Fake news: il ddl della vergogna

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gambaro

Il ddl contro le “fake news” (o “bufale”, come amano chiamarle gli attivissimi della lingua italiana) è al Senato.

Tragico ma vero, un pugno trasversale di senatori è riuscito a portare in aula un testo che più raffazzonato non si può e che fa acqua da tutte le parti. Il tutto allo scopo dichiarato di evitare la diffusione di notizie false e che possano suscitare allarme sociale nei media.

Di fatto la situazione è ben diversa, e i primi a farne le spese saranno i blog e i forum. Ma lo vedremo man mano analizzando alcune parti del ddl che mi sembrano determinanti (ci divertiremo!)

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Primo firmatario del documento è Adele Gambaro. Eletta tra le file del M5S è stata successivamente espulsa con una votazione via internet dal blog di Beppe Grillo. Ha fatto anche altre cose degne di nota, come votare la fiducia al governo Letta e, perché no, un pochino anche a quello di Renzi. Così, tanto per non farsi mancare nulla.
E’ una donna, dunque, che è stata eletta mediante le strategie del web e che da un blog ha avuto la sua delegittimazione.
Non sorprenda, dunque, che il nome della Gambaro figuri in testa all’elenco di chi appoggia e sottoscrive in aula il testo normativo.

C’è anche la simpaticissima Serenella Fucksia (astenuta nel dicembre 2014 sul voto del Jobs Act, astenuto al disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati, anche lei espulsa dal Movimento) che nel 2013 difese Roberto Calderoli che aveva definito un “orango” l’allora Ministro Kyenge. Ce ne occupammo allora proprio qui nel blog. Wikipedia (sempre lei) scrive che “Ha, inoltre, più volte criticato la mancanza di un vero confronto di merito sui contenuti legislativi e denunciato preoccupazione per «i fanatici della rete»,definendolo «l’aspetto più critico del Movimento cinque stelle»”.
Meglio dunque porre mano a questo web e cercare di appoggiare l’operato della collega.

E che dire di Anna Cinzia Bonfrisco? Che nel 2007 fu quella che in piena aula di Palazzo Madama diede dell'”assassino” al magistrato D’Ambrosio (“Sei un assassino, assassino. Sei un criminale. Oggi è il tuo giorno”).

Come non ricordare, poi, la storica frase pronunciata nella trasmissione televisiva “Agorà” dalla senatrice Laura Puppato? «Le nostre riforme elimineranno la presenza fisica dei militanti leghisti». A parte la non democraticità di un enunciato del genere sulla bocca di chi di democratico si vanta di appartenere addirittura ad un partito intero, c’è da dire che all’enunciazione non sono poi seguiti i fatti. E questo è sotto gli occhi di tutti.

Ma tra i sottoscrittori colpisce soprattutto la presenza della firma di Rosaria Capacchione, giornalista e Senatore della Repubblica, costretta a vivere sotto scorta a causa della sua attività contro la camorra, e che ora si è buttata a difendere un ddl dal testo liberticida, azione che certamente non fa onore alla sua sofferenza e, come accade per tutti gli altri cofirmatari, ai soldi (pubblici) con cui viene pagata per fare il suo lavoro di parlamentare.

Last, but not least, evidenziamo, tra il gruppo dei proponenti, il nome di Antonio Razzi, ormai più famoso per l’imitazione di Crozza che come parlamentare. L’amico della Corea del Nord, che ha definito il suo dittatore un “moderato” e che ha negato l’esistenza nel paese di campi di prigionia («ci sono serre di pomodori grandissime, mai viste così grandi, saranno quelle, le scambiano per lager».).

