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E allora è stato definito finalmente da una sentenza di primo grado che sì, la trattativa stato-mafia ci fu, e che Dell’Utri, Mori, Subranni e De Donno debbono essere condannati a 12 anni di reclusione. L’ex senatore Mancino, invece, deve essere assolto. Il teorema regge e le ipotesi cominciano a trovare un fondamento giuridico, una radice profonda nelle sentenze di quei giudici che hanno sostanzialmente accolto l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri. E’ stato proprio Di Matteo a dire: “Sanciti i rapporti col Berlusconi politico”. L’ex Cavaliere ha replicato: “Parole di una gravità senza precedenti”. E via schermeggiando.
Comunuque vada, non è una novità. Delle trattative stato-mafia si sapeva già da quando la sentenza contro Giulio Andreotti mise la pietra tombale della prescrizione su eventi antecedenti la primavera del 1980. Eventi che sono stati dimostrati, confermati e vagliati da tre gradi di giudizio. Non era vero nulla quello che urlava esultante l’allora più giovane avvocato Giulia Bongiorno nel comunicare al suo assistito l’esito favorevole della sentenza di Cassazione: “E’ finita, è finita per sempre!” Qui quello che resta per sempre sono fatti comprovati e inaccessibili per il decorrere del tempo dalla giustizia di stato.
In ogni modo, quello di oggi è un film già visto. Un film dell’orrore, s’intende.