Laura o della morte laica

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laura
Ritratto presunto di Laura, la donna amata dal Petrarca.

 

Laura è il nome convenzionale con cui chiameremo una ragazza belga di 24 anni.

Le piacciono il caffé, il teatro e la fotografia, ma soffre di una grave forma di depressione da sempre e morirà l’estate prossima. Ha deciso, e la giustizia del suo paese le ha dato ragione, di volerla fare finita con la sua intollerata e intollerabile sofferenza psichica.

Non che Laura non abbia provato a curarsi, si è perfino internata in un centro di cure psichiatriche, ma senza esito. Sono svariati i suoi tentativi di porre fine da sola alla propria vita, a quella che considera “una guerra quotidiana dal giorno in cui venni al mondo”. Adesso ha potuto accedere alle procedure per l’eutanasia (regolamentata in Belgio dal 2002) attraverso il parere unanime di tre medici che hanno certificato la sussistenza di una «sofferenza fisica e/o psichica costante, insopportabile e implacabile».

Al di là di questo, è Laura che ha e deve avere il diritto di porre fine alla sua esistenza se questa non è più degna di essere vissuta. E se sia degna o no, lo stabilisce lei per prima. Poi i medici e l’apparato giudiziario.

La morte, quella di Laura come quella di ciascuno di noi, è un qualcosa che non ha nulla a che vedere con qualunque senso di colpa o di religiosità. La morte è laica per definizione, così come laico deve esere lo stato che regolamenta l’accesso all’eutanasia, in modo che chi vuole andarsene lo faccia nel modo più dolce e indolore possibile.

E adesso non c’è più nulla da fare. Nessuno potrà fermare il meccanismo liberatorio e liberante che dovrebbe essere proprio di un qualsiasi stato di diritto (cioè non il nostro), anche se qualcuno ci sta provando. E’ il professor Wim Distelmans a dire che in Belgio il 3% delle persone che in Belgio accedono all’eutanasia in un anno sono sofferenti di gravi disturbi psichiatrici.

Ora c’è solo da lasciarla andare.

 

Il senso di Eidos per Wikipedia

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PREMESSA:

Questo è un articolo che NON vuole disprezzare “Eidos” né esaltare Wikipedia (che continuo a ritenere ridondante, inutile, ingestibile e inaffidabile).
E’, tutt’al più, un articolo sul come-si-fanno-le-cose-quando-si-scrive, tutto lì. Chiunque metta in dubbio questa premessa o è in malafede o, come diceva il mi’ nonno Armando, cià ‘r culo sudicio.

SVOLGIMENTO:

L’occasione me la dà un articolo pubblicato sul n. 229/2015 di “Eidos” a pagina 29. Vi è ospitata, nella rubrica “Curiosizie” una digressione sul “Perché via Galilei a Campo a Mare si chiama così”. Di questa digressione, lunga 29 righe, almeno 26 sono dedicate a parlare di Galileo Galilei. Ebbene, senza voler essere cattivi, ma fotografando solo il mero dato, TUTTE queste righe sono state tratte dalla voce di Wikipedia su Galileo. Si tratta di un dato inconfutabile e innegabile. Ecco qui la scansione della pagina:

eidos

ed ecco qui, invece, quanto riportato da Wikipedia:

galileo

Non c’è che dire, a parte l’omissione dei numeri delle note, il testo è identico.

La domanda successiva è quasi scontata: perché copiare pedissequamente senza nemmeno citare la fonte? A voler ben vedere un riferimento c’è, è quell'”Infoweb” tra parentesi alla fine del testo di “Eidos”, ma non soddisfa affatto. Non ha alcun senso dire “l’ho preso dal Web”, è come se si citasse come fonte la Biblioteca Comunale nel caso di un testo ripreso dalla Treccani lì costodita. Oh, intendiamoci, non che non sia lecito (e per molti versi è incoraggiato) copiare da Wikipedia. Ma ci sono delle condizioni. La pagina dedicata a Galileo Galilei è distribuita secondo la licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0). Chissà cosa ci sarà scritto?? Andiamo un pochino a vedere: ciascuno è libero di “Condividere — riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare questo materiale con qualsiasi mezzo e formato” con la seguente condizione “Devi riconoscere una menzione di paternità adeguata, fornire un link alla licenza e indicare se sono state effettuate delle modifiche. Puoi fare ciò in qualsiasi maniera ragionevole possibile, ma non con modalità tali da suggerire che il licenziante avalli te o il tuo utilizzo del materiale.”
Ora, la “menzione di paternità adeguata” non c’è e mancherebbe anche il link alla licenza (d’accordo, si tratta di una pubblicazione cartacea, quindi il link non avrebbe senso -o magari anche sì, chissà-). In breve, io devo mettere qualcosa che indichi al lettore, il quale deve capirlo in maniera sufficientemente inequivoca, che quello scritto è tratto da Wikipedia. Punto.

Oggi con un copia-incolla si possono riempire decine e decine di pagine, si tratta di uno sport piuttosto diffuso e molto triste perché, come nel caso di Eidos, non vince mai nessuno perché tutti si fanno autogol da soli.

A me basta ricordare quello che mi diceva la mia maestra, la Laura del Quaglierini, la quale nell’insegnarci (teste dure che eravamo!) come si fa una ricerca ci diceva che occorrevano almeno due fonti, che non serviva a nulla copiare parola per parola e che i concetti era meglio rielaborarli e dirli con parole nostre, che una ricerca è una delle cose in assoluto più difficile perché difficile è, appunto, essere originali.

Ma la Laura del Quaglierini è morta da tempo e le quadernate di analisi grammaticale che mi faceva fare mi sono ancora impresse.