controllo

La parola chiave dell’introduzione al testo del ddl è “controllo”.
E’ un dato che fa pensare (o lo vedi se anni e anni dedicati a fare le concordanze dei testi son serviti a qualcosa?) soprattutto se lo si associa a tutte le lodi sperticate che il legislatore ha fatto al lato positivo della medaglia di internet. Il testo è chiaro, ed è un ritornello sentito e risentito: la “libertà di espressione” non può essere “sinonimo di mancanza di controllo”.
Sembrerebbe quasi che ci sia una sorta di vuoto legislativo da riempire a tutti i costi con un qualcosa che normasse quello che normato non è. Invece le leggi ci sono: se una notizia falsa lede la dignità di una persona (ad esempio: “Tizio ha rubato le ciliegie dall’albero nel campo del vicino”) quella persona può sempre agire in giudizio per diffamazione.
Perché,  dunque, c’è bisogno di “controllo”? E perché sottolineare che il “controllo”, nel campo dell’informazione, significa avere il diritto a una informazione corretta? Sono cose che il mondo della rete conosce perfettamente: i giornali per deontologia professionale, i blogger perché hanno delle responsabilità oggettive nei confronti di chi legge.
La rete si autoregola: una notizia falsa e 100 notizie, post, riferimenti, link che ne evidenziano la menzogna. Funziona così. Solo chi non la conosce ha bisogno di regolamentarla. E le bufale si smontano con i fatti. Da sempre.

art1

L’articolo 1 del testo presenta una incongruenza evidente: inizia con il classico “Chiunque” delle norme penali e finisce, al comma 3, per stabilire chi è escluso dall’applicazione della norma stessa, ovvero le testate registrate on line.
In breve, rischia 5000 euro di ammenda chiunque pubblichi notizie “false, esagerate o tendenziose”, ma se il chiunque è una testata registrata in Tribunale, non rischia proprio un bel niente.
Il ddl, dunque, si rivolge a quei prodotti editoriali di rete come il blog o come i forum.
E qui si aprirebbe già un maremagnum di domande.
In primo luogo CHI stabilisce e con QUALI CRITERI se una notiza è falsa, o anche semplicemente esagerata? Il magistrato che dovrà applicare la norma, non ci sono dubbi. E non ci sono dubbi anche che pioveranno sui tavoli dei magistrati tonnellate di rimostranze e di denunce (si sa, la gente intanto ti querela, “poi si vedrà cosa succede”…)
E poi: se un blog riprende una notizia falsa pubblicata, ad esempio, da un quotidiano on line, perché dovrebbe essere punito chi lo cura e non il quotidiano che ne è fonte? E’ vero o non è vero che tutti i cittadini (e i soggetti giuridici) sono uguali davanti alla legge? E si potrebbe andare avanti ancora. Ad esempio ci si potrebbe chiedere legittimanete se diffondere o pubblicare una notizia falsa su Facebook, Instagram o Twitter (che sono, a modo loro, delle piattaforme di blogging) rientri o no in quanto previsto da questo articolo.Nulla di nuovo sotto il sole.

art2

L’articolo 2 allarga le fattispecie di delitto. Diciamo che mentre l’articolo 1 punisce la pubblicazione “semplice” di notizie false, esagerate o tendenziose, l’articolo 2 si occupa di quelle notizie false che possono destare pubblico allarme, fuorviare settori dell’opinione pubblica o aventi ad oggetto campagne d’odio.
E qui la pena massima è sempre dei famosi 5000 euro di ammenda a cui, però, si aggiungono 12 mesi di “reclusione”.
In breve, si affaccia nel testo di legge la parola “galera” (o qualche suo improvvisato equivalente, lo vedremo più avanti). Mentre in Italia il reato di ingiuria è stato addirittura depenalizzato ed è venuta meno l’ipotesi detentiva, potrei rischiare la “reclusione” se solo scrivessi (come ho già scritto) che l’omeopatia non funziona. Che è una notizia vera, ma siccome c’è gente che afferma esattamente il contrario e che è pronta a giurare che su di lei l’approccio omeopatico ha funzionato a dovere, il mio affermare l’inefficacia dell’omeopatia potrebbe destare allarme negli adepti, che costituiscono un settore dell’opinione pubblica e via discorrendo. Non parliamo poi dei colossi farmaceutici paladini dell’omeopatia che con questa legge andrebbero soltanto a nozze.
E’ ovvio che quello dell’omeopatia è solo un esempio, e, per carità, non pretendo nemmeno che sia calzante. Ma “reclusione” in casa mia ha un significato ben preciso e in Italia qualcuno rischierà di nuovo il carcere per una notizia. Non saranno più i giornalisti di professione, saranno i poveri cristi, gli incazzati o i malati di protagonismo digitale. E non dovrebbe essere illecito penale l’essere malati di protagonismo, se no io sarei già condannato all’ergastolo.
E poi mettiamo i puntini sulle “i”. Quel brav’uomo del professor Mario Simoni che mi insegnava diritto al liceo, mi spiegava che in Italia l'”ammenda” va con l'”arresto”, e la “multa” con la “reclusione”. “Ammenda” e “reclusione” non possono andare insieme.

