Il “gigante buono” e altri giornalismi spiccioli assortiti

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Certo che ce ne vuole di coraggio per definire Massimo Sebastiani “gigante buono”, un assassino reo confesso responsabile dell’uccisione di Elisa, una donna (ma se fosse stata l’uccisione di un uomo sarebbe stata esattamente la stessa cosa), rea di non volerlo più vedere. E’ un giornalismo ai limiti, fuori da ogni etica, non immorale, che ci vorrebbe anche poco, ma totalmente a-morale, che è ancora peggio. La definizione di “gigante buono” ci riporta alla memoria i cartoni animati dei caroselli della Ferrero della nostra infanzia, quelli in cui il gigante, che doveva pensarci lui, se la prendeva con un inerme Jo Condor che diceva “Ma mi lasci, non ciò il paracadute, non ciò la mutua…”. E tutto finiva in dolcezza. Questa invece è una storia da dimenticare, è una storia da non raccontare, è una storia sconclusionata e via bubolando. Come sconclusionata è la mania voyeristica accessoria di più di un quotidiano on line che rivela l’omosessualità della sventurata vittima. Quale elemento di conoscenza accessorio viene aggiunto se rivelo che è stata uccisa una persona omosessuale, piuttosto che eterosessuale? E forse l’omosessualità della vittima serve per lenire la responsabilità dell’assassino? Questa mania di andare a rimestare il torbido a tutti i costi (anche se gli elementi portati alla cronaca in pasto ai lettori che, come tanti lupi famelici, ci si avventano feroci, non arricchiscono minimamente la verità fattuale di quel che è accaduto) a cosa serve, e soprattutto, a chi giova? Naturalmente non ci sono risposte, e i giornali che hanno riportato la circostanza non ce ne daranno. Restano solo la storia, la sofferenza e la confessione di una vittima e del suo carnefice. Che carnefice è e resta. Altro che “gigante buono”. Se no qui stiamo a prenderci per le natiche…

Sette anni di desiderio

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Home Page de "Il Giornale"

Come dico sempre io, le sentenze si eseguono, si applicano. Ma si possono tranquillamente discutere. Di più, se si tratta di sentenze che riguardano personaggi pubblici che abbiano o abbiano avuto particolare rilevanza nella vita sociale o istituzionale, si possono esprimere anche quei moti di soddisfazione o di disaccordo radicale che caratterizzano i nostri umori.

Certo, e perché no? La gente sui social network esulta alla sentenza che condanna Berlusconi alla pena di sette anni di reclusione più l’interdizione perpetua ai pubblici uffici. Sì, è legittimo. Magari poco elegante. Certamente si tratta di esternazioni personali. Ma anche questo è possibile.

Poi ci sono quelli del PD che vorrebbero festeggiare, sì, ma, ahinoi, si tratta solo del primo grado di giudizio, per cui siamo in tempo a vedere ribaltato tutto, bisogna aspettare, se festeggi ora rovini tutto, eh, la prescrizione arriva, si sa come funziona la giustizia in Italia, poi figuriamoci, con un politico come lui (e qui si accredita la tesi del tutto berlusconiana per cui le sentenze dei giudici sono politiche, e bisognerebbe spiegare a lorsignori che tre sono i poteri dello stato, ma sono anche indipendenti), ma sì, poi se la vedranno in appello, da qui all’appello deve passare un anno e in un anno nasce un gobbo e va diritto.

Dimenticano Lorsignori che questo procedimento si è svolto col rito del giudizio immediato. Come dice il nostro lettore Baluganti Ampelio, che cos’è il rito immediato?? Andiamo un po’ a informarci… Toh, qui c’è una risorsa che si chiama “Diritto on line” dell’Enciclopedia Treccani. Chissà cosa c’è scritto? Ecco:

“Il p.m. chiede il giudizio immediato cd. tipico, ai sensi dell’art. 453, co. 1, c.p.p., a fronte di una pluralità di presupposti (Bene, T., Giudizio immediato, in Spangher, G., diretto da, Trattato di procedura penale, vol. IV, t. 1, a cura di L. Filippi, Torino, 2009, 408 ss.). In primis, deve sussistere l’evidenza della prova.”

Quindi, per poter accedere al rito immediato è necessario che la prova sia evidente. Ovviamente ci sarà stata una udienza-filtro in cui, sulla base delle richieste dei pubblici ministeri, un giudice preliminare abbia stabilito che quella prova evidente c’era. Poi si va a processo. E il processo di primo grado ha confermato quell’evidenza della prova che era stata stabilita in sede preliminare.

E’ logico che il PD non parlerà mai male del suo prezioso alleato di governo e che abbia tutto l’interesse a sposare un garantismo ad oltranza. E’ coprotagonista di una anomalia della democrazia che sta diventando pericolosa per tutti.

“Alla sbarra!” La macchina del fango contro Beppe Grillo

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Premetto che questo post del blog è a totale difesa di Beppe Grillo.

Non della sua figura politica (cosiderato che Beppe Grillo non è un politico, non mi risulta sia mai stato canditato né sia mai risultato eletto in nessuna competizione elettorale), ma della sua persona che, come quella di chiunque altro, può e deve essere difesa dalla macchina del fango messa in atto da un giornalismo ormai vendicativo (anche se non si sa nei confronti di che cosa, probabilmente + vendicativo perché Grillo esiste ed esprime le sue opinioni -che potrebbero essere, peraltro, ribattute-).

Questa mattina si è aperto a Torino il processo a carico di Grillo (che compare davanti al Giudice Monocratico con l’accusa di violazione di sigilli giudiziari) e di altri 21 imputati.

I titoli sulle Home Page dei principali quotidiani italiani sono agghiaccianti. Quelli di “La Stampa”, “Corriere” e “il Giornale” si assomigliano. Tutti ricalcano l’odiosissima espressione “Grillo alla sbarra”.

Ora, che mi risulti, il cittadino Grillo Giuseppe, si trova davanti a una prima udienza di primo grado in cui è imputato (e non mi risulta che lo stato di “imputato” coincida con quello di “condannato in via definitiva” o “detenuto”, certamente non nel suo caso). E’ in stato di libertà quindi non è “alla sbarra”. E’ un libero cittadino.

E’ in una fase processuale in cui la sua presenza in aula, doverosa ma non strettamente obbligatoria (nel senso che il procedimento sarebbe andato avanti anche in caso di contumacia, e la contumacia non è un reato) equivale a zero. Zero interesse mediatico perché non si decide di una sentenza definitiva che deve passare in giudicato, e perché il dibattimento non si è ancora aperto.

Ma se non si è aperto il dibattimento giudiziario, che è l’unico che deve fare luce sui fatti, si è aperto il dibattiemento mediatico, quello fatto a colpi di flash delle macchine e parole taglienti come spade.

Quindi, cominciamo con “la Stampa”. Anziché lo screenshot ho preferito proporvi un piccolo filmato perché la modalità in cui la notizia è stata diffusa ha veramente dell’incredibile:

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Il titolo è: “Alla sbarra Grillo coi No-TAV” e, come si vede, cliccando sul link della notizia, questa mattina non  si si collegava a una pagina con gli approfondimenti del caso giudiziario, ma si veniva reinstradati (sia pure dopo un messaggio pubblicitario) alla sezione “Esteri” del giornale, e alla notizia di una richiesta di riscatto per la liberazione della Urru.
Due tragedie collegate da un link casuale e frettoloso.

Tanto frettoloso che, dopo l’udienza (aggiornata al 18 luglio prossimo), “la Stampa” ha completamente cambiato titolo. Da “Alla sbarra Grillo coi No-TAV” si è passati a un più innocuo “Beppe Grillo e 21 No-TAV a processo per la baita abusiva in Val Susa”.

Come mai “la Stampa” ha cambiato linguaggio e modo di dare la notizia, riconducendo Beppe Grillo “a processo” dopo averlo mandato “alla sbarra”? Non lo sapremo mai, probabilmente, quel che resta è un maldestro “pastiche” che non giova a nessuno.

Passiamo ora al “Corriere della Sera”: oltre ad aver intitolato anche lui “NO-TAV: Beppe Grillo alla sbarra”  come nello screenshot seguente:

ecco che arriva la diretta video del processo. Sì, perché il sito del “Corriere” ha trasmesso in diretta l’udienza che era disponibile in streaming per chi volesse vederla. E io ho voluto vederla. Ma, soprattutto, ho voluto vedere quale fosse la tecnica di messa a testo (o di messa in onda) di questo procedimento: telecamera quasi sempre fissa sul Giudice Monocratico. Il sottotitolo recita “Grillo è accusato di violazione di sigilli giudiziari”, e in alto “Violazioni NO-TAV: Processo a Beppe Grillo”. Da cui non si evince la pena edittale prevista per il reato (ve la dico io, si va da sei mesi a tre anni, congiuntamente con la multa), e non si capisce che questo tipo di reato è punito in maniera assai più dura del realto di occultamento di cadavere per cui la reclusione è fino a tre anni (senza stabilire un minimo). Ma, soprattutto, non si capisce che il processo è contro 21 persone, non contro il solo Grillo.

La telecamera stacca quasi soltanto per riprendere Beppe Grillo che risponde alle domande del Giudice sulla sua identità, stato e condizione. Niente altro. Immagino sia di fondamentale importanza per lo scibile umano sapere chi sia Grillo Giuseppe, dove sia residente, quando sia nato, se sia sposato, se abbia figli e quale professione svolga.

A questo punto la domanda appare perfino scontata: come mai il Corriere della Sera trasmette in diretta l’udienza preliminare del processo contro Beppe Grillo, e non ha trasmesso neanche uno straccio di diretta sul processi di primo e secondo grado a Marcello Dell’Utri, sulla sentenza d’appello per la Strage di Brescia che ha mandato tutti assolti, perché non pubblica gli atti pubblici (e, quindi, pubblicabili) che riguardano il processo all’ex Presidente del Consiglio (lì non è possibile effettuare riprese, d’accordo, ma dei documenti pubblici ci sono, perché gli atti sono a completa disposizione delle parti)?

Neanche Radio Radicale, che, pure, nel corso degli ultimi decenni ha seguito integralmente i processi All Iberian e All Iberian bis, alla colonna napoletana delle Brigate Rosse, a Barbara Balzerani per l’omicidio Tarantelli, il Processo Cusani, il processo Mangano, il procedimento d’appello per la strage di Bologna, per non parlare del troncone contro la Nuova Camorra Organizzata che vedeva imputato Enzo Tortora, avrebbe dedicato una attenzione così certosina nei confronti di un personaggio che appartiene più allo spettacolo che alla politica attiva. E, comunque, lo avrebbe fatto per dovere di informazione e di servizio pubblico, non certo per mettere alla gogna un imputato.

E’ una sovraesposizione mediatica ingiusta e ingiustificata.

Si dirà che il processo a carico di Grillo è pubblico, a porte aperte, e che non ci sono ragioni per tutelare la riservatezza del comico. Vero. Ma non ci sono, ugualmente, ragioni per amplificarne la pubblicità. Qualcuno risponderà, allora, che sono scelte editoriali. Anche questo è vero. Ma anche le scelte editoriali possono essere criticate, soprattutto quando si tiene in considerazione che il Corriere della Sera percepisce uno dei finanziamenti pubblici (cioè denaro dei contribuenti) più alti tra la stampa quotidiana italiana non di partito.
In breve, se il Corriere della Sera usa anche soldi miei per trasmettere il processo a Grillo, voglio sapere perché non li spende per trasmetterne di altri e di più importanti per il Paese.

De “il Giornale” basti solo lo screenshot:

Anche lì Beppe Grillo è stato messo preventivamente “alla sbarra”. Forse da chi vorrebbe vederlo, prima ancora di un giudizio di merito, dietro le sbarre.

Atteggiamenti deprecabili e fin troppo chiari. Come fin troppo chiaro è il gorgo in cui sta precipitando la Giustizia italiana che si rivela meticolosamente attenta al privato cittadino accusato di reati minori e eccessivamente carente nella risposta alle istanze di giustizia avanzata dalle parti offese.