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Ju tarramutu è come una vecchia pubblicità di Natale, “quando arriva arriva”.
Ju tarramutu ormai è una vecchia conoscenza. Quasi un amico. Tra i vecchi c’è chi prova a misurare l’intensità delle scosse scommettendoci sopra, come fosse un gioco. E ci riescono meglio di Richter. “L’hai sentita, questa? Questa era da tre!!”
Ju tarramutu si ripete. Una, due, tre, quattro volte. “Eh, queste saranno da cinque, almeno!”
Ma ti fa paura, ju tarramutu. Risveglia ricordi mai sopìti e ti lascia addosso sempre e comunque una neanche troppo leggera sensazione di nausea. Quella ce l’hanno tutti. Sia chi si sente tremare la terra sotto i piedi che chi guarda il lampadario dondolare su per aria. E’ il minimo comune denominatore, è il prezzo da pagare. E’ ju tarramutu.
Passa e va ju tarramutu. Se ne frega di te e del dolore che ti ha lasciato. “Povera gente, e ora che si fa?” Non c’è più nulla da fare se non illudersi che sia passato. Perché lo sai che tornerà, che non ti lascia solo, che tornerete a incrociare gli sguardi. Tu, la tua paura, il tuo mutismo, la tua rassegnazione e lui, ancora lì, che ormai non lo chiami più neanche per nome, ju tarramutu.