti.

Tutto questo cappello per dirvi che a suon di leggere i romanzi e i racconti del commissario Montalbano, Livia mi sta pesantemente sulle palle. Il personaggio, proprio, non lo digerisco, è la classica donna che mi farebbe venir voglia di tirarle uno schiaffo anche se sta zitta e basta. Livia, una stronza che ne “La vampa d’agosto” (un libro da leggere in questa stagione, per evidenti motivi) fa trottare in su e giù il povero Commissario perché soddisfi i capricci suoi e dei suoi antipatici amici. Livia, malefica e perfida, capacissima di rimproverarlo solo perché non si fa trovare al telefono o non ce la fa a rispondere. Livia bastarda che mentre Adelina fa gli arancini per l’ultimo dell’anno pretende anche che Montalbano se ne stia seco lei a Parigi (ma quando mai?)

E ora ne ho trovata un’altra di Livia letteraria. L’ho trovata in “In fondo al tuo cuore” di Maurizio De Giovanni, libro di cui vi ho parlato tempo fa solo per farvi rodere il fatto che io ce l’ho autografato e voi no. Non so se De Giovanni abbia voluto scherzare con le tradizioni letterarie e fare un omaggio al maestro Camilleri, fatto sta che Livia II, la vendetta, è una bellisssima donna, vedova, nella Napoli degli anni ’30, tutta cipria, teatro e cinematografini (“tra lo sfolgorio di quei lumi/comanda signora Cipria colonia e Coty!”), che fa una corte spietata al Commissario Ricciardi, che però gli preferisce la maestrina Enrica, che a sua volta sta cercando inutilmente di disfarsi di un vecchio amore. Life can be so hard, sometimes.

Sono andato a vedere l’occorrenza del nome Livia in 1000 opere della letteratura italiana e ce l’ho trovato fin dal Petrarca. Credevo di trovarlo con maggior frquenza in qualche romanzo ottocentesco, che so, il ciclo milanese del Verga, ma c’è comunque da continuare a divertirsi.

Quella stronza di Livia: L’eta’ del dubbio

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Arridero, Finalmenti.

"Come stai?" spiò Montalbano.

"Bene, e tu?"

"Sono infognato in un’indagine che… A proposito, tu lo conosci un certo Emile Lennec?"

"Cos’è, un altro scherzo a modo tuo?"

"Lo conosci o no?"

"Certo che sì. L’abbiamo conosciuto insieme."

"Dove?"

"A Marinella."

"Non se l’arricordava per niente."

"Davvero? E chi è?"

"Si tratta di…" pincipiò lei.

S’interrumpì, fece ‘na risateddra.

"Si tratta di uno che è esattamente come tuo figlio."

"Dài, Livia, non…"

Ma lei aviva riattaccato. La richiamò. Il tilèfono squillò a vacante.

E questa era la punizione che Livia gli aveva assignata per la faccenna del picciliddro inesistenti. Quella fìmmina non gliene perdonava una che era una, mannaggia!


(da "L’età del dubbio", pag. 128)

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Quella stronza di Livia – Camurrie d’agosto

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Prende vita oggidì questa imprescindibile sezione del blog, dedicata a chi ama i romanzi di Andrea Camilleri e al caro Fabio Montale (o Reginaldi Pilade) che di tutto questo ennesimo troiaio è co-ispiratore insigne.

Laura era l’amica del cori di Livia, quella alla quale confidava i misteri gaudiosi e macari quelli tanticchia meno gaudiosi.

"Vengono qua?"

"Sì, ti dispiace?"

"Per niente, tu sai bene che Laura e suo marito mi sono simpatici ma…"

"Spiegami questo ma".

Bih, che camurria!

"Pensavo che finalmente avremmo potuto stare un po’ più a lungo da soli e…"

"Ahahah!"

Risata tipo strega di Biancaneve e i sette nani.

"Perché ridi, scusa?"

"Perché sai benissimo che a restare sola sarò io, io, capisci, mentre tu passerai la giornata e forse anche la nottata al commissariato dietro l’ammazzato di turno!"

"Ma no, Livia, qua d’agosto, col caldo che fa, macari gli assassini aspettano l’autunno".

"Così’è, una battuta di spirito? Dovrei ridere?"

(Andrea Camilleri, La vampa d’agosto, Sellerio)