Settembre poi verrà ma non ti troverà e piangeranno solo gli occhi miei

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Settembre arriva e con la prima pioggia ci lava anche il cervello. E’ incredibile come con lo sfogliare del calendario ci si formattino le sinapsi per cancellare tutto quello che fino al giorno prima ci sembrava estremamente trendy o, comunque, di un interesse tale da non poterne fare a meno.

Si cominciò con il bikini di Maria Elena Boschi, illustre costituzionalista. Ora ce ne siamo giustamente dimenticati ma fino a una quindicina di giorni fa era di vitale importanza il fatto che la Boschi avesse un bikini e che lo usasse per andare al mare. Abbiamo fatto del marginale una questione di vita, riducendo l’importanza del disfacimento del Senato della Repubblica a quella di un più dozzinale due pezzi da esibire in spiaggia con malcelato orgoglio.

La Ministra Giannini, dal canto suo, si fece beccare in topless. Al rientro dalle vacanze ha cominciato a parlare di eliminazione del precariato e di quella brutta abitudine scolastica che sono le supplenze. Come fare? Facile, si assumono 100.000 precari e il gioco è fatto. Il problema è che 100.000 assunzioni sono una goccia nel mare. Poi i neoassunti li devi anche pagare e la preraffaellita Madia ha già provveduto a congelare gli stipendi della pubblica amministrazione anche per il 2015, perché bambole, non c’è una lira. Quasi quasi era meglio quando c’era il topless.

Ci siamo, poi, del tutto dimenticati di quando la gente si tirava le secchiate d’acqua in capo per aiutare la ricerca sulla SLA. Eppure sarà stato sì e no una settimana fa che la Littizzetto, che non ha mai smesso di bastonarci lo scroto col Walter e la Jolanda ad ogni domenica che Dio mette in terra, prima di farsi l’autodoccia ha sventolato in un video due banconote da 50 euro, e poi si è lamentata che tutto il web le ha sottolineato che per quello che guadagna avrebbe potuto donare un po’ di più, il che, tra l’altro, è anche sacrosanto e vero.

Abbiamo la memoria troppo corta, un pensiero che vola e va. Io ho quasi paura che si perda.

Che cosa è diventato Bonetti?

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Non avrete mancato, spero, di dare un’occhiata alla TV di Stato, nel mentre il portavoce nel bisogno atàvico di inciucio della Nazione, Fabio Fazio, intervistava il per nulla sorridente a oltranza Giovanni Floris a proposito dell’uscita del suo primo libro “Il confine di Bonetti“.

Buonasera, bravissimo, no, sei più bravo tu, eh, ma tu conduci Ballarò, ma no, beato te che fai coppia con la Littizzetto, ho visto che hai scritto un libro, sì, è vero, mi ci sono cimentato, accidenti, bravo, no, ti ho detto che sei più bravo tu, insomma fatti fare una domanda originale, quanto c’è di te nella figura del protagonista? Mah, guarda, ti dirò che in un certo senso questo romanzo è autobiografico, ma va’? Davvero?? Come mai, eh, sai, mi è uscito così, comunque ti dicevo che sei bravo, grazie, il tempo a disposizione è scaduto, un bell’applauso.

Si è ragionato di tutto, come lo hai scritto, come ti è venuto, quanto tempo ci hai messo, comm’è ‘o fatto, comm’è ‘gghiuto, Ciccio, ‘Ntuono, Peppe o Ciro, chillo ‘o fatto è niro niro, niro niro cumm’a ‘cche.

Meno che di Bonetti. Che, insomma, è normale ricollegarlo a quel Bonetti che era stato a Berlino (che era un po’ triste e molto grande) con Lucio Dalla in “Disperato erotico stomp”, lo storico pezzo che apriva il lato B di “Com’è profondo il mare” (l’ellepì, dico).

E’ un personaggio fantasmagorico di cui si è sempre saputo molto poco (come di Baluganti Ampelio, del resto). Le uniche cose che sappiamo di lui le ha dette Dalla in un’intervista del 2009: “Con Bonetti andai in Polonia a un Festival, era un mio amico completamente scemo che sbagliava sempre strada”.

Ma c’era anche un brano fantastico dello stesso Dalla che faceva da lato B al 45 giri “Hai una faccia nera nera” del ’68 (me lo ricordo ancora). Si intitolava “Che cos’è Bonetti”, dove il mistero doloroso veniva ampiamente elucubrato in un minuto e 45″ di assoluto genio, grammelot, organo elettrico, svisi anni sessanta, ricchi premi e cotillons.

E ora sappiamo anche da dove emana l’essenza del titolo del libro di Floris. Anche perché i debiti, in letteratura, si pagano.

Quello che non ho digerito di Fazio e Saviano

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Che magari la gente si chiede anche “Chissà come mai il Di Stefano non ha ancora commentato la nuova trasmissione del duo Fazio-Saviano”…

Vi dirò, non l’ho neanche vista, ne ho ascoltati e visionati qua e là alcuni estratti da YouTube dove non paiono essere particolarmente seguiti. Ma questa è solo una mia impressione (per qualcun altro i clic sui singoli video, moltiplicatisi all’infinito e presenti su YouTube possono essere un numero esorbitante).

E potrei dire molte, molte cose.

