140 caratteri saranno più che sufficienti per ciascuno di noi

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La montagna ha partorito un topolino. Twitter ha annunciato l’implementazione, per le lingue europee più importanti (tranquilli, l’italiano sarà incluso), di una nuova piattaforma che permetterà di postare i singoli messaggi (i cosiddetti “tweet”) in 280 caratteri anziché gli attuali 140. Erano anni che il problema del limite troppo angusto delle comunicazioni del gigante del microblogging si faceva presente mediante le lamentele dei propri iscritti, ma è la prima volta che ci si mette una pezza: lo spazio raddoppia e, così, la possibilità di scrivere stupidaggini.

Funzionerà così: saranno visualizzati ancora solo i primi 140 caratteri del messaggio: per scorrerlo, o per leggere il resto, bisognerà cliccare su un link apposito. Almeno ci saranno la decenza e la prudenza di chiedere il consenso. Eppure 140 caratteri non erano un limite, ma la ricchezza di Twitter. In meno di un SMS dovevi trovare le parole giuste per dire quello che avevi in testa e attirare l’attenzione dei tuoi lettori. Se ci riuscivi, bene, altrimenti vaffanculo, il tuo tweet spariva nel dimenticatoio, come una sfoglia di carta igienica buttata nel cesso poco prima di tirare lo sciacquone (immagine volgaruccia ma efficace).

Come giustamente dice Gianluca Nicoletti in un suo (video)intervento su “ObliquaMente”, la sua rubrica per la versione on line de “La Stampa”,

“L’opulenza di spazio espressivo non favorisce l’intensità del concetto espresso. La forza di Twitter era l’allenamento che imponeva ai suoi utenti a cercare le parole più efficaci per lasciare tracce di sé, in un fiume di punti di vista di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza.”.

Perché bisognava saper scrivere per creare un testo efficace. Bisognava conoscere l’italiano, trovare la parola giusta e breve per farsi ascoltare, come diceva De André, il tweet era una forma d’arte obbligata in uno spazio ristretto, come l’haiku. Naturalmente, il fatto che si trattasse di una forma d’arte non significa affatto che tutti i twitter fossero degli artisti: su un foglio bianco si può fare un bel ritratto o un pessimo scarabocchio. Oddio, non è che raddoppiando il numero di caratteri a disposizione si sia allargato poi così tanto lo spazio a disposizione, si tratta pur sempre di cinque righe striminzite, ma “più caratteri per tutti” non significa necessariamente messaggi di qualità o maggiore libertà di potersi esprimere: una stronzata resterà pur sempre una stronzata, ed è di questo che è fatto il web dei social network, di stronzate. Perché dovresti avere bisogno di 280 caratteri per accompagnare la foto di un gattino, l’immagine di un cuoricino, quella di un mazzo di fiori che non interesseranno a nessuno?? E se hai qualcosa di importante ed interessante da dire, non ti pare che 140 caratteri colpiranno di più l’attenzione di chi legge di una sbrodolatura da 280.

Anni fa (ma molti anno fa) Bill Gates disse che

“256 Kb. di RAM saranno sufficienti per ciascuno di noi”

poi i quantitativi vennero allargati a dismisura e oggi se hai 1 Gb di RAM fai ridere i polli. Cos’è questo cannibalismo informatico? In 140 caratteri non sei capace di esprimere un concetto?? Allora forse non sei in grado di utilizzare Twitter. Tutto lì.

Non lo userò il tweet extra-large. E così spero di voi.

L’educazione digitale spetta alle famiglie

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Sul sito de “La Stampa” è apparso un commento di Gianluca Nicoletti, giornalista, conduttore radiofonico, scrittore e polemista, sulla necessità di intervenire a livello scolastico sulla mancanza di educazione digitale dei nostri giovani (espresssione che reputo orrenda, ma la uso tanto per capirci).

Il tutto, dopo che tremila persone hanno ridiffuso un filmato hard di una sedicenne di Torino che faceva sesso nel bagno di una discoteca e che a Sestri Levante un’altra minorenne è stata ripresa e “condivisa” sui social network dai coetanei mentre pestava una dodicenne.

Nicoletti afferma che

“Non si potrà veramente parlare di «buona scuola» in Italia fino a quando, per legge, non si formeranno insegnanti specifici di «Educazione alle relazioni digitali».”

e propone di

“introdurre il «social networking» come materia obbligatoria sin dalle classi elementari.”

La scuola come rimedio di ogni male, come pronto soccorso emergenziale quando le emergenze sono già dilagate in tutta la loro gravità, è una concezione senza dubbio comoda, ma che non guarda ai problemi nella loro interezza. Del resto, fateci caso, la scuola dovrebbe occuparsi, si veda il caso, di educazione alla legalità, di educazione alla lotta alla mafia, di educazione alla diversità, di contrasto del bullismo, di sensibilizzazione a una sessualità responsabile, di individuare i casi più problematici e se ne potrebbero aggiungere ancora tante.

In breve, bisognerebbe -secondo Nicoletti- far sì che i “nostri ragazzi” di cui sopra imparassero che riprendere una ragazza che massacra di cazzotti una compagna più piccola di lei e poi far circolare il video è una cosa sbagliata. Ma lo sanno già. Ed è per questo che lo fanno. Perché è sbagliato, perché è proibito, perché non si può, perché non si fa.

E il filmino della sedicenne di Torino è stato “amplificato” da tremila persone, non una. Ora, che queste tremila persone siano state TUTTE dei ragazzi e delle ragazze in età scolare non ci credo. Vuoi che non ci sia stato qualche maggiorenne a farlo circolare su Facebook o su Twitter?? Ma mi ci gioco tranquillamente la testa e spero solo che la polizia postale li abbia individuati e che ora si stiano grattando il capo a ripensare a quel che è successo, e che non è vero che sui social network puoi fare tutto quel che ti pare, no, non puoi.

E’ evidente che questi comportamenti sono dei calchi di modelli familiari, dove, bene che vada, questi ragazzi hanno dei genitori che hanno a loro volta il loro bravo profilo Facebook e lo riempono di emerite stronzate, per un gusto esibizionistico e una pruderie ormai consolidati. Mi si dirà che rimbalzare una clip di sesso in discoteca è brutto, è sbagliato, è male. Ma perché, mettere le foto dei propri figli minorenni (quando non addirittura infanti) sui social, a far vedere al mondo intero che Pierino è sul vasino, che mangia, che sorride, che è imbronciato, che piange, tutto questo invece va bene, sì?

E poi ci dovrebbe rimettere mano la scuola, quando a sei anni i bambini sono abituati ad essere delle vere e proprie star delle reti sociali, protagonisti di scatti e di selfies a profusione (perché anche tu, genitore, non ce lo vuoi far giocare tuo figlio col tuo iPhone del piffero, che ti sei indebitato per trenta mesi per averlo e che se ti compravi uno smartphone ci facevi le stesse cose e risparmiavi pure?) e di commenti al limite del neurodelirio tipo “Bello!!” “Amoreeeeeeee…” “Ma quanto è caro/a!” e diluvi di “Mi piace”, imparando da subito che più sei cliccato più hai visibilità più sei figo.

Eppure per qualcuno non resta che la scuola. Che dovrebbe anche, peraltro, essere un posto dove si insegnano italiano, storia, geografia, matematica, scienze, religione…