C’è una rogna in Catalogna

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Quello che sta succedendo in Catalogna è, evidentemente, fuori da ogni logica.

Che un Presidente del Consiglio dei Ministri (o Capo del Governo che dir si voglia) autorizzi la Guardia Civil ad irrompere nei dipartimenti della Generalitat e ad arrestare 12 esponenti del governo locale di Barcellona con la accusa apparente di essersi attivati per lo svolgimento del referendum sulla secessione dalla Spagna è un fatto di una gravità inaudita che merita riflessione.

Io spero vivamente e con tutto me stesso che Josep Maria Jové e gli altri abbiano commesso effettivamente (e dopo essere stati giudicati colpevoli con regolare e sacrosanta difesa in tutti i gradi di giudizio, secondo quanto previsto dall’ordinamento legislativo spagnolo) dei crimini tali da giustificarne l’arresto in via preventiva e la detenzione in carcere in via definitiva. Lo spero, perché se così non dovesse essere quello di Madrid sarebbe da interpretare come un pugno di ferro inutile e dannoso per le libertà individuali e per l’ordinamento democratico.

C’è da impedire un voto che potrebbe destabilizzare l’ordinamento democratico spagnolo e che è stato dichiarato incostituzionale dalla Suprema Corte: nessuno mette in discussione la legittimità della decisione e, soprattutto, quella della Costituzione del 1978, frutto di estremi sacrifici e di una transizione non del tutto indolore da oltre 35 anni di dittatura; quello che è in discussione, e che discussione, sono i metodi. Là dove l’arresto di Jové sarebbe collegato alla sua attività nel lancio di siti internet che promuovono il referendum c’è veramente di che chiedersi se la realizzazione di un sito “a tema” su internet costituisca o no un crimine o non sia, piuttosto, l’espressione di quel diritto di parola che dovrebbe essere regolarmente riconosciuto a tutti i cittadini europei. E’ un crinale estremamente sottile, bisogna analizzare contenuti, espressioni, modalità, bisogna vedere se quel prodotto finale costituisce o no una minaccia per l’unità dello Stato, così come stabilita nella già citata Costituzione del 1978. E tutto questo può farlo un giudice terzo, in un processo, con libertà e serenità di giudizio. Non un governo centrale, in via preventiva, e in tutta fretta perché, si veda il caso, il primo ottobre (data fissata dai secessionisti pero lo svolgimento del referendum) si avvicina, e con modalità sicuramente antidemocratiche.

Il quotidiano “El País” ha pubblicato ieri un editoriale agghiacciante che, oltre ad essere sacrosantamente a favore del mantenimento dell’ordinamento della (giovane) democrazia spagnola, ha difeso i metodi del governo Rajoy (per la verità piuttosto discutibili) e si è dichiarato a favore della democrazia (già, e chi non lo è?).

L’articolo 155 (1) della Costituzione spagnola dice chiaramente che se una Comunità Autonoma non ottempera alle obbligazioni imposte dalla Costituzione o da altre leggi, o dovesse agire in modo da pregiudicare gravemente l’interesse della Spagna, il Governo, previo interpello al Presidente della Comunità e, in caso di non adesione, con la maggioranza assoluta del Senato, potrà adottare le misure necessarie per obbligarla al compimento forzoso delle obbligazioni suddette (l’ho tradotta così come mi veniva, non sto a riguardarla, non ci ho messo nemmeno le virgolette, vi metto l’originale spagnolo in nota). Qui non c’è né l’interpello preventivo né tanto meno la maggioranza del Senato. Eppure ci sono stati degli arresti, e anche se sette persone sono state rilasciate, altre risultano ancora in regime di privazione della libertà personale.

Nel frattempo migliaia di studenti occupano l’Università di Barcellona per protestare contro gli arresti, e arriva la dichiarazione del cantante catalano Joan Manuel Serrat che afferma che il referendum “non è trasparente”.

Ma c’è solo da augurarsi che il 1 ottobre non accada di peggio.

(1) Si una Comunidad Autónoma no cumpliere las obligaciones que la Constitución u otras leyes le impongan, o actuare de forma que atente gravemente al interés general de España, el Gobierno, previo requerimiento al Presidente de la Comunidad Autónoma y, en el caso de no ser atendido, con la aprobación por mayoría absoluta del Senado, podrá adoptar las medidas necesarias para obligar a aquélla al cumplimiento forzoso de dichas obligaciones o para la protección del mencionado interés general.

Venezia, la luna e tu…

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I veneti sono persone straordinarie.

Sono riuscito a vivere quattro anni in Veneto malgrado loro ammirandone estasiato l’arte di combinar pasticci e porvi rimedio in un battibaleno, magari un po’ impacciati perché alla fine tutti riconoscono che xé pegio el tacón del buso.

Se c’è qualcosa che caratterizza i veneti rispetto ai loro dirimpettai lombardi è la totale assenza di prepotenza. Senso di superiorità, sì, voglia di primeggiare senz’altro, spacconeria -quando serve- quanta ne vuoi, diffidenza nei confronti del prossimo a quintalate (de ti no che no me fido, ti xé massa un impostor). Ma prepotenza mai.

Così hanno tirato fuori questa storia dell’indipendenza e del referendum. Che è, se vogliamo vederla proprio fino in fondo, una coglionatura di quelle gigantesche, ma che rivelano come i veneti siano degli straordinari prestidigitatori con le parole, al punto da aver trasformato un sondaggio in un referendum, una raccolta di opinioni spontanee (e tutte legittime e rispettabili) in una delibera del popolo sovrano.

I veneti sono gli unici che credono che il 73% di loro abbia votato a questo sondaggio on line quando solo il 60% della popolazione può contare su una connessione Internet. A questo punto il sondaggio potevano farlo per alzata di mano.

Son così i veneti, scoprono di averla pestata, si incazzano, sbràitano, tiran giù due bestemmie, tracannano una tagliatella dal Nardini e non gliene frega niente, neanche dell’indipendenza alla “Marieta-monta-in-góndoea“. Chè domani c’è da alzarsi presto e da andare a lavorare, e i tosi xé stràchi, vardalà…