Per esempio potrei parlare del nuovo look di Fazio, che si è tolto la cravattina della sera della domenica della Cresima e si mostra in TV un po’ più sbrindellato, al limite dell’easy-going, con un paio di occhialini uguali uguali a quelli di Benigni, segnale, oltre che della presbiopia che prima o poi tutti ci colpisce per via dell’età (non ditelo a me, che sto sempre ad avvicinare e allontanare gli occhiali alla punta del naso!), del fatto che c’è un modo di fare TV che si omologa anche nell’aspetto, ma allora mi chiedo proprio perché la montatura alla Benigni e mi rispondo che è perché fa buonismo, poi me ne pento, perché mi sembra di essere cattivo, e quindi alla fine smetto di pentirmene.

Potrei parlare del titolo della trasmissione. Ancora una volta una canzone, e ancora una volta De André. Certamente non una delle sue migliori, bisogna riconoscerlo. Preferivo “Vieni via con me”, almeno era la canzone di una persona viva.

Potrei parlare, a proposito di De André, di quando Fazio ha salutato Dori Ghezzi e ha detto: “quando io sento Fabrizio mi mette subito gioia e allegria, parole che tu mi ispiri immediatamente”, e chissà che cosa avrà voluto dire!

Potrei parlare, sempre a proposito di De André, di come Fazio abbia abbondantemente retoricheggiato sulla sua musica affermando che “ha il potere di guarire e di fare andare avanti” e di come la tentazione di santificare un cantautore e attribuirgli poteri addirittura taumaturgici sia dietro l’angolo.

Potrei dirvi di quanto sia trita e ritrita la logica dei duelli, per cui “Politica e antipolitica sono parole che in alcuni momenti, e questo è uno di quelli, si fronteggiano più aspramente.” E di come sia una desolazione dell’anima vedere che nello scontro tra politica e anti-politica figurino due giornalisti. E della delusione (l’ennesima) che Marco Travaglio si sia prestato a questi trabocchetti da giocatori di un due tre stella.

Potrei dirvi di quanto poco abbia detto lo stesso Fazio introducendo la Littizzetto quando ha affermato che “Ci sono momenti in cui una parola diventa insostituibile: va detta proprio quella li.” Erano anni che alla RAI cercava di dire una parolaccia e non c’è mai riuscito. E ieri sera, per la prima volta, ha pronunciato la parola “stronzo”. Io l’ho detta a scuola a sette anni.

Potrei parlarvi della Littizzetto che  “Ci sono cose nella vita che si risolvono solo con un vaffanculo!”, e allora uno pensa che tra queste cose ci sia anche la sua ormai consueta ripetitività.

Potrei parlarvi di un Guccini ormai troppo frequentemente in televisione e troppo più frequentemente pubblicato da Mondadori, che più che un cantautore sembra un cantastorie d’antan, e un nonno che racconta ai nipotini le favole del buon tempo che fu, solo che noi non siamo i suoi nipotini e lui non è lo Zio Paperone che cercava l’oro nel Klondike.

Potrei anche dirvi di Saviano che continua a fissare il vuoto, disorientato, come spiritato, si tocca il naso, incrocia le braccia e dondola, dondola e parla, fa pause, e racconta delle mamme di Bezlan, e non fa altro che effettuare un’operazione così frequente da essere prevedibile, raccontare di mamme e di bambini, dell’estremo sacrificio, non più come dramma individuale e collettivo di chi l’ha vissuto, ma come rappresentazione narrativa, una sorta di misto tra il racconto gotico e la cronaca nera, la stessa cosa che fanno “Chi l’ha visto?” o “Quarto Grado”, quando se a sparire è una vecchietta con disturbi mentali le si dedica una scheda, mentre se a sparire o ad essere uccisa è una mamma ci si ricama su un bel senza fine, una neverending story che neanche Michael Ende. Una donna è solo una donna. Ma una mamma fa gola di più, in un programma appiccicoso di caucciù, e il Poeta è servito.

Dicevo che potrei parlarvi di tutto questo. Ma non lo faccio.

Preferisco riporre l’attenzione sul fatto che Saviano, Fazio, Littizzetto, De André, Ghezzi, Guccini, fanno ormai parte di un minestrone che ha sempre lo stesso sapore, come quello del Manuale di Nonna Papera. E, peggio ancora, che non va minimamente messo in discussione. Sono quelle cose che vanno accettate così come sono e applaudite, belle per forza perché spirito di un radical-chic non so quanto di sinistra, belle perché perbeniste, non criticabili perché fatte con buone intenzioni, buoni sentimenti e senso della misura. E infatti nessuno le critica. Nessuno. Tutti le accettano in maniera supina, quasi devozionale.

Ecco il primo commento su YouTube dopo l’immissione del Saviano-Bezlan:

E vogliamo dimenticarci della Littizzetto?

O magari di Guccini…

Ecco come siamo fatti. Diamo il carisma a una storia. Consideriamo grande una che disquisisce sulla parola “stronzo” che va beh, fa anche ridere, mica dico di no, ma alla lunga stufa e neanche poco. Troviamo “assolutamente straordinari” personaggi che trasformano la realtà in narrazione e poi in monologo.

Dovremmo essere solo un po’ disgustati da tutto questo. Ci farebbe bene.