Nei secoli Fedeli

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Tanto tuonò che piovve.

Ci siamo lasciati con una dichiarazione di voto. Di più, una speranza. E non c’è niente di più bello che vedere una speranza trasformarsi in realtà. Il no ha stravinto, trionfato, fatto polvere delle risibili argomentazioni di quelli del SI’ e per una notte te ne vai a dormire con il sorriso sulle labbra, come i bambini, come mia figlia (sì, perché nel frattempo, nel periodo di massima oscurità del blog ho anche avuto una figlia, ora lo sapete), a pensare che hai votato NO per convinzione e hai vinto, che l’innominabile domattina sale al Quirinale per rassegnare le dimissioni e tu te ne stai al calduccio del tuo letto a goderti il sapore di quel momento.

Poi le dimissioni sono state date davvero, Mattarella le ha surgelate come i pisellini della Findus, il piccolo presidente di Pontassieve è restato lì freddo e intirizzito per altri due giorni, il tempo di una fiducina e poi si è decongelato e le dimissioni sono diventate operative. Prima di tornare a farsi fotografare da “Chi” in un supermercato di Pontassieve mentre fa la spesa come un normale cittadito (probabilmente con gli 80 euro di aumento che ha dato agli stipendi, direbbe mia moglie, che in queste cose è un genio), ha avuto il tempo di designare il suo successore che in tempo 48 ore se n’è salito bel bello a Palazzo Kitsch portandosi dietro più di metà governo precedente, reimpastandolo e creando un duplicato, una fotocopia, una copia anastatica di ciò che era. Tutto deve cambiare perché nulla cambi.

C’è una ministro in questo Governo che, subito dopo il giuramento, è stata al centro di una serie di polemiche non ancora sopite. Si tratta di Valeria Fedeli, neoresponsabile del Dicastero della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Pare che questa signora non abbia una laurea. Anzi, di più, pare proprio che non abbia nemmeno il diploma di scuola superiore quinquennale, limitandosi a possedere il titolo di studio triennale. In rete (ma anche non) gliene hanno dette di tutte e di più. Ma è stata anche difesa in maniera abbastanza strenua da un gruppetto di sostenitori molto agguerriti. Le obiezioni sono fondamentalmente due:

a) Non ci vuole una laurea per fare la ministro o il parlamentare.

E’ vero. Non è indispensabile. Però ci vuole e non diciamo fesserie. Non solo perché ci si va ad occupare di settori come l’Università e l’Istruzione e quindi è bene esserci stati dentro almeno come rotelline dentate dell’ingranaggio, ma perché io credo che chiunque mi rappresenti (e la ministro Fedeli mi rappresenta) debba essere assai migliore di me. Se io ho una laurea, paradossalmente la Fedeli dovrebbe averne due. E’ certamente vero che non si misurano le capacità personali con un titolo di studio, ma allora con cosa le vuoi misurare con il centimetro? Hanno sempre fatto un casino della Madonna per cercare di farci credere che la meritocrazia è l’arma vincente nella Pubblica Amministrazione (e mica solo lì) ma poi, guarda caso, chi ha due lauree va avanti e chi ne ha una sola sta un passo indietro. E tra chi sta un passo indietro viene prima quello che ha preso 110 e lore e poi quello che ha preso 88. Nel mezzo stanno tutti gli altri. Ed è giusto che sia così, c’è poco da dire. C’è gente che ha superato un concorso pubblico anche perché aveva i titoli necessari a parteciparvi. Ma una laurea non è solo abilitazione, possibilità di fare. Una laurea è formazione, preparazione, conoscenza di certe realtà. Io sono laureato in spagnolo. La mia laurea non attesta la mia conoscenza della lingua, ma serve a dimostrare, magari, che io quella lingua la conosco già meglio di uno studente di liceo linguistico, perché, si veda il caso, all’università si studiano cose in maniera diversa da un liceo linguistico, e se superi quattro esami scritti e quattro esami orali di quella lingua è segno che almeno una volta nella vita hai fatto un salto di qualità. Poi c’è gente a cui lo spagnolo non interessa, but that’s another story. Io voglio una ministro preparata, non mi basta che abbia passato buona parte della sua vita alla scuola del sindacato. Che sarà anche una scuola di vita, ma, si veda il caso, la vita non laurea, non è un ente certificatore. E allora che una laurea non sia necessaria per ricoprire certe cariche mi può anche stare bene fino a un certo punto, ma che il MIO ministro dell’Istruzione ne abbia una non lo pretendo, lo ESIGO.

b) La circostanza della mancanza di un diploma di scuola superiore è stata rivelata da Adinolfi che ce l’ha da sempre con la Fedeli e che non perde l’occasione per diffamarla di fronte agli italiani.

Non so chi sia detto Adinolfi, può essere la persona più onesta o la più spregevole del mondo, mi interessa poco. E pochissimo o quasi nulla mi interessano le motivazioni per cui ha messo in giro questa circostanza. Quello che mi interessa, invece, è sapere se quello che dice è vero o è falso. Perché se è falso andrebbe visto solo come un ciarlatano. Ma se è vero allora c’è di che preoccuparsi. Come si fa a gestire una volta l’anno gli Esami di Stato se non ci si è mai messi a sedere davanti a una commissione d’esame, formata magari da soli commissari esterni, o non si è fatta l’esperienza di vivere una notte insonne a cercare su Internet le tracce della prova scritta d’italiano? Voglio dire, questa non ha la maturità quinquennale e poi Adinolfi è cattivo! Ma ci rendiamo conto di quali livelli sta assumendo il senso critico degli italiani?

Ma tutto prosegue come se nulla fosse: sul web il curriculum vitae della Fedeli è stato modificato (qualcuno però l’ha fotografato allo stato precedente la bagarre), il governo Renzi-bis è regolarmente in carica, e la Fedeli ha già annunciato che non toccherà la “buona scuola”. Bel programma! “Giudicatemi per quello che farò”, dice la Fedeli. Non si preoccupi che lo faremo.