art3

L’articolo 3, poi, è il più eccentrico di tutti. Introduce l’obbligo per chi apre un blog, un forum, un sito web o una qualsiasi altra “piattaforma informatica destinata alla pubblicazione”, di comunicare al tribunale, entro 15 giorni dall’apertura, nominativo, domicilio, codice fiscale e indirizzo di PEC di chi lo gestisce. Il tutto allo scopo manifesto di “contrastare l’anonimato”.
Anche qui vagonate di comunicazioni ai Tribunali nello sciagurato caso in cui la legge dovesse entrare in vigore come tale e così come è approdata alla discussione in Senato. Il numero di siti e pagine web aperti ogni giorno in Italia è ancora considerevolmente elevato e un obbligo del genere manderebbe in tilt le cancellerie degli organi di giustizia ovunque diffusi, impegnati a doversi gestire tonnellate di messaggi di PEC.
E poi perché mai si dovrebbe “contrastare l’anonimato”? L’anonimato è un diritto soggettivo specifico. Se io immetto della informazione in rete ho tutto il diritto di non farmi riconoscere (magari usando uno pseudonimo, così si adopera lo pseudonimato) che non significa non essere punito o punibile. La magistratura può facilmente accedere ai dati di chi ha registrato un sito web, anche se questi dati non sono pubblicamente disponibili.
La gente maschera il proprio numero di telefono ogni giorno se non vuole farsi riconoscere, e nessuno ci trova niente di strano.
Dunque i dati vanno non solo comunicati ma anche pubblicati in modo visibile sul sito stesso. Vogliono solo sapere chi sei senza fare la fatica di venirti a cercare.
E non si sa bene che cosa ne sarà di tutto il maremagnum di siti, forum, pagine e blog pubblicati fino al momento dell’entrata in vigore della legge (quando e se sarà!), saranno anche loro obbligati a pubblicare i loro dati? A scrivere una PEC al Tribunale per dire “io esisto”? Veramente il Tribunale, quando ha avuto bisogno di contattarmi per il blog mi ha trovato senza nessuna difficoltà. Ma non sia mai che l’esperienza faccia scuola.

Occorre dunque correre ai ripari e munirsi di un bel paio di mutande di bandone per parare il colpo di Lorsignori. Ne riparlerò. Ora, scusate, ma ho il mal di mare (buark… ohimé…)

Io non sto con il Ministro Madia. E nemmeno col suo gelato!

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C’è qualcosa di vecchio e di stantìo nell’ondata buonista e filopiddina seguita alla pubblicazione, da parte del settimanale “Chi”, di alcuni scatti fotografici che ritraevano la Ministro Madia intenta a gustare un gelato. E a montarli, ad arte, in modo da alludere a prestazioni di ben altro genere, complice il titolo “Ci sa fare col gelato”.

