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L’onorevole Maria Grazia Laganà, del Partito Democratico, vedova di Franco Fortugno, è stata condannata in primo grado alla pena (sospesa) di due anni per truffa, falso ed abuso.
La Laganà, che si autoproclama innocente e che proseguirà in appello la battaglia per il riconoscimento delle sue ragioni ha dichiarato: “Reputo doveroso autosospendermi da ogni incarico di partito, dal gruppo parlamentare e anche da iscritta del Partito Democratico”.
Gesto nobile e dignitoso. Ma perché nessuno pensa mai ad autosospendersi o addirittura dimettersi dalla carica di deputato almeno dopo una condanna in primo grado, non perché questa condanna costituisca un’onta (non è una condanna passata in giudicato, quindi la Laganà, come chiunque altro non può e non deve essere considerata colpevole), ma per difendersi con le stesse prerogative e con le stesse caratteristiche di partenza di un normale e comune cittadino.
Secondo la legge in discussione in Parlamento sull’incandidabilità alla carica di Parlamentare, non dovrebbero essere candidabili le persone con una condanna superiore a due anni di reclusione (difficilmente ci si arriva, nel qual caso sarebbe sufficiente ricorrere al patteggiamento). Quindi la Laganà, come molti altri, potrebbe essere di nuovo candidabile.