Brindisi: stavolta c’è scappato il mostro!

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E così anche stavolta c’è scappato il mostro.

Nel pomeriggio di ieri in rete sono stati diffusi dati personali, tra cui nome, cognome, indirizzo di posta elettronica e quant’altro possa essere servito ad identificare in maniera unilaterale un individuo, di una persona interrogata dalle forze dell’ordine e non soggetta a nessun fermo, a nessuna indagine e men che meno a un capo di imputazione, ammesso che anche un capo di imputazione sia indizio di colpevolezza, nell’ambito delle indagini per l’attentato di Brindisi.

Sapete, magari somigliava tantissimo a uno che era stato fotografato con le mani in tasca vicino a un chioschetto, e già stare con le mani in tasca è un gesto sospetto. Chissà che cosa può avere in tasca una persona, magari le chiavi della macchina, o quelle di casa, o il portafoglio, o il cellulare, no, via, bisogna assolutamente indagare, è necessario andare a vedere chi è questo qui che si permette il lusso, si veda il caso, di somigliare tanto a una persona ricercata, o addirittura che sia proprio QUELLA persona, che non si sa se abbia commesso o meno il fatto, però intanto lo si interroga e la stampa lo sputtana, così impara a somigliare a qualcun altro, magari a zoppicare un po’, o ad avere altre strane e sospette abitudini come avere un fratello, insomma, a commettere tutta questa serie di azioni sospette che ne fanno, in principio e ab ovo, un poco di buono, o, comunque, un possibile attentatore dinamitardo (certo, un dinamitardo con le bombole di gas, ma non si può pretendere tutto dalla vita) che ha spezzato la vita di una povera ragazza.

La persona interrogata non c’entrava niente. Non era lui.

Ma nel frattempo è stato preso a insulti indicibili sulla sua pagina di Facebook (e quale miglior ragione per essere insultati che quella di non aver fatto niente? Non fare niente di male è un gesto altamente rivoluzionario, perché tira fuori la rabbia che la gente si cova dentro: come ti permetti tu di non fare nulla di male, in modo che io non posa nemmeno trovare un appiglio per vomitarti addosso tutto il mio disprezzo? Come minimo devi andare in giro con un paio di calzini turchesi, come la storia ci insegna), i suoi dati personali pubblicati su blog, siti di giornalisti, periodici on line e di carta, giornali e chi più ne ha più ne metta.

Tutti a fare a gara a chi faceva lo scoop e a chi pubblicava per primo il nome e il cognome del “killer”. Non era vero niente. L’interrogato non aveva nessuna responsabilità, diretta o indiretta con il crimine.

Tra quanti hanno ceduto a questo gioco al massacro, degno del manzoniano “dàgli all’untore”, figura anche Gad Lerner, che sul suo blog sottotitolato “il bastardo” aveva inserito un articolo dal titolo eloquente: “Nome e Cognome il killer di Brindisi”.

Una volta diffusasi la notizia che, cari Signori, non era vero niente, il Signor Nome e Cognome non è il killer di Brindisi, ci sarebbe tanto piaciuto, del resto purtroppo non si possono mettere in galera gli innocenti al posto dei colpevoli, malauguratamente vige questo maledetto principio del diritto per cui la responsabilità penale è personale, se no a quest’ora qualcuno avrebbe dimostrato che le promesse si mantengono, e il Birba sarebbe stato dato in pasto all’opinione pubblica che avrebbe avuto di che sbranarselo a suo bell’agio, una volta, dunque, che il buco nell’acqua era conclamato, l’articolo è stato modificato in una versione più morbida: “Brindisi, dalla procura esce un nome”.

Solo che cercando su Google questo articolo, si scopre che 23 ore prima, esisteva sul blog un articolo con il titolo precedente e non ammorbidito. Ecco lo screenshot:

A nulla è valso il tentativo di Gad Lerner di rivoltare la frittata e inserire nel nuovo e più mellifluo articolo per la rete SOLO le iniziali dell’interrogato che, ripeto, non è mai stato neanche sottoposto a indagine. Gli hanno fatto solo qualche domanda, hanno visto che non era stato lui, fine della storia.

Una vita spezzata dalla macchina del fango, associata per l’occasione in una “große Koalition” di blogger, carta stampata, sistema di informazione, singoli cittadini che prendono Facebook come una pistola e sparano direttamente nel mucchio, ‘ndo’ cojo cojo e tanti saluti a casa. Perché a distruggere la vita delle persone si è sempre pronti, poi, tanto, casomai, dopo si chiede scusa. Cioè quando è sempre troppo tardi.

Naturalmente per gli studiosi e i grandi intellettuali la colpa è della rete. E ci mancherebbe anche altro che non si demonizzasse il mezzo per chi lo usa. Specialmente adesso che è DAVVERO colpa di Beppe Grillo.

Perché parlano di “rete impazzita”, non di “giornalismo-macelleria”.