Ora sia chiaro, la Ministro Marianna Madia, come chiunque di noi, è libera di mangiarsi un gelato in santa pace e di leccarsi le dita senza che questo debba diventare pretesto per qualcuno per ricamarci sopra a iosa. Ma poi basta così. Perché ciò che, invece, risulta stomachevole, è la pioggia di messaggi di solidarietà che sono piovuti sui social network e su tutto il web in queste ore.

Perché, voglio dire, è “Chi”. E’ roba nazional-popolare, un feuilleton che lo compri oggi, in mezz’ora hai finito di scorrerlo (“leggerlo” mi sembrava un termine eccessivo), lo metti via, ti dimentichi del contenuto e te lo ritrovi nel negozio della parrucchiera o nella sala d’aspetto del medico. E’ un rotocalco che ci campa sul filo del detto e del non detto, del vedo e non vedo, del tocca e non tocca, del c’ero e non c’ero -Di Stefano ora basta!-, cosa pretendevano questi solidali del tweet, che pubblicassero l’opera omnia di Antonio Gramsci in una nuova edizione critica riveduta? O che offrissero ai lettori una copia omaggio dei “Canti” di Leopardi?? O magari un CD con l’integrale delle Ouvertures di Francesco Maria Veracini, che tanto sapete assai voi chi era? Questa è editoria che tira a far ciccia, e per ciccia s’intende carne, viande, meat. Che poi sia vera o costruita non importa.

E allora “Uno schifo”. “Qualcosa di disgustoso”. E la senatrice Laura Puppato: “Solidarietà a Marianna Madia per la squallida e incredibilmente perversa copertina di Chi“. E ancora: “Questo è giornalismo criminale. Inutile, sessista. Non so in che altro modo definirlo” (Pietro Raffa), “Sempre peggio, sempre più giù. Che esempio per i giovani e le donne?” (Noemi Grillo), “Il servizio è talmente becero che non riesco neanche a provare pena verso Signorini. Che schifo” (Francesca Bianchi), “Un giornale non può permettersi di fare servizi come quello fatto sul gelato e la Madia” (Matteo Ornati)

Ma perché, quando la Madia ha snobbato i giornalisti accusandoli di non essere “di rinnovamento” durante la sua passerella alla Leopolda, quello non è disgustoso? E l’operato del governo di cui fa parte, che rifiuta di parlare con le parti sociali e se ne fa anche un vanto, pur di far passare il cosiddetto Jobs Act che detto così sembra il nome di una pratica erotica, per non parlare (ma parliamone per carità) del fatto che gli insegnanti, dopo gli interventi dei governi di destra (cioè degli alleati del PD) dovranno attendere ancora un anno prima di avere gli scatti di anzianità di servizio ai fini economici? E che dire del fatto che un avvocato, solo perché fa parte del Governo, è tra i primi firmatari di un decreto che mina alla base la Costituzione e abolisce il Senato? Se di cose disgustose bisogna parlare, allora c’è solo da dire che ce ne sono di ben peggiori di un servizio fotografico sulla Madia che ciuccia il gelato. Perché io da Signorini me lo aspetto che pubblichi una roba del genere su “Chi” mentre da chi mi governa (che dovrebbe essere migliore di me) non me lo aspetto che mandi avanti un esecutivo in questo modo cialtrone. Non me ne importa nulla della solidarietà della Puppato nei confronti della Madia (che fa parte di quel governo che le sta tirando via la poltrona del Senato da sotto il sedere): è con il popolo italiano che dovrebbe essere equa e solidale. Più della cioccolata dei campesinos boliviani, per Dio! La ministro Madia è un personaggio pubblico, potrebbe stare un po’ più attentina ai paparazzi volanti. Noi siamo privati cittadini, ognuno nel proprio dolore, ogni tanto qualcuno la sera chiude la sua azienda di famiglia e va a buttarsi giù da un cavalcavia perché non ha più di che pagare i debiti e i dipendenti, ma no, macché, ci s’ha da pensare al gelato della Madìa